17
Quando Irèné uscì dall'ufficio, diretto verso l'istituto scolastico frequentato da Fabien e Bèatrice, comprese di non essersi ancora ripreso del tutto dal suo incontro - scontro con Ariel.
Più rifletteva sull'accaduto, più le gambe tremavano, le mani non riuscivano a mantenere la presa su nulla e un strano senso di inquietudine gli appesantiva il petto.
Si diresse verso il parcheggio sotterraneo dell'edificio che ospitava lo studio notarile nel quale lavorava, con l'intenzione di recuperare velocemente la sua auto e allontanarsi il prima possibile da lì.
Non vedeva l'ora di andare a prendere i figli a scuola, abbracciarli forte e cancellare dalla mente i ricordi di quella mattina.
Infilò una mano nella tasca esterna della sua ventiquattrore per recuperare le chiavi, alzò contemporaneamente gli occhi verso la sua auto e percepì come una strana fitta al polso, come se avesse compiuto un movimento troppo azzardato: l'articolazione sembrò bloccarsi per un attimo, venne meno la presa e le chiavi gli sfuggirono di mano.
Si chinò per raccoglierle dal suolo e, quando risollevò il viso, un brivido freddo gli scese lungo la schiena.
Trovò immediatamente il motivo che gli aveva suscitato tanto sgomento, a pochi metri da lui, nei pressi di uno dei pilastri portanti del garage sotterraneo.
Sgranò gli occhi, cercando di trovare qualsiasi cosa nei lineamenti del viso dell'altro che potesse smentire la sua identità.
Eppure, non era possibile, ma quell'uomo era... Roland.
Irèné azzardò un passo nella sua direzione, terrorizzato, stupito, un vulcano di emozioni contrastanti ad animarlo, a impedirgli di formulare un pensiero lucido.
Era un'allucinazione?
Roland si mosse: al passo di Irèné verso di lui, rispose compiendone uno indietro.
Il giovane percepì la pelle imperlearsi di sudore.
Si passò una mano sul viso, sugli occhi, asciugando le goccioline che minacciavano di finirgli tra le ciglia.
Ma quando li riaprì, Roland non c'era più.
Strinse le labbra in una linea sottile, disinserì l'allarme dell'auto, aprì la portiera e prese posto sul sedile del conducente.
Gettò la borsa al suo fianco e richiuse lo sportello con un gesto violento, producendo un rumore così inaspettato da farlo sobbalzare.
Inserì la sicura e la cintura.
Strinse le mani intorno al volante, tanto forte da farsi sbiancare le nocche delle mani.
Roland era morto.
L'anno precedente.
Era stato alla sua tomba.
Era ovvio che aveva appena avuto un'allucinazione, non c'erano altre spiegazioni plausibili.
Deglutì, scosse la testa, per poi battersi le mani sulle guance, schiaffeggiandosi.
Mise in moto e uscì dal parcheggio, tentando di distogliere la mente dall'accaduto.
Poco dopo recuperò i figli e con loro si diresse verso casa.
Non fu in grado di seguire i loro racconti su quanto avevano fatto a scuola: ogni movimento, ogni parola, finanche i sorrisi fugaci che rivolgeva loro erano frutti di gesti meccanici.
Un copione che aveva messo in scena per tanto tempo, ogni giorno della sua vita e che in quel momento stava arrivando a lui in soccorso, sopperendo alla sua scarsa lucidità mentale.
L'intera giornata continuò a quel modo: non fu in grado di costruire ricordi, né di registrare quanto stava accadendo. Implorava la sua mente di cancellare la proiezione di quell'immagine dai suoi occhi, ma quella sembrava volutamente ignorarlo e così finì che Irèné iniziò a vedere Roland un po' dappertutto, persino in casa sua.
Non riuscì nemmeno a seguire i figli, aiutandoli nei compiti che avrebbero dovuto svolgere per l'indomani; per tale motivo si decise a non mandarli a scuola il giorno successivo.
Telefonò persino ad André, avvisandolo che non si sarebbe presentato in ufficio la mattina dopo, proponendogli come scusa un'improvvisa influenza - che non aveva.
Credeva di stare commettendo un errore: non poteva dare tanto peso al ricordo di Roland, a quell'allucinante episodio.
Eppure... era esattamente ciò che stava facendo, preferendo nascondersi in casa con i suoi bambini.
-Papi, guarda!- esclamò Bèatrice, cercando di attirare l'attenzione del genitore.
Era sera, si trovavano nel soggiorno e sino a quel momento i due bimbi si erano impegnati nella realizzazione di alcuni disegni, mentre Irèné continuava a essere mentalmente distante da loro.
Sapeva che non avrebbe potuto continuare a nascondersi per sempre, ma sperava che almeno un giorno di pausa da tutti i suoi casini lo avrebbe aiutato a rilassarsi a sufficienza, quel tanto che gli avrebbe permesso di continuare a sopravvivere così come si era sforzato di fare fino a quel momento.
Era già tutto così difficile con Emil e Michelle e quelle orribili foto che continuavano ad arrivare.
Odiava Emil per quello: perché non si affrettava a denunciarla? Avevano le foto dei due investigatori che la coglievano in flagranza di reato.
Canut e Roy avevano affermato, durante il loro ultimo incontro, che le cose non stavano esattamente così, che era troppo presto per agire, poiché non si poteva dimostrare il contenuto di quelle lettere attraverso le fotografie da loro realizzate. Dovevano beccarla e fermarla subito dopo aver inserito la busta nella cassetta della posta: solo in quel modo avrebbero potuto provare che era proprio lei a importunarli, obbligandola ad aprirla e rivelandone il contenuto.
I due uomini avevano preso a sorvegliare casa di Emil, questa volta con l'intenzione di agire non appena avrebbero avvistato Michelle fare da "postina".
Ma la cosa si sarebbe chiusa lì?
E il suo cervello avrebbe smesso di tirargli quei colpi mancini che tanto lo stavano destabilizzando?
-È bellissimo, amore- mormorò, prendendo dalle mani della figlia un foglio, sul quale la bambina aveva disegnato dei pupazzetti un po' strani, che vagamente presentavano caratteristiche umane.
-Siamo noi?- le chiese.
Bèatrice annuì, indicando con un ditino le figure che componevano il disegno, una dopo l'altra.
-Questa sono io, questo è Fabien e questo sei tu, papi!- spiegò con tono trionfale.
-Oh, ma che bello!- esclamò Irèné: -E questo? È il maestro Jérôme?- continuò, indicando con un dito lo pseudo-uomo che compariva vicino a uno pseudo-albero.
-No, no. Lui è il mio amico.-
Irèné aggrottò la fronte, mente il suo sorriso si faceva un po' incerto.
-Quale amico, amore?- non credeva che Bèatrice avesse tra i suoi amici immaginari nessuno di umano.
Un orso polare di nome Noël.
Una fata rosa di nome Roseline.
Gli arrivava del tutto nuova la notizia di un uomo.
-Roland!- esclamò la bambina.
E Irèné impallidì.
Si alzò di colpo dal divano, tirandosi dietro la bambina che, spaventata dalla reazione del padre, sgranò gli occhi.
-Dove l'hai conosciuto? Perché non me l'hai detto prima?- le urlò contro, scuotendola un po'.
Bèatrice prese a piangere e urlare, scalciando per liberarsi dalla stretta del padre.
Sopraggiunse Fabien al suo fianco: Irèné lo afferrò per un mano, strattonandolo verso di sé, mentre l'altra riusciva a scappare dalla sua presa, e correva a nascondersi dietro il divano, continuando a piangere.
-Chi è Roland?- urlò Irèné e anche Fabien si spaventò, non riconoscendo, in tutta quella furia, suo padre.
Più il giovane continuava a urlare e porre loro domande, più i bambini sembravano spaventarsi.
Era come se fossero entrati all'interno di un circolo vizioso, fatto di gesti sbagliati, ai quali nessuno di loro sembrava in grado di rinunciare per porvi rimedio e trovare un punto di incontro: i bambini erano troppi piccoli per capire per quale motivo il loro papà fosse tanto arrabbiato e Irèné aveva perso anche l'ultimo brandello di lucidità, soccombendo alla sua ira.
Fabien urlò, sfilò il polso dalla presa del padre e tentò di spingerlo lontano da sé.
Irèné rispose con uno schiaffo.
Il bambino sussultò e si portò una mano alla guancia, più stupito che dolorante.
Irèné sgranò gli occhi e sembrò tornare cosciente di ciò che stava accadendo.
Si lasciò cadere sulle ginocchia, portandosi le mani ai capelli, guardandosi attorno spaesato, terrorizzato dalla sua stessa rabbia.
Tutto sembrava stesse andando in mille pezzi.
Ancora una volta per colpa di Roland.
Bèatrice l'aveva visto.
Lui l'aveva visto.
Perché non era morto?
-Mi dispiace, amore mio, mi dispiace tanto...- mormorò tra le lacrime, allungando le mani verso il figlio.
Fabien dapprima scosse la testa, poi allontanò la manina dalla guancia che si era appena un po' arrossata.
Bèatrice uscì dal suo nascondiglio, correndo verso il padre, gettandogli le braccia al collo.
Al bambino non piaceva affatto quella situazione: capiva che qualcosa non andava, ma suo padre sembrava essere tornato la persona di sempre, la stessa che l'anno prima si era conquistata la sua fiducia, diventando il suo papà.
Non gli era mai piaciuto Roland, l'ex fidanzato di Irèné: ne aveva un vago ricordo di quando stavano insieme, ma sapeva per quale motivo suo papà si era arrabbiato tanto quando aveva scoperto che era diventato amico di Bèatrice.
Dopotutto, quando stavano insieme litigavano sempre, e poi si erano persino lasciati.
Si convinse che avrebbe obbligato sua sorella a smettere di essergli amica, a ignorarlo durante la ricreazione, quando si presentava nel giardino della scuola per giocare con i bambini, prendendosi una pausa dal suo lavoro di bidello.
Non voleva che suo padre soffrisse tanto.
Decise che non gli avrebbe detto nulla, che non lo avrebbe fatto preoccupare e che avrebbe risolto da solo quella situazione.
Così tutto sarebbe tornato normale.
Sorrise e corse ad abbracciarlo.
Irèné sollevò, con un po' di fatica, entrambi i bambini da terra.
Presero posto sul divano, cercando di dimenticare quanto accaduto poco prima.
-Mi promettete che d'ora in avanti, se qualcuno che io non conosco verrà a parlare con voi, me lo verrete subito a dire?- chiese loro, mentre asciugava il viso della piccola Bèatrice, bagnato di lacrime. La bambina annuì.
-Soprattutto questo Roland... chi è? Come lo avete conosciuto?-
-È...- inizio col dire Bèa.
-È un amico di Noël e Rosaline- la interruppe Fabien, lasciando intendere che fosse uno degli amici immaginari della sorella.
Bèatrice aggrottò la fronte e fece per ribattere alle parole del fratello, ma si interruppe subito, quando suo padre iniziò a ridere.
Irèné non aveva idea del perché sua figlia avesse scelto quel nome, forse si trattava di qualche ricordo fugace dei suoi primi mesi con lui, quando ancora stava con Roland.
Un amico immaginario.
Gli era venuto un mezzo infarto senza un valido motivo e più pensava a ciò, più le sue risate aumentavano, tanto che gli si riempirono gli occhi di lacrime.
Bèatrice venne contagiata dall'ilarità del padre e Fabien tirò un sospiro di sollievo, mentre quella loro bugia apriva una strada che li avrebbe condotti verso qualcosa di orribile.
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