15
Emil chiuse la porta di casa alle spalle, traendo un lungo sospiro.
-Sei tornato- lo salutò Edith, rivolgendogli un'occhiata severa.
Il giovane scosse la testa, percependo la tensione abbandonarlo di colpo: ogni volta che si separava fisicamente da Irèné, ogni volta che non poteva posare gli occhi su di lui, sulla sua solida presenza, sembrava che il mondo divenisse di colpo pesante, aggravandosi sulle sue spalle, obbligandolo a trascinare i piedi nel tentativo di andare avanti.
Era una cosa che non avrebbe mai avuto coraggio di dire a voce al diretto interessato, ne era consapevole, così come era certo che quel strano sentimento di dipendenza nei suoi confronti avesse un nome ben preciso.
-Camille?- domandò alla ragazza.
-Nella sua stanza-
-Perché sei qui?-
-Sul serio, Emil? Pensavi che avrei lasciato tua figlia da sola? Sarà pure una rompicoglioni tanto quanto una persona adulta, ma rimane una ragazzina di undici anni. Era in casa mia sino a un'ora fa, ne avevo la responsabilità. Tu non sei venuto a prenderla, lei voleva tornare a casa e così l'ho accompagnata. È vero, viviamo in un paesino dove tutti si conoscono, si vogliono bene e si vive bene. Resta di fatto che legalmente non puoi abbandonare una minore per scopare con mio fratello.-
"Certo" pensò con amarezza "Tutti santi a Provins. Solo io ho incontrato l'orco."
Ignorò completamente la seconda parte della sua frase; poteva anche aver intuito che tornava da un incontro con suo fratello, ma non sarebbe stato di certo lui a darle conferma di quella ipotesi.
E mentre stava lì a rimurginare su quanto fossero assurde le convinzioni dell'altra, ebbe come un'epifania.
Sgranò gli occhi e si lasciò cadere su di una sedia. Poggiò un gomito sulla superficie del tavolo, reggendosi la fronte con una mano.
-Michelle vuole mia figlia- sussurrò, più a se stesso che rivolgendosi a Edith.
La giovane aggrottò la fronte, sedendosi al suo fianco.
-Cosa te lo fa credere?- gli chiese.
Emil rimase in silenzio per qualche secondo, cercando di comprendere quanto Edith fosse a conoscenza di quella storia: Irèné gliene aveva parlato? Non poteva saperlo, dato che si rifiutava di rivolgere al suo ex migliore amico domande personali, ostinandosi a mantenere quel certo distacco che lo faceva sentire al sicuro, come se fosse ancora in pieno possesso del potere decisionale su i suoi sentimenti.
Non aveva nessun altro su cui potesse contare.
Per quanto Malorie avesse reagito in maniera empatica dopo aver compreso la verità sul passato del figlio, rimaneva una persona a lui, ormai, estranea, con la quale aveva condiviso ben poco della propria vita negli ultimi dieci anni.
Persino Camille si trovava meglio nel trascorrere il proprio tempo con Valentine Laurant che con sua nonna.
E tornare ad aprire un canale comunicativo con Irèné sapeva che sarebbe stato controproducente, per via di ciò che aveva già deciso su quel loro.
-Credo che le sia venuta voglia di fare la mamma- sussurrò.
-Dopo undici anni?- chiese incredula Edith.
-È l'unica spiegazione che riesco a darmi-
-Riguardo a cosa?-
Secondo il suo ragionamento, Emil dedusse che, ciò che stava tentando di fare la sua ex moglie, era proprio distruggerlo a livello sociale e poteva aver scelto di intraprendere quella strada solo per Camille. Che lo facesse per desiderio materno oppure per soldi, quello non poteva saperlo.
Certo era strano che fosse arrivata all'attacco proprio a poche settimane dall'apertura del testamento di Vincent.
Il giovane strinse le mani tra di loro con forza, serrò la mascella, decidendo di rivelare all'altra parte della situazione che stava vivendo con Irèné.
-Ricevo delle foto... particolari. Di me e un altro uomo. Credo che stia cercando di dimostrare che non sono all'altezza di essere un buon padre, di modo da ottenere una revisione dell'affido della bambina-
-Il fatto che tu abbia fatto sesso con un uomo non fa di te un cattivo padre- rispose Edith risoluta.
Il moro si rese conto che l'altra non aveva fatto il nome di suo fratello. E ciò lo convinse di aver optato per la scelta migliore, decidendo di rivelarle solo parte della verità: evidentemente, Irèné non si era confidato con lei.
Non che gli importasse particolarmente, ma non aveva intenzione di causargli ulteriori problemi con un altro membro della sua famiglia.
