25
Una delle mani del nuovo arrivato corse ad accendere la luce della camera da letto: il pulsante scattò, illuminando ogni cosa all'interno della stanza, riportando alla mente vecchi ricordi, facendo in modo che André e Irèné potessero guardarsi in viso in tutta chiarezza.
Irèné non si era aspettato di provare emozioni di quel tipo: fin dal suo arrivo dentro quella casa aveva percepito il cuore chiudersi in una morsa dolorosa, mentre attraversava le stanze che lo conducevano verso il suo obiettivo, consapevole di chi avrebbe trovato nello stesso letto che aveva condiviso con Roland per ben tre anni.
Quando la polizia gli aveva comunicato che lo avrebbero condotto proprio lì, in quella casa, perché era il luogo in cui il loro sospettato si rifugiava, Irèné aveva percepito la gola serrarsi e improvvisamente alla paura si era aggiunta l'angoscia: non aveva avuto più voglia di fare quanto era stato deciso, non voleva rimettere piede lì dentro.
Così come aveva immaginato potesse accadere, alla fine era proprio successo: ogni angolo di quel posto gli ricordava Roland, le sue colpe, la fine della loro relazione e non c'era rabbia alcuna che potesse richiamare a sé per proteggersi da quello.
André lo fissava perplesso, non si aspettava di trovarselo lì: era convinto di aver preso l'unico mazzo di chiavi dell'appartamento, lasciato in custodia in ufficio, lo stesso che era stato di Roland.
Irèné aveva ottenuto la copia in possesso di Ariel?
Oppure il suo ex non era affatto un semplice ricordo lontano e quello conservava ancora la copia che gli era appartenuta?
Sorrise a quel pensiero: Irèné era un gran casino ed era così intento ad accalappiare attenzioni altrui da non rendersi conto di amare solo se stesso.
Era egoista, arrogante: sempre pronto a rubare agli altri, sia che la refurtiva fosse composta da sentimenti o beni materiali.
-Sono contento che tu sia qui- disse e lo era davvero: gli rendeva tutto più semplice. Gli confermava che aveva sempre avuto ragione sul suo conto e il Destino stesso sembrava averlo condotto sin da lui, al fine di ottenere ciò che desiderava. Se lo avesse saputo dal principio si sarebbe potuto evitare innumerevoli grane, ma le cose erano andate per il loro verso.
-Che ci fai qui?- gli chiese Irèné. La sua espressione appariva tesa, quasi indecifrabile: era un tale miscuglio di emozioni contrastanti che si annullavano tra di loro tanto da risultare incomprensibili. Un secondo era stupito, l'attimo successivo arrabbiato e il millisecondo dopo sembrava triste. Gli occhi non erano in grado di percepire quei sottili mutamenti: ad ogni battito di ciglia André perdeva qualcosa dell'altro e si trovava senza possibilità di prevedere ciò che lo aveva spinto a recarsi lì.
Sapeva che vi avrebbe trovato lui?
-Potrei farti la stessa domanda- gli rispose André.
-No. Questo appartamento è per metà mio. Roland l'ha lasciato sia a me che ad Ariel-
-Mi sembra assurdo che abbia fatto una cosa del genere, dato che si è ammazzato per colpa tua- Irèné trasalì a quelle parole, ma tentò di ricomporsi presto, cercando di celare all'altro il proprio sgomento.
Era vero: Roland aveva fatto testamento, era stato il primo cliente di Irèné; un po' per incoraggiarlo, un po' perché lo amava e credeva in lui e desiderava aiutarlo ad avere fiducia in se stesso. Aveva messo nero su bianco tante cose, con minuzia di particolari, stupendo il suo compagno perché sembrava che la sua non fosse affatto un'azione impulsiva, ma qualcosa di ponderato e studiato.
Aveva lasciato parte di quella casa a lui, mentre il resto dei suoi beni erano passati ad Ariel.
Perché Irèné non aveva ceduto la sua parte di eredità al fratello del suo ex?
Se lo domandava spesso anche lui e quella sera, trovandosi improvvisamente lì, pensò di aver trovato la sua risposta: aveva voluto bene a Roland.
Non era sicuro di averlo mai amato davvero, non era neanche certo che i suoi sentimenti per Emil gli avrebbero mai concesso di amare qualcun altro nel modo in cui amava lui. Se non fossero tornati insieme, se la vita avesse deciso diversamente per loro, era certo che avrebbe trovato per sé un altro Roland, perché nessuno sarebbe mai stato all'altezza di prendere il posto di Emil.
Conservava il ricordo del suo ex anche con il tentativo di fare ammenda per i suoi peccati, di proteggere ciò che di bello c'era stato tra di loro: quel luogo era diventato una specie di santuario anche per lui, così come lo era per Ariel che si rifiutava persino di metterlo in affitto e non sopportava l'idea che André lo avesse profanato.
Aggrottò la fronte e gli si fece più vicino di qualche passo: André gli rivolse uno strano sorrisino, cercando di capire per quale motivo l'altro si fosse di colpo ammantato di un tale coraggio, ponendosi a lui con un'evidente aria di sfida.
-Ciò che è stato tra me e Roland non è affar tuo- sussurrò, fermandosi a pochi centimetri di distanza da lui.
Il sorriso di André si allargò, dipingendo sul suo viso un'aria sgradevole.
-Emil lo sa che sei ancora innamorato del tuo ex?-
-Tu non sai nulla di me e gradirei che continuassi a farti gli affari tuoi-
-Non hai idea di quello che io so- ribatté André, spegnendo il suo sorriso.
Irèné sussultò e socchiuse gli occhi.
Sapeva di non essere solo, ma non aveva idea di chi, di quante persone stessero ascoltando le loro parole.
I microfoni che la polizia gli aveva sistemato sotto i vestiti che indossava sembravano divenire sempre più caldi, pronti a ustionargli la pelle. Era assurdo e lo sapeva: il cuore batteva sempre più velocemente e la paura gli rendeva i respiri brevi e frammentari.
E se anche Emil stesse ascoltando quelle parole?
Sgranò appena gli occhi: il panico prese a farlo tremare. Non voleva che il suo compagno lasciasse che il dubbio si insidiasse nel suo petto, non dopo che si era fidato di lui. Emil aveva lottato tanto per potersi concedere quei sentimenti e Irèné lo aveva atteso, con pazienza, per ben quindici anni.
André poteva rovinare tutto quello con le sue parole?
Il giovane sperò e pregò con tutte le sue forze che Emil fosse più forte di tutto quello che avrebbe potuto sentire in quel momento.
-Cosa sai?- chiese e André sembrò compiacersi di quella domanda. Accusava il suo collega di essere un arrogante egocentrista, ma solo perché era ciò che vedeva in lui riflesso di se stesso.
Voleva stare al centro dell'attenzione e Irèné sarebbe stato al suo gioco.
-Delle porcate che hai combinato quando stavi con Roland. Cosa sei? Una specie di ninfomane?-
-Credevo che tu sapessi tutto di me. Perché non ti rispondi da solo?-
André rise di gusto.
-Siete tutti così oppure sei solo tu ad avere una vocazione da puttana?-
Irèné si strinse nelle spalle senza rispondergli, lasciando che le sue parole scivolassero via senza intaccare nulla dentro di sé: non aveva proprio niente da rimproverarsi da quel punto di vista. Era umano, aveva commesso innumerevoli errori, ma sempre lasciandosi guidare dal cuore e credeva che quello gli fornisse, in parte, delle attenuanti.
Aveva agito sempre in nome dei sentimenti che nutriva per Emil: era stato egoista, capriccioso, testardo, ma profondamente e devotamente innamorato.
-Pensala come vuoi, non mi interessa il tuo parere- sussurrò Irèné, assolutamente convinto di quanto aveva appena detto.
-Hai fregato tutti. Se il mondo intero sapesse che persona sei...-
-Un essere umano, André- lo interruppe: -Sbaglio, cado, mi faccio male e tanto, ma poi mi rialzo. È la mia vita e non vedo per quale motivo dovrei vivere rinunciando a essere felice, solo per fare contento qualcun altro-
-Sei egoista-
-Anche chi vorrebbe impormi di essere felice a modo suo, lo è. Ma io appartengo soltanto a me e, per me, decido io-
André reclinò il capo, restando pensieroso, come a volere cercare di comprendere il senso di quelle parole.
-Se Eloi ti avesse conosciuto davvero, ti avrebbe buttato fuori dallo studio-
-Eloi mi conosceva- mormorò Irèné, cercando di modulare la propria voce per non lasciare trasparire l'euforia che lo aveva colto: era contento che fosse stato proprio l'altro a tirare fuori quell'argomento.
-Non credo proprio. Altrimenti avrebbe lasciato lo studio a me, così come aveva promesso.-
Irèné sgranò gli occhi, schiuse le labbra, senza riuscire a celare il proprio stupore.
-Che significa?- domandò.
-Quello che ho detto-
Il giovane cercò di essere il più cauto possibile, ma era consapevole che qualsiasi cosa avesse potuto dire in quel momento, se voleva battere il ferro ancora caldo, non avrebbe potuto fare a meno di suscitare nel suo interlocutore un minimo di sospetto.
Aveva già capito perché si trovava lì?
Se così non era, di certo lo avrebbe compreso di lì a poco tramite le sue successive parole: poteva solo sperare che l'altro mantenesse la calma ancora per un po', almeno sino a quando sarebbe riuscito a fargli confessare di aver ucciso il vecchio Eloi.
-Tu non c'entri nulla con ciò che è accaduto lo scorso anno, vero?- domandò titubante.
André gli rivolse uno sguardo strano, tagliente: rimase immobile a fissarlo per qualche secondo, prima di avvicinarsi piano a lui.
-Ti sei preso ciò che era mio- sussurrò, mentre Irèné cercava di indietreggiare verso la porta.
L'uomo scattò verso di lui, compiendo un balzo nella sua direzione e Irèné fu costretto a scansarsi di lato, allontanandosi dall'uscita della stanza, per evitare che André lo afferrasse.
-Io non ti ho rubato nulla-
-Lo studio!- lo interruppe, battendosi le mani sulla fronte, prima di puntargli contro un dito accusatore: Irèné cercò di allontanarsi sempre di più da lui, muovendosi cautamente, sentendo l'aria provenire dalla finestra socchiusa alle sue spalle accarezzargli le estremità del corpo, facendolo rabbrividire.
-Probabilmente Eloi ci conosceva entrambi, meglio di quanto tu credi e ha fatto la sua scelta per non buttare nel cesso gli sforzi di una vita, lasciando lo studio a te...-
-I miei sforzi!- urlò André: -I miei soldi! Ho investito personalmente in quel posto! Mi aveva garantito che mi avrebbe ripagato per l'aiuto che gli avevo dato per anni! E invece ha lasciato tutto a te!-
-Forse non ti riteneva alla sua altezza- disse Irèné.
André sembrò come pietrificarsi a quelle parole. Rimase immobile per qualche secondo, fissandolo con sempre maggiore intensità.
-Mi sarebbe bastato farti passare per un pazzo depravato: avresti perso i tuoi figli, ero pronto ad armarmi di tanta pazienza e vederti colare a picco lentamente. Ma adesso credo di aver commesso un errore di valutazione. Non mi è piaciuto... concludere a quel modo con Eloi, ma sembra che la via più breve, anche in questo caso, sia quella più giusta.-
Irèné sgranò gli occhi, comprendendo al volo cosa intendesse dire André; tentò di avvicinarsi al letto per scavalcarlo e cercare di raggiungere la porta della stanza, aggirando l'altro, ma André lo precedette e immaginando quanto stava cercando di fare lo spinse con violenza contro la parete.
Si trovarono coinvolti in uno scontro corpo a corpo: Irèné cercava di scappare e schivare i colpi dell'altro, tentando di raggiungere l'uscita.
Il cuore batteva all'impazzata nel suo petto e il panico gli limitava i movimenti, rendendoli incerti e poco efficienti.
André lo colpì più volte, obbligandolo a indietreggiare. Irèné riuscì a pararsi e a respingerlo: lo spinse violentemente lontano da sé e cercò di passare al suo fianco, ma l'altro recuperò l'equilibrio facendosi perno proprio su di lui, afferrandolo per i fianchi e spintonandolo verso la parete.
Irèné perse l'equilibrio e afferrò i bordi della finestra cercando di non cadere.
L'altro gli fu addosso in un battito di ciglia: gli colpì la parte posteriore di un piede, spinse con forza sulle sue spalle con entrambe le mani.
Il peso del corpo del giovane fece scattare le ante della finestra: quelle si spalancarono, producendo un rumore agghiacciante, mentre il vento all'esterno lo accoglieva nel suo abbraccio mortale e le mani scivolavano sul muro, facendogli perdere la presa su quell'ultimo appiglio.
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