18
Buio.
Nessun odore. Nessun rumore.
Assurdo.
Respiro.
Il fiato si condensa davanti al viso in una morbida nuvoletta bianca.
Sono vivo.
Non sento niente.
Il mio corpo, il mio cuore.
Persino i miei pensieri sembrano essersi spenti.
Non riesco a muovermi.
C'è qualcuno...?
Le braccia sono pesanti: vorrei alzarne una, portare una mano al petto, accertarmi che il mio cuore non abbia smesso di battere, ma non ci riesco.
Vorrei aprire gli occhi, ma non riesco a sollevare le palpebre.
È difficile.
Ho paura.
Il sangue prende a scorrere veloce nelle vene.
Mi stanno facendo del male?
Dove sono Fabien e Bèatrice?
Dove sono io?
Ho bisogno di vedere, di aprire gli occhi; mi sento legato, imprigionato.
Vorrei urlare.
Non posso muovermi.
Come se fossi inchiodato contro la superficie che sostiene il mio corpo.
Non sono più all'aperto.
Apro gli occhi.
È buio.
Sento il cuore battere.
Riesco a muovere le braccia, le gambe, ma sbatto subito contro qualcosa.
Sono dentro una bara.
Urlo, ma dalla mia bocca non riesce ad uscire alcun suono.
Le mani iniziano a battare contro la superficie, scalcio, percepisco il rumore inconfondibile del legno che si spezza.
Ancora calci, graffio il coperchio con le unghie, le sento spezzarsi.
Improvvisamente inizio a toccare qualcosa di umido: è morbido, senza odore. Finisce negli occhi, nella bocca, mi sento soffocare.
È terra.
Non mi fermo.
Devo tornare dai miei figli.
E da Emil.
Mi trovo di colpo fuori, all'aperto.
Mi guardo intorno.
Sono in un cimitero e non in uno qualunque.
Ai piedi della tomba di Roland.
La terra è smossa, la lapide spezzata, tracciata di netto a metà: persino la fotografia è spezzata.
Percepisco un rumore, mi volto nella sua direzione.
E Roland è lì, davanti a me.
E sembra vivo.
•
Irèné si svegliò di soprassalto.
Percepì chiaramente il suo corpo saltare sul letto, staccarsi per pochi millisecondi dalle lenzuola, mentre apriva gli occhi e ricadeva giù.
Il respiro era breve, affaticato, la pelle imperleata di sudore.
Ancora una volta gli aveva permesso di tornare a perseguitarlo, persino nei suoi incubi, nel momento più intimo e innocente di un essere umano, durante il suo sonno.
Allungò una mano verso uno dei comodini, recuperando il cellulare. Lesse l'ora sul display non appena quello si illuminò: le ore otto e quattordici minuti.
Era mattina, ma la finestra era chiusa, le tende tirate: si trovava al buio.
Sbuffò, spense la luce artificiale e si lasciò ricadere sul letto.
Improvvisamente venne colto da una strana inquietudine.
Sgranò gli occhi nell'oscurità, cercando di decifrare le ombre che l'affollavano. Riconobbe presto i contorni di qualche mobile, ma rimaneva impossibile riuscire a vedere davvero qualcosa.
Vide una sagoma di fianco al letto.
I contorni erano imprecisi, ma sembrava che stesse lì a osservarlo.
Un brivido freddo gli corse lungo la schiena e iniziò a muoversi piano, impaurito dalla possibilità di scatenare una reazione con un qualsiasi suo movimento.
Non accadde nulla.
Accese l'abat-jour.
Trasse un lungo respiro profondo, rendendosi conto di aver scambiato la sedia, sulla quale aveva riposto i vestiti che aveva tolto la sera precedente, prima di indossare il pigiama, per un uomo.
Si lasciò scappare un risolino nervoso, eppure gli occhi continuarono a saettare nella stanza, con il terrore di scorgere qualsiasi cosa fuori posto.
Ogni volta che distoglieva lo sguardo da un punto era come se venisse calamitato nuovamente su quello, con la paura, il dubbio che qualcosa fosse mutato nell'arco di quei pochissimi secondi.
Nonostante tutto, era solo nella stanza.
Poggiò la schiena contro la testata del letto e riprese il cellulare.
Desiderava distrarsi, ma non aveva idea di come fare.
Prese a scorrere la homepage di uno dei social ai quali era iscritto, con l'intenzione di ficcanasare nelle vite altrui, nella speranza che quelle gli fornissero un diversivo sufficientemente solido per i suoi scopi.
Non andò esattamente come si era aspettato e finì per bloccarsi a spulciare le foto del profilo di Emil.
La maggior parte erano vincolate dalla privacy e lui non poteva visualizzarle, dato che per quel social erano due perfetti sconosciuti.
Gli sfuggì un sorrisino, così triste e amaro da far produrre alla sua gola un suono simile a un singhiozzo.
Scosse la testa e ripose il cellulare vicino a sé.
Aveva ancora paura, non riusciva a pensare di spegnere la luce e rimettersi a dormire come nulla fosse.
Era certo che tutta quella inquietudine era da attribuirsi alle sue allucinazioni del giorno prima, ma stentava a trovarvi altrettanto facilmente una soluzione.
L'unica che gli venne in mente la scartò subito, consapevole di quanto poco fosse applicabile.
Vi rifletté a lungo, convinto com'era che solo la voce di Emil avrebbe potuto aiutarlo a riprendersi da quel suo momento.
Ovviamente, non fece nessuna telefonata al suo ex.
Iniziò a pensare agli eventi che lo avevano visto coinvolto nelle ultime settimane: il tempo era trascorso così velocemente tanto da non fargli pienamente rendere conto di quanto si fosse avvicinato il periodo di festa del paese.
La settimana successiva ci sarebbe stata la famosa Rievocazione storica di Provins.
Tutti quegli avvenimenti l'avevano tenuto abbastanza lontano dai suoi genitori, da sua sorella: se ne rese conto proprio perché non ricordava quale fosse stata l'ultima volta in cui Edith l'avesse inportunato con la storia del principe: aveva più insistito nel volerlo costringere a prendere parte all'evento con addosso quello stupido costume?
Non lo ricordava.
E suo padre: come aveva risolto i suoi problemi burocratici con Emil? Era riuscito a convincerlo a tenere la falconeria aperta per l'evento? Oppure quello sarebbe stato un altro anno senza falchi?
Si stava allontanando da loro.
Si era permesso di lasciarsi risucchiare da quel vortice di episodi terribili, da Emil, dimenticandosi quasi delle cose concrete e, per lui, importanti.
Avrebbero risolto il problema con Michelle e poi avrebbe dovuto decidere che farne di quei suoi sentimenti per il bel falconiere.
Emil odiava essere omosessuale, Irèné lo sapeva e non poteva di certo colpevolizzarlo per quello.
Ma non poteva attendere altri quindici anni – sempre che tanti sarebbero bastati al giovane per accettarsi – per sentirsi dire ancora una volta "ti amo", con la paura di dover ricevere anche l'ennesimo "ma...".
Non voleva continuare a privarsi dell'amore e, per assurdo, per riuscirvi avrebbe dovuto rinunciare a Emil.
Percepì un nodo stringersi in gola.
Scosse la testa con violenza e si alzò di colpo dal letto, scostando le coperte con un unico gesto violento e trovandosi a poggiare i piedi, nudi, sul pavimento freddo.
Trasalì, ma rimase lì come a voler attingere da quell'improvviso cambio termico uno shock sufficiente a distrarlo dalle proteste del suo cuore.
Uscì dalla stanza dirigendosi verso la cameretta dei figli.
Le finestre che si aprivano nel corridoio che collegava le camere avevano le persiane spalancate. I primi, timidi, raggi di sole fecero capolino all'interno della casa, illuminandola, rendendo l'ambiente più caldo e accogliente.
Mentre il giovane passava davanti le due finestre percepì la carezza impalpabile del sole sulla pelle, sentosi scaldare e, in qualche modo, rincuorare.
Sorrise, mentre si fermava davanti la porta della stanza dei bambini: la dischiuse con delicatezza, illuminando il pavimento con la torcia del cellulare, per poi avvicinarsi quatto ai loro letti.
Prese a osservarli mentre dormivano, direzionando la luce in modo che li illuminasse senza disturbare il loro sonno.
Bastò potersi riempire gli occhi delle immagini tranquille e beate di Fabien e Bèatrice per sentirsi un po' meglio.
Delicatamente prese posto vicino al figlio, stendendosi al suo fianco: gli baciò i capelli, riempiendosi i polmoni del suo profumo, le orecchie del suono dei suoi respiri, mentre sotto la palma di una mano percepiva chiaro il battito del suo cuoricino.
Spense la torcia dopo aver rivolto uno sguardo al lettino di Bèatrice... e sussultò immediatamente nel sentire qualcuno suonare il campanello di casa, con violenza, rimanendo con il dito premuto sul pulsante.
Sentì i suoi figli protestare nel sonno, si alzò di corsa dirigendosi verso l'ingresso con il cuore in gola.
Si fermò dietro la porta, cercando di calmarsi, di fare respiri profondi. Sbirciò dallo spioncino... e aggrottò la fronte.
-Che diavolo ci fai qui?- domandò subito dopo aver aperto la porta.
-Buongiorno anche a te, eh!- esclamò Camille indispettita. Gli diede una gomitata facendolo spostare dall'uscio, di modo da crearsi abbastanza spazio per poter passare.
Entrò in casa e abbandonò lo zaino a terra, vicino ai suoi piedi. Puntò le mani suoi fianchi e prese a guardarsi attorno con fare sospetto.
-Davvero, non capisco cosa ci trovi mio padre in te-
-E io non capisco a cosa tu ti stia riferendo-
Camille si volse nella sua direzione, rivolgendogli un'occhiataccia eloquente.
-Perché sei qui?- le chiese poco dopo, cercando di cambiare argomento: -Emil lo sa?-
-Ovviamente, no-
-Cosa?!- tuonò Irèné.
La ragazzina alzò gli occhi al soffitto e fece una smorfia con le labbra.
Gli volse le spalle, iniziando a perlustrare l'appartamento.
-Resterò qui!- annunciò, urlando dalla cucina.
Irèné la raggiunse, ancora abbastanza allibito da non riuscire a comprendere cosa stesse realmente accadendo.
-Come sei arrivata qui?-
-Con il treno, ovvio-
-E nessuno ti ha fermata alla stazione? Come hai raggiunto casa mia?-
-Eh! Quante domande! Ho viaggiato con delle amiche. Il tuo indirizzo me l'hanno dato Fabien e Bèa- ribatté stizzita, arrossendo leggermente e Irèné comprese che quella non doveva essere tutta la verità.
Aggrottò la fronte, deciso a scoprire cosa gli stesse nascondendo.
-Come hai fatto a trovarci tanto facilmente?- le chiese.
La ragazzina gli rivolse l'ennesima occhiataccia. Sfilò dalla tasca posteriore dei jeans un cellulare grande quanto lo erano entrambe le sue manine messe l'una di fianco all'altra, rivestito da una cover fuxia, ricoperta di strass.
-Ho usato Maps- disse, sventolandogli il cellulare davanti al viso.
Irèné lo allontanò con una mano.
-Come ha fatto tuo padre a non accorgersi di nulla?-
-Gli ho detto che oggi non sarei andata a scuola perché mi faceva male la testa-
-E ti ha creduto?-
-Certo! Era parte del piano.-
Camille avvicinò una sedia ai mobili della cucina: ci si arrampicò e prese ad aprire le ante degli stipetti.
-Trovato!- esclamò festante poco dopo, tirando fuori un pacchetto di patatine.
Irèné se ne appropriò immediatamente.
-Non ci pensare neanche- disse.
-Vuoi lasciarmi morire di fame?- protestò la ragazzina, incrociando le braccia sul petto.
Il giovane si limitò a inarcare un sopracciglio con fare scettico, senza aggiungere nulla. Ripose le patatine al loro posto e afferrò un pacco di biscotti.
-Latte?- le chiese, consegnandole il pacco tra le mani.
Camille arrossì nuovamente e abbassò gli occhi sul pavimento, prima di rivolgergli un'occhiata furtiva. Aprì il pacco e afferrò un biscotto, portandoselo alle labbra, mentre annuiva brevemente e si sedeva.
Irèné le volse le spalle, iniziando a recuperare l'occorrente per prepararle la colazione.
-Lo dirai a mio padre? Che sono qui, intendo. Che sono scappata-
Il giovane si lasciò scappare un sospiro. La fissò per un paio di secondi, prima di regalarle una carezza.
Non ne era certo, ma gli sembrò che gli occhi della ragazzina si riempissero di lacrime.
-Perché sei scappata di casa?-
-Devo nascondermi. Non voglio che mia madre mi porti via.-
Il giovane rimase allibito da quelle parole, ma non ebbe tempo di ribattere alcunché: sentì la porta di casa aprirsi.
Corse nell'ingresso.
-Ciao, figliolo!- lo salutò Valentine con aria festante, seguita da una donna di bassa statura, i capelli bianchissimi e gli occhi neri, come quelli di Emil.
-Malorie...- mormorò il giovane stupito, riconoscendo immediatamente la madre dell'uomo che amava, mentre Camille lo tirava per una delle maniche del pigiama, richiamando la sua attenzione.
-Le mie amiche!- esclamò la ragazzina, mentre sulle labbra le si dipingeva un sorrisino.
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