Dopo quindici anni, persino lui stentava a ricambiare lo sguardo di Martin, anche quando lo incontrava di sfuggita per le strade del paese.
Continuava a provare lo stesso imbarazzo che lo aveva colto da ragazzo, quando l'uomo l'aveva beccato nel letto del figlio.
-Non è il sesso in sé, almeno, credo. Il punto è che ero con un uomo mentre mia figlia stava in casa con una babysitter-
-Non era sola- sottolineò la giovane.
-Sinceramente, in quel periodo non stavo molto bene. Non ricordo, effettivamente, le volte in cui non ero in casa e Camille restava in compagnia della babysitter. Non ho la certezza assoluta di aver dimenticato, possibilmente, uno di quei giorni, di chiamare la ragazza per farle compagnia-
-Quindi... è possibile che, come oggi, allora... quando? Lei sia rimasta da sola in attesa del tuo rientro-
-Sì. L'anno scorso.-
Edith rimase in silenzio per un po', riflettendo su quanto l'altro le avesse rivelato.
-È una situazione complicata- mormorò.
"Complicata" si ripeté mentalmente Emil, più volte, tentando di assaporare sino in fondo la corposità di quella parola.
Poco alla volta iniziò dapprima a sorridere, fino a quando quello non si aprì sul suo viso accompagnando quella che era divenuta una vera e propria risata.
Edith lo fissò incredula, stupita da quella sua reazione.
"Complicata! Vuole portarmi via la mia bambina, l'unica cosa al mondo che mi impedisce di ammazzarmi" pensò con amarezza, mentre la sua ilarità si spegneva e un nodo gli si stringeva in gola.
Nascose il volto tra le braccia, curvandosi sul tavolo, nel tentativo di celare all'altra le lacrime che erano tornate, ribelli, a rigargli le guance. Si sentiva disperato, perso e fragile, tanto da non riuscire più a sopprimere quella sua parte così debole.
Stava venendo fuori di colpo, a causa di Irèné e Michelle, nel momento meno opportuno, quando entrambi sembravano aver trovato sufficientemente forza per schiacciarlo: il primo con il suo amore, lo stesso che Emil non era ancora pronto ad accogliere, lo stesso che lo faceva sentire come se stesse soffocando; la seconda per portargli via l'unico punto fermo della sua vita.
Percepì una carezza scivolare tra i capelli e si irrigidì: riconobbe immediatamente la piccola mano.
Strofinò il viso contro la manica del maglioncino che indossava, asciugandosi gli occhi; sorrise, mentre si rivolgeva alla figlia, in piedi al suo fianco.
Camille non gradì affatto il sorrisino del padre, strinse gli occhi, rivolgendogli un'occhiataccia, prima di tramutare la carezza in uno scappellotto.
-Ehi!- protestò suo padre.
-Cosa succede?- domandò la ragazzina.
-Cose...-
-Se stai per dire "cose da grandi" mi arrabbio sul serio- lo interruppe subito.
Emil si morse un labbro, scosse la testa.
Prese a torturarsi il mento e le labbra con una mano, distogliendo gli occhi dalla figlia.
-Devi dirglielo. È abbastanza intelligente da comprendere la situazione- disse Edith, alzandosi dalla sedia e raccattando le sue cose, mentre si dirigeva verso la porta di ingresso con l'intenzione di lasciare padre e figlia da soli a discutere di quella faccenda.
Per quanto si fosse affezionata a entrambi, rimaneva un'estranea e non si sentiva all'altezza di prendere parte a quella discussione.
-Oh, ma grazie!- esclamò Camille adirata.
-Puoi sentirti una prima donna, adulta e matura. Resta di fatto che sei una ragazzina. E aggiungerei meno male, perché tuo padre, al momento, ha proprio bisogno di te, della sua bambina, non di un'altra donna stronza- disse, prima di uscire dall'appartamento senza attendere ulteriori risposte.
Camille riportò gli occhi sul padre, osservandone i lineamenti. Si sentì quasi spaventata da ciò che vide: era pallido e sembrava invecchiato di colpo.
Non voleva che si sentisse a quel modo, non aveva idea del perché, cosa stesse succedendo, ma era certa di volere essere l'unica "donna" al mondo in grado di far preoccupare a quel modo suo padre.
-Hai una nuova fidanzata?- gli chiese. Emil ridacchiò, scosse la testa, lasciando cadere la mano con cui si stava torturando le labbra sulla superficie del tavolo. Riportò la propria attenzione su di lei.
-No. È... si tratta di tua madre- la ragazzina aggrottò la fronte, le piccole narici presero a dilatarsi ritmicamente, mentre il cuore prendeva a batterle più velocