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Nel furgoncino della polizia, posteggiato a pochi metri di distanza dall'abitazione dei Morel, l'atmosfera si era fatta presto incandescente.

Emil era stato invitato a rimanere in un angolonino del mezzo, in silenzio, di modo che non interferisse in alcun modo durante l'operazione, sorvegliato costantemente dall'agente Jean, evidentemente infastidita dell'ingrato compito alla quale era stata assegnata.
Il suo sorvegliato speciale non faceva altro che mormorare parole prive di senso, muovendo nervosamente una gamba, infastidendola con continui sguardi accusatori, come se fosse sua la colpa di quella situazione.

Secondo il proprio punto di vista, l'agente Jean si trovava perfettamente concorde a condividere l'irritazione dell'altro, seppur per motivi assolutamente diversi: di tanto in tanto rivolgeva degli sguardi di sottecchi al commissario Lacroix, che occupava una sedia davanti l'attrezzatura attraverso la quale stavano registrando la conversazione tra André Dumont e Irèné Laurant.
Credeva che il suo superiore si fosse fatto coinvolgere in modo spropositato e insensato all'interno di quella storia: tutti, in commissariato, erano a conoscenza dell'inclinazioni sessuali dell'uomo e l'agente credeva che rivedesse se stesso in quei due, così innamorati e devoti l'uno verso l'altro, proprio come lo erano il commissario e suo marito.
Allo stesso tempo, però, era sicura che tutto quello fosse sbagliato: non avrebbero mai dovuto concedere a Girard di essere presente durante l'operazione e più quell'uomo si agitava, maggiore era la tensione che cresceva all'interno del petto della poliziotta.

L'ispettore Boyer sembrava totalmente indifferente e assente: con la sua solita flemma registrava ogni cosa intorno a sé, continuando ad apparire annoiato e distaccato, come se fosse intento a fare qualcosa di insignificante e privo di valore.
L'agente Jean invidiava fortemente la tranquillità con cui il suo collega si approcciava al loro lavoro: qualche mese prima aveva rischiato di morire a causa di un tumore alla gola; ne era guarito, ma sembrava che quell'esperienza lo avesse reso ancora più distaccato per ciò che concerneva i rischi intrinsechi del suo essere un poliziotto.

-I miei sforzi!- sentirono urlare Dumont attraverso l'impianto di registrazione: -I miei soldi! Ho investito personalmente in quel posto! Mi aveva garantito che mi avrebbe ripagato per l'aiuto che gli avevo dato per anni! E invece ha lasciato tutto a te!- il commissario sorrise compiaciuto a quelle parole e fece cenno a un altro agente di uscire dal furgoncino, per avvisare la squadra che li attendeva fuori di lì di tenersi pronti a intervenire.
Sarebbe bastato così poco, soltanto un paio di paroline che si avvicinassero anche lontanamente per il loro contenuto a una confessione, e sembrava che tutti i presenti fossero pronti a udirle da un momento all'altro, pregustando l'adrenalina dell'azione.
-Forse non ti riteneva alla sua altezza- sentirono dire a Laurant e il loro ospite sussultò, come se fosse stato colpito in pieno viso da un violento pugno.

Emil incominciò a essere sempre più insofferente: aveva voglia di correre, urlare, soprattutto di portare via Irèné da quell'appartamento. Credeva che stesse esagerando, che stesse volutamente istingando l'altro a scoprirsi, facendolo arrabbiare: eppure il suo compagno doveva aver imparato in quegli anni che la rabbia non era affatto un sentimento semplice da gestire, soprattutto quando si hanno degli scheletri così ingombranti ad affollare l'armadio. Sapeva che Dumont avrebbe fatto di tutto per non scoprirsi troppo riguardo la storia di Masson: quel piano era una stronzata assurda, che metteva Irèné in pericolo senza un valido motivo.
Aveva cercato con ogni mezzo a propria disposizione di farlo rifiutare, di evitare di mettersi in pericolo a quel modo e si malediva per non esservi riuscito.

Comprendeva Irèné, il pericolo che soffiava sul suo collo facendogli temere per la propria tranquillità, ma soprattutto per i suoi figli. Anche lui aveva deciso di farsi coinvolgere in quella situazione solo per salvaguardare Camille: se lei non fosse esistita avrebbe continuato a ricevere quelle fotografie e a buttarle nell'immondizia, senza dare loro alcun peso.

-Mi sarebbe bastato farti passare per un pazzo depravato: avresti perso i tuoi figli, ero pronto ad armarmi di tanta pazienza e vederti colare a picco lentamente. Ma adesso credo di aver commesso un errore di valutazione. Non mi è piaciuto... concludere a quel modo con Eloi, ma sembra che la via più breve, anche in questo caso, sia quella più giusta- disse Dumont e un brivido gelido sembrò serpeggiare tra i presenti, mettendoli all'erta.

Emil, in particolare, percepì chiaramente il rumore inconfondibile di qualcosa che sembrava come spezzarsi dentro di lui: era la paura che rompeva definitivamente ogni sua difesa, cancellando la ragione.
Il terrore che potesse succedere qualcosa a Irèné non era più un pensiero dormiente e lontano, che sibilava furioso oltre la coscienza: sembrava essere diventato coscienza. Esisteva solo quello.

-Mi viene da vomitare- disse Emil e si alzò dalla sedia.
L'agente Jean gli rivolse uno sguardo diffidente, intimandogli di tornare a sedersi, chinandosi per recuperare il cestino dell'immondizia per fornirgli qualcosa dentro il quale vomitare, mentre gli altri tre poliziotti presenti - il commisario, l'ispettore e il tecnico informatico - erano troppo presi da quanto stava accadendo all'interno dell'appartamento dei Morel per prestare attenzione al loro ospite.

Emil approfittò dell'attimo di distrazione dell'agente Jean e si lanciò contro i portelloni del furgoncino, aprendoli di scatto: la poliziotta lasciò cadere il cestino, sfilò la pistola dalla fondina, puntandola verso il tettuccio del mezzo, intimandogli di rimanere fermo. Gli altri poliziotti si voltarono come a rallentatore nella direzione in cui il giovane era fuggito, trovando la strada deserta: sembrava che Girard fosse stato risucchiato dal manto stradale, sparito di colpo.
Si precipitarono tutti fuori per inseguirlo, eccetto il tecnico, con l'intenzione di bloccarlo prima che potesse compiere una qualche sciocchezza, mandando all'aria il loro piano.

Emil divenne completamente sordo e cieco, si lasciò guidare dall'istinto, iniziando a correre tanto velocemente da percepire i suoi piedi come staccarsi dal suolo: il vento gli sferzava il viso, i vestiti sembravano farsi pesanti, tutto appariva concorde a ostacolare i suoi movimenti, ma quelli erano sempre più sicuri, lo guidavano senza che lui avesse bisogno di pensare.

Si trovò poco dopo dietro la porta dell'appartamento dei Morel: era socchiusa, così come era stato raccomandato a Irèné di lasciarla, in previsione dell'irruzione degli agenti.
Sentiva chiaramente i passi pesanti dei poliziotti dietro di sé, il proprio respiro corto e pesante e non gli importava se dall'interno della casa avrebbero potuto udire il suo arrivo.
Entrò proprio nel momento stesso in cui il commissario Lacroix e i suoi agenti arrivavano ai piedi dell'ultima rampa di scale che li separava dal pianerottolo.

Emil procedette a passo spedito nel corridoio, guidato ancora una volta dall'istinto: non conosceva quel luogo e aveva paura di perdersi. I poliziotti non gli avevano permesso di essere presente durante l'organizzazione del loro piano di azione: dopotutto non era previsto che lui sarebbe stato lì dentro con loro.

