22
La stanzetta degli interrogatori era così piccola e angusta da suscitare un moto claustrofobico anche a chi non soffriva di tale fobia.
Ariel si guardava attorno percependo un principio di ansia iniziare ad accellerargli i battiti del cuore.
Perché si trovava lì?
Irèné lo aveva denunciato?
Nella stanza regnava un odore pesante, stantio, che sapeva di umido e nicotina e che stava rischiando di tramutare la nausea del ragazzo in qualcosa di ancora meno piacevole.
La porta venne aperta e Ariel sussultò, rivolgendo lo sguardo verso l'uomo che aveva aveva appena fatto il suo ingresso.
L'ispettore Boyer era accompagnato da una giovane agente in divisa che prese posto al fianco del collega, sedendosi di fronte al loro sospettato.
Fu l'agente a dirigere l'interrogatorio, cercando di carpire informazioni dal giovane che riguardassero Roland e il suo presunto ritorno.
Lo sgomento di Ariel nell'apprendere di trovarsi lì non per ciò che aveva combinato contro Irèné, ma per via di suo fratello, si dissolse presto, lasciandolo confuso e spaventato.
-Mio fratello è morto- mormorò sempre più stupito, mentre i due poliziotti lo fissavano con sufficienza, lasciando che la loro diffidenza nei suoi confronti trasparisse nel modo più palese possibile.
Ariel iniziò a innervosirsi: come poteva dimostrare loro di non sapere di che diavolo stessero parlando se, a prescindere, sembravano non voler credere alle sue parole?
-Ci è stato riferito che potrebbe essere ancora vivo- disse l'agente Jean, pronunciando ogni parola molto lentamente, scrutando il giovane nel tentativo di scorgere ogni più piccola, sua reazione.
Ariel serrò le labbra e si limitò a scuotere la testa, quasi con violenza.
-È morto- ribadì.
-E questo, allora, chi sarebbe?- domandò l'agente, lasciando scivolare sulla superficie del tavolo una fotografia che aveva pescato dal sottile fascicolo che aveva con sé.
Il giovane sgranò appena gli occhi, la vista sembrò appannarsi un po', restituendogli un'immagine di insieme poco chiara: più cercava di leggere ciò che aveva davanti a sé, meno riusciva a rendere precisi i contorni della figura ritratta all'interno della fotografia.
Con mani tremanti la raccolse dal tavolo, avvicinadola al viso, cercando di contenere l'emozione che l'aveva colto non appena la forma di quell'uomo era di colpo divenuta riconoscibile.
Deglutì un paio di volte, tentando di scorgere il più piccolo particolare che potesse aiutarlo a smentire l'identità di quell'individuo: nella foto indossava una felpa di colore rosso e un paio di jeans, non c'era un solo centimetro di pelle scoperto più del necessario, perciò non riuscì a scorgere il tatuaggio a forma di serpente che Roland si era fatto fare intorno ai vent'anni sul braccio destro.
Nonostante ciò, sembrava lui, sembrava suo fratello: rabbia e gioia iniziarono a lottare dentro di lui.
Sarebbe stato felice se suo fratello fosse stato ancora vivo. Allo stesso tempo non avrebbe potuto fare a meno di essere anche arrabbiato con lui per averlo abbandonato, per avergli spezzato il cuore.
-È suo fratello?- domandò l'agente Jean, e suo malgrado Ariel finì per annuire debolmente.
La donna trasse un lungo sospiro, scambiandosi uno sguardo di sottecchi con il suo collega: l'ispettore Boyer scosse la testa senza aggiungere una sola parola.
-Mi dispiace, signor Morel- disse la poliziotta, allungando una mano nella sua direzione per recuperare la fotografia.
Ariel si passò una mano sulle guance, cercando di asciugare le lacrime che, ribelli, erano fuggite ai suoi occhi.
Strinse la foto tra le mani, mentre l'agente ne afferrava un angolo senza, tuttavia, tirare. Attese che fosse il giovane, spontaneamente, a lasciare la presa, anche se sembrava che quello non fosse affatto intenzionato a restituirla loro.
-Non è suo fratello, signor Morel- sussurrò l'agente Jean con delicatezza.
Il giovane mollò di colpo la fotografia, troppo stupito da quelle parole. La donna la prese in consegna, rimase a fissarla per qualche secondo prima di inserirla nuovamente nel fascicolo.
