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Inserì la chiave nella serratura, un paio di giri e la porta si aprì, scivolando verso l'interno.
Si massaggiò il collo, lo mosse a destra e sinistra, sentendo l'inconfondibile schioccò delle vertebre superiori restituirgli una parvenza di sollievo.
Entrò in casa e accese la luce, chiudendosi la porta alle spalle.
Quei bambini rischiavano davvero di farlo impazzire.
Quando aveva organizzato il suo piano non aveva messo in considerazione quanto sfiancante sarebbe stato il ruolo che aveva scelto per sé.
Era stato fortunato: Irèné non si era accorto di nulla e i suoi bambini, evidentemente, non si fidavano abbastanza del loro paparino da rivelargli davvero quello che succedeva a scuola, quando lui non era con loro.
Tenere il piede in due scarpe era difficile. Correre da una parte all'altra cercando di non insospettire il suo capo, era difficile.
Ma i bambini si sa: sono anime pure, prive di ogni malizia e a lui era bastato davvero poco per conquistarli e rendere loro simpatico persino Edagard.
Era stato fortunato.
E ciò lo convinceva ulteriormente di aver intrapreso la giusta strada: colpire Irèné e la sua sanità mentale attraverso ciò che aveva di più caro.
I suoi figli.
Non immaginava quanto quella situazione si sarebbe rivelata semplice: era bastato assestare un paio di colpi nei punti giusti e lui aveva studiato Irèné così bene da stupire persino se stesso.
Stava crollando.
Presto avrebbe riavuto indietro ciò che gli spettava di diritto.
Fabien, al dir il vero, un po' lo preoccupava: era sveglio, anche se sembrava abbastanza piccolo e ingenuo. Ma era solo apparenza: si comportava a quel modo per sopravvivere, ormai lo aveva capito anche lui, soltanto per rendersi più accettabile dalla società.
Quella diffidenza nei suoi confronti era del tutto naturale, come un cane che fiuta il pericolo così Fabien lo teneva a distanza, anche se, proprio come Bèatrice, non lo aveva riconosciuto.
Non che lo avessero visto spesso fuori da scuola: dopotutto, il loro papà raramente li aveva portati con sé sul luogo di lavoro.
E la bambina si era, addirittura, affezionata all'omone che aveva ingaggiato, lo stesso che era stato in grado di accalappiarsi le simpatie persino delle loro maestre.
Tutto sembrava filare liscio, nonostante sentisse che la fine era, ormai, vicina.
Avrebbe rimediato all'errore del vecchio Eloi Masson: il bastardo che aveva esalato il suo ultimo respiro preferendo Irèné Laurant all'uomo che sempre gli era stato vicino, a colui che, per anni, aveva sgominato al suo fianco, mandando avanti lo studio.
Lo stesso che spettava a lui, e a lui soltanto. Non a Irèné.
Non era nato per morire all'ombra di un ragazzino viziato, non dopo aver lavorato tanto, riuscendo a costruirsi da solo.
Si diresse verso la cucina, aprì il frigorifero, illuminando l'ambiente in modo quasi spettrale, lasciando che solo quel fascio di luce artificiale rendesse visivi i contorni dei mobili avvolti dall'oscurità.
Prese una lattina di birra, l'aprì e ne bevve velocemente l'intero contenuto, per poi abbandonarla sullo scolapiatti del lavandino.
Ritornò nell'ingresso, lì dove l'ambiente era rimasto illuminato dal suo rientro; cercò nella tasca del giubbotto il cellulare, pescandolo poco dopo.
Lo sbloccò, recuperando le chiamate perse.
18:20 M (6)
Lesse e si lasciò sfuggire un mezzo grugnito.
Spense la luce e a tentoni si diresse verso la camera da letto.
Premette il pulsante di richiamata, mentre accarezzava pigramente una parete con l'altra mano, usandola come punto di riferimento nei suoi spostamenti.
Rispose dopo un paio di squilli.
-Dove diavolo eri finito?- esordì Michelle.
-Ti stai confermando la stupida che pensavo che fossi. Ti avevo detto di non chiamarmi mai quando sono fuori casa-
-Ti sei fatto scoprire?- gli chiese con stizza.
-Sei stupida vero. No. E solo perché sono prudente. Se qualcuno, in particolare, ascoltasse le mie conversazioni con te, per quanto frammentarie, potrebbe capire qualcosa che non voglio comprenda.-
Michelle strinse il labbro inferiore tra i denti, impedendosi di ribattere a quelle parole.
Si guardò intorno nel parcheggio del supermercato dove si trovava.
C'erano soltanto un paio di persone e tante macchine ordinatamente posteggiate. Salì nella sua auto e si chiuse dentro, isolando ogni possibile rumore proveniente dall'esterno: lì dove si era rifugiata nessuno la conosceva, non c'era una sola persona che sapesse nulla del suo passato. A differenza di ciò che sosteneva l'altro lei non era affatto stupida e, mentre lui continuava a giocare con il fuoco, Michelle aveva già tagliato la corda, mettendosi al sicuro; ma per precauzione - dopotutto, di lui non si fidava - aveva deciso di tenere per sé quel piccolo particolare: non si trovava più a Parigi.
-Dove sei?- le domandò il suo interlocutore.
-A fare la spesa- rispose la donna, sentendo le guance e il collo scaldarsi per l'imbarazzo.
-Sei stupida-
-Se ti permetti, ancora una volta, a dirmi che sono stupida, mi tiro fuori da questa storia e ti lascio nella merda, André.-
André incominciò a ridere.
Si lasciò cadere sulla schiena, sul letto, allargando il braccio libero e le gambe.
-I due idioti assoldati dal tuo ex hanno delle foto che immortalano te sotto casa di Emil, non me-
-E ancora non mi spiego come abbiano fatto. Sono stata attenta. Perché non ci sei tu in quelle foto?-
-Perché sei stupida- ribatté quello, divertito. Michelle fece per protestare, ma l'altro la interruppe subito: -Non sono stati da Irèné. Si sono appostati solo sotto casa del tuo ex- la informò.
-Altrimenti avrebbero beccato anche te-
-Ne dubito. Io non sono stupido- e rise di nuovo.
Michelle batté una mano contro il volante, sentendo una fitta di dolore colpirla immediatamente, propagarsi dal palmo sino alla spalla. Accusò il colpo con un mezzo gemito, chiuse gli occhi e prese a respirare profondamente.
-Non voglio che la situazione ci sfugga di mano adesso- disse André poco dopo.
-Che intendi?-
-Devi costituirti-
-Cosa?!- urlò la donna. Si guardò attorno, ma sembrava che nel parcheggio, in quella tarda ora della sera, nessuno si fosse accorto di lei e delle sua grida: -E perché mai io dovrei costituirmi? Per avere spedito un paio di foto hard? Ci sono assassini a piede libero e dovrebbero scomodarsi a mettere dentro me!-
-Ti hanno già scoperta. Ma potrebbero arrivare a me, e il nostro piano di farla pagare a quei due andrebbe a farsi fottere-
-A me basta Camille. Quella mocciosa è troppo importante per Emil. Mi prendo lei e la sua eredità. La mando in collegio. A diciotto anni, quando tornerà a cercare me e i suoi soldi, farò in modo che non mi trovi da nessuna parte-
-Un piano impeccabile- la sbeffeggiò André.
-Qualcosa da ridire?- gli chiese lei, sempre più adirata.
André sospirò, si passò due dita sugli occhi, per poi riaprirli nell'oscurità.
C'erano molte cose che cozzavano all'interno del piano di Michelle.
Primo fra tutti: Camille non possedeva alcuna eredità.
Per quanto la donna potesse sforzarsi con l'intenzione di mettere le mani sui soldi della famiglia Girard, si sarebbe trovata ben presto a stringere al massimo un paio di mosche nel suo pugno altrimenti vuoto.
Vincent Girard non aveva lasciato nulla alla nipote: la ragazzina sarebbe entrata in possesso di tutti i beni della sua famiglia solo alla morte di Emil e Malorie.
L'uomo, però, non voleva commettere di nuovo lo stesso errore: dopo Eloi, si era reso conto di quanto la vita fosse beffarda. Non era bastato togliere di mezzo quel vecchio.
Lui voleva soltanto ciò che gli spettava di diritto: lo studio.
E stava ancora lottando per ottenerlo, nonostante la prematura morte del suo vecchio capo: quell'idiota l'aveva fregato, aveva lasciato un testamento che gli aveva impedito di incassare il suo compenso.
Aveva investito tanti soldi per aiutare Eloi Masson: aveva studiato e lavorato per anni, aveva abbassato la testa davanti le angherie del vecchio, sicuro che in futuro avrebbe ottenuto il suo posto.
Ma quello l'aveva lasciato a Irèné: il ragazzino giunto neanche un anno prima e solo perché, a detta sua, era più capace del suo braccio destro, di André, che continuava a essere solo uno stupido segretario.
-Se la spedisci in collegio e gli assistenti sociali lo scoprono, non credi che la rimanderebbero da suo padre, anziché preferire una soluzione dove crescerebbe senza neanche un genitore?-
Michelle tornò a mordersi le labbra, prima di ribattere:
-Farò la mammina per bene per un po'. Poi me ne sbarazzo, in un modo o nell'altro farò in modo di prendermi quello che mi spetta.-
L'uomo non credeva che a Michelle spettasse qualcosa: aveva sposato Emil Girard solo perché era un bel ragazzo e moriva dalla voglia di vestirsi come una principessa, avere per sé tutte le attenzioni e le invidie delle sue amiche: donnicciole dalla mentalità ristretta tanto e più della sua.
Era assurdo che esistessero ancora donne nel Ventunesimo secolo il cui unico obiettivo nella vita era quello di sposarsi e sfornare marmocchi, senza il minimo interesse a essere considerate persone indipendentemente da ciò.
A Michelle non piacevano i bambini. La conosceva da meno di un anno, eppure, André era certo che alla donna mancasse completamente ogni istinto materno.
Quando era nata Camille, a suo tempo, aveva mandato tutto a quel paese, ed era fuggita in cerca di una vita più adatta alla sua persona.
Per fare la vita che lei aveva sempre desiderato, in giro per il mondo, aveva bisogno di soldi e dal suo divorzio con Emil non aveva ottenuto nulla, proprio perché era stata lei a sparire.
Non che all'uomo importasse: la rabbia e la stupidità di Michelle gli erano stati utili, tanto, al fine di mettere in atto il suo piano. Anche se, aveva scoperto André, gli sarebbe bastato Edagard per fare impazzire Irèné: incredibile come quell'attore da quattro soldi assomigliasse al defunto Roland Morel.
Ma il danno ormai era fatto e quella storia aveva tracciato una strada ben precisa.
-Tu, piuttosto...- riprese la donna: -... sei davvero andato a vivere nel vecchio appartamento dei Morel?-
-Sì- rispose André, senza aggiungere altro. Non aveva voglia di spiegarle perché.
Certo era che l'aveva vista come una soluzione ottimale: la casa era disabitata, tutti i documenti sulla proprietà erano stati affidati al loro studio. Ariel non vi metteva piede da mesi, ancora troppo debole di fronte ai ricordi del passato.
Nessuno avrebbe mai pensato di cercarlo lì, nessuno lo conosceva da quelle parti. Poteva muoversi liberamente senza correre il rischio di essere scoperto.
-E se Ariel ti trovasse lì?-
-Ariel non mette piede qui da quando Roland è morto-
-E se decidesse di farlo?-
-È stupido come te. Piange ancora quell'idiota del fratello-
-Non tirare troppo la corda, André. Ti ricordo che ci sono troppe cose su di te che io so e che tu non vuoi sappiano anche altri!- urlò lei, mentre la rabbia defluiva dalle sue parole, sostituita da una ritrovata ilarità.
André la lasciò sfogare attraverso le sue risa isteriche.
Michelle era la sua pedina: non aveva alcun potere.
Lo sapevano entrambi.
Non aveva idea quanto fosse stata sincera, non sapeva se effettivamente aveva accettato di collaborare con lui soltanto per soldi, oppure se desiderava davvero avere una seconda possibilità come mamma e... moglie.
Non aveva dubbi che Emil non sarebbe più tornato da lei, ma badava bene a non fare allusioni di nessun tipo su quel punto della loro storia, per evitare che decidesse davvero di mettergli il bastone tra le ruote. Non si fidava di lei.
-Uno dei prossimi giorni, quando saremo entrambi lontani da qui, a sorseggiare un cocktail su di una spiaggia caraibica, dovrai raccontarmi come hai fatto a mettere su un piano tanto geniale. A scoprire della tresca di Irèné- sussurrò la donna, mentre le sue risate si spegnevano, lasciandola come svuotata di ogni emozione.
-Non avremo mai tanta confidenza, mia cara. E non ho intenzione di passare il resto della mia vita a sopportati.-
Ancora una volta, Michelle si morse le labbra.
-Lo so. Tu vuoi Irèné- sibilò.
-Ti sbagli. Sono l'unico a cui il suo bel culo non fa alcun effetto. Si disperino Emil e Ariel a riguardo, così come faceva quell'idiota di Roland. Anche se questo... Indovina un po'? Non è affar tuo- ribatté l'altro, e chiuse la telefonata.
Si stiracchiò e si alzò a sedere sul letto.
Proprio in quel momento sentì chiaramente la chiave girare nella serratura della porta d'ingresso.
Un brivido gli corse lungo la schiena.
Si alzò dal letto, cercando di fare meno rumore possibile.
Da sotto la porta della stanza che dava sul corridoio vide provenire un fascio di luce; udì il suono inconfondibile di passi sul pavimento.
Avrebbe dovuto nascondersi?
Poteva trattarsi solo di Ariel.
Come avrebbe reagito il giovane nel trovarlo lì? Cosa avrebbe potuto dirgli?
La porta si aprì.
La luce entrò in parte nella stanza, mentre tracciava i lineamenti del corpo di un uomo, fermo sulla soglia.
André si schermò gli occhi con una mano, mentre quelli tentavano di abituarsi a vedere di nuovo fuori dal buio.
Riconobbe il suo ospite.
E non era Ariel.
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