Li sentì entrare in casa, mentre varcava la soglia della camera da letto, appena in tempo per assistere alla conclusione della colluttazione tra André e Irèné.
Incontrò di sfuggita gli occhi terrorizzati del suo compagno, mentre le ante della finestra cedevano sotto il suo peso, aprendosi dietro di lui.
Si scagliò contro André, che cadde di lato stupito dall'inatteso assalto dell'altro, finendo sul pavimento.
Emil sembrò riscuotersi dal proprio sgomento e divenne di colpo consapevole della situazione in cui si trovava: sgranò gli occhi, tornando lucido e senziente; sentì Irèné urlare, aggrappato alla sua mano destra con una delle sue, sospeso nel vuoto oltre la finestra.

Dietro di sé udiva chiari i rumori di un'altra colluttazione, le voci concitate degli agenti, gli ordini del commissario Lacroix, anche se non riusciva a comprenderne il contenuto e tutto sembrava diventare un unico urlo confusionario. 
Altri poliziotti corsero dentro il palazzo, mentre Emil cercava di fare perno con la punta dei piedi contro la parete, tentando di non farsi trascinare dal suo compagno.
Irèné si aggrappò a lui anche con l'altra mano.
-Non mi lasciare- lo implorò e a stento le sue parole non si persero nel vento.

Emil cercò di tirarlo dentro: con una mano e i piedi tentava disperatamente di spingersi all'indietro, avvicinandosi il braccio lentamente al busto, sentendo la spalla e tutti i muscoli tirare e dolere in modo indescrivibile, come se stessero prendendo fuoco, pronti a spezzarsi da un momento all'altro.
Arrivò qualcuno alle sue spalle a cingergli i fianchi, tirandolo verso di sé, mentre qualcun altro gli si affiancava, allungando una mano in direzione di Irèné.
Il giovane sentì il palmo della mano sempre più umido e ogni sforzo sembrava vano nel tentativo di mantenere salda la presa.
L'agente Jean si spinse oltre il cornicione della finestra, aggrappando saldamente Irèné da sotto le spalle: contemporaneamente, l'ispettore Boyer tirò la collega verso di sé e insieme riuscirono a far poggiare i gomiti del giovane sul davanzale.
Irèné si aggrappò al bordo della finestra con forza, mentre gli altri due lo aiutavano a scavalcarla, tirandolo dai vestiti, dalle braccia: ogni appiglio sembrava valido nella confusione del momento.

Quando lo videro cadere sul pavimento della camera da letto, tutti coloro che si erano visti coinvolti nel suo salvataggio si lasciarono andare al suo fianco, esausti, stupidi da se stessi, con il sangue che pompava nelle orecchie, l'adrenalina a rendere martellanti i loro cuori all'inverosimile.
Emil si gettò su Irèné, stringendolo saldamente a sé, come a volerlo assorbire dentro il suo corpo, toccandolo ovunque, cercando disperatamente di accertarsi che fosse reale, solido tra le sue braccia.
Le lacrime gli offuscarono la vista e prese a singhiozzare contro i suoi capelli, baciandogli la fronte. Il suo compagno tremava: la sua pelle era gelida, il volto pallido, l'espressione spaesata e terrorizzata, totalmente in stato di shock, ma vivo.

André era stato neutralizzato da alcuni agenti, ammanettato e condotto via da un paio di loro.
Il commisario Lacroix si passò entrambe le mani sul viso: un misto di sentimenti contrastanti gli si agitavano nel petto, passando dall'euforia per l'esito positivo di quell'arresto sino a toccare il timore e poi il sollievo per quanto sarebbe potuto accadere e che, invece, era stato scongiurato.
Rivolse un'occhiata furtiva verso i due innamorati stretti in un abbraccio disperato; recuperò il cellulare e fece una breve telefonata, ordinando al suo interlocutore di far arrivare sul posto l'ambulanza che aveva precedentemente richiesto si trovasse, per precauzione, nelle vicinanze del palazzo.
L'agente Jean abbracciò di getto l'ispettore Boyer, ma subito si ricompose, allontanandosi dal collega con un po' di imbarazzo, sfinita per lo sforzo, ma enormemente grata a se stessa, a Emil Girard e ai suoi colleghi che quella storia si fosse conclusa nel migliore dei modi, nonostante tutto.

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