-È un attore- gracchiò l'ispettore: -Uno di quelli che si mantengono lavorando per un'agenzia che presta quelli come lui a piccole farse familiari: scherzi, soprattutto. Il caso ha voluto che questo signore assomigli molto al suo defunto fratello- gli spiegò, schiarendosi più volte la voce.
-Un attore?- chiese Ariel, aggrottando la fronte.
-Il suo nome è Edgard Barbier. Assomiglia molto a suo fratello, ma non è lui. Anche se sospettiamo sia stato ingaggiato per perseguitare qualcuno a causa proprio della sua somiglianza con suo fratello-
-E credevate l'avessi assoldato io?- chiese Ariel, sentendosi sempre più devastato da quella situazione: aveva appena pianto per un uomo che non conosceva e i due poliziotti gli avevano mostrato quella fotografia volutamente senza informarlo preventivamente che non si trattava di Roland.
Volevano tastare la sua reazione? Benissimo, l'avevano ottenuta: non c'entrava con quella faccenda.
-Sta perseguitando Irèné?- chiese, alzando un po' il tono di voce.
-Non siamo tenuti a rispondere a queste domande. C'è un'indagine in corso e...- iniziò col dire l'agente Jean.
-Eppure siete tenuti a giocare con i sentimenti degli altri?- la interruppe, battendo le palme delle mani con forza contro la superficie del tavolo.
L'ispettore Boyer sgranò gli occhi, stupito da quella reazione violenta, mentre la sua collega assottigliava lo sguardo, cercando di comprendere cosa le stesse sfuggendo del comportamento di quell'uomo: non sapeva nulla di Barbier, era evidente, non era coinvolto in quella storia.
Eppure Ariel Morel le metteva i brividi.
Era insoddisfatta di come quell'interrogatorio sembrava si stesse concludendo: sentiva dentro di sé di avere a che fare con un colpevole, di che cosa non ne aveva idea, ma era certa che, se avesse potuto, non si sarebbe azzardata a rimetterlo in libertà.
-Ci dispiace averla ferita, non era nostra intenzione. Desideravamo sapere se fosse o meno coinvolto in questa storia- disse Boyer, alzandosi dalla sedia. L'agente Jean seguì il suo collega, in collera con se stessa per l'esito dell'interrogatorio: non poteva incriminare un uomo perché il suo istinto le suggeriva che sarebbe stato meglio in prigione, ma si concesse di rivolgergli un'occhiataccia, mentre lo informava che sarebbe stato rilasciato da lì a poco, sforzandosi persino di aggiungere delle scuse a conclusione del suo discorso.
-Non mi piace- disse al collega quando si trovarono fuori dalla portata d'orecchi di Morel. L'ispettore si strinse nelle spalle.
-Non puoi arrestare uno solo perché ti sta sul cazzo- borbottò quello, mettendo le mani in tasca. L'agente Jean annuì poco convinta, seguendo l'uomo dentro l'ufficio del commissario, lì dove si trovavano anche Irèné ed Emil in attesa dell'esito del loro interrogatorio.
Alla poliziotta i due non stavano molto simpatici: non comprendeva per quale motivo fossero rimasti lì in attesa, né tanto meno perché il commissario avesse concesso loro una tale opportunità, dato che non erano tenuti a conoscere i dettagli della loro investigazione, seppur il caso riguardava proprio loro.
Quella sua indisponenza nei loro confronti era dovuta, forse, all'apparente ostilità con cui Irèné Laurant si era rivolto verso di lei e i suoi colleghi quando era stato informato dell'arresto di Morel?
La donna scosse la testa, sentendo i capelli, stretti in una lunga coda alta, sfiorarle la base del collo.
Avrebbe dovuto imparare a controllare meglio le proprie emozioni, lasciando che il suo istinto divenisse immune alle influenze derivate da simpatie e antipatie.
-Il giovane era all'oscuro dell'esistenza di Barbier- disse Boyer e il commissario Lacroix trasse un lungo respiro, rilasciando l'aria subito dopo, molto lentamente, evidentemente frustato da quella situazione.
-Cosa ha fatto per fare incazzare così tanto Dumont?- domandò Lacroix rivolgendosi a Irèné.
Il giovane si sentì infastidito dalle insinuazioni del commissario, ma si limitò a stringersi nelle spalle, non sapendo che dire. Emil gli passò un braccio intorno alle spalle, attirandolo a sé: gli baciò la fronte e prese ad accarezzargli il braccio nel tentativo di placare i suoi tremori.
-Sono contrario al vostro piano- disse poco dopo.
Il commissario si lasciò andare contro la spalliera della sedia, allontanatosi di un paio di centimetri dalla scrivania. Prese a strofinarsi gli occhi con due dita, prima di tornare a fissare i due giovani con una certa irritazione.
-Abbiamo bisogno della confessione di Dumont- ripeté per l'ennesima volta.
-E non potete trovare una soluzione alternativa? Qualcosa che non metta a rischio la vita del mio compagno?-
-Come le ho già spiegato, signor Girard, il suo compagno non sarà solo. Durante l'operazione noi saremo con lui, lo seguiremo passo per passo e non appena Dumont confesserà l'omicidio di Masson, interverremo-
-E se prendeste un granchio così come avete appena fatto con Morel?-
-Volete risolvere questa situazione oppure no?-
-Perché non interrogate Barbier?-
-Perché probabilmente non è coinvolto nell'omicidio di Masson: rischiamo di mettere in allarme il nostro colpevole.-
Il commissario Lacroix aggrottò la fronte: voleva aiutare i due ragazzi a risolvere il loro problema, ma quel Girard stava incominciando a indispettirlo non poco.
-Io voglio essere presente- disse Emil.
-Cosa?!- esclamò incredula l'agente Jean.
-Non se ne parla- affermò il commisario: -Dovremo prestare attenzione al suo compagno, sarà un'operazione delicata, non possiamo trovarci con un secondo civile coinvolto nell'azione. Anche perché la sua presenza sarebbe totalmente ingiustificata-
-Non mi importa che sia giustificata o meno. Preferisco rendervi consapevoli della mia decisione. Non lascio solo Irèné-
-Emil...- mormorò il diretto interessato, cercando di farlo ragionare.
-Non esiste, dannazione!- lo interruppe il suo compagno: -Non ti mollo adesso che ti ho ritrovato. Non posso permettermi di saperti in pericolo senza poterti stare vicino- disse, coprendosi il viso con entrambe le mani. Irèné lo strinse a sé, poggiando il mento su una spalla dell'altro.
-Se mi verrà impedito di essere presente, troverò il modo per esserci lo stesso- disse Emil e nonostante la sua voce giungesse agli altri attutita da dietro il suo nascondiglio, il tono di voce che usò assunse un'inequivocabile sfumatura minacciosa.
-E va bene!- acconsentì il commisario, urlando quasi. Si ricompose velocemente riprendendo a parlare con più calma: -Preferisco averla con noi che libero di commettere qualche errore da solo. Potrei perfino provvedere al suo arresto se si azzarderà a metterci il bastone tra le ruote-
-Invece, mi comporterò bene. Se potrò essere presente, riuscirò a mantenere la calma-
-La prendo in parola, signor Girard- disse il commisario, anche se apparve chiaramente poco convinto di quella soluzione.
Poco dopo congedò i due uomini e proprio mentre uscivano dal suo ufficio videro Ariel attraversare il corridoio, seguito da un agente in divisa.
Irèné si irrigidì immediatamente e arrossì, mentre il commissario imprecava tra i denti per la tempistica che lo aveva condotto a commettere un tale errore, riuscendo a fare incontrare i tre: cosa che avrebbe preferito di gran lunga evitare. Dopotutto, aveva esortato più volte i suoi agenti a smentire ogni riferimento durante l'interrogatorio di Morel a Laurant, per salvaguardare la privacy dell'uomo e l'andamento della loro indagine.
Sembrava che la situazione stesse sfuggendo dal suo controllo. Troppe persone coinvolte sentimentalmente e pochi fatti concreti: tutti ciò rischiava di compromettere il suo lavoro.
-Irèné...- sussurrò Ariel, fermandosi a pochi passi da loro. L'agente al suo fianco gli afferrò un braccio, esortandolo a procedere verso l'uscita. Emil fece un passo avanti, piazzandosi tra i due: il giovane rivolse un lungo sguardo verso il moro, cercando di comprendere chi fosse. Non l'aveva mai incontrato né visto oltre la forma che di lui avevano saputo tracciare le parole di Irèné nella sua mente. Nonostante tutto comprese immediatamente chi era e provò un forte imbarazzo nel trovarselo davanti.
Abbassò gli occhi al pavimento, sentendosi colpevole come mai gli era capitato sino a quel momento.
-Mi dispiace- sussurrò e si lasciò condurre dall'agente lontano da lì.
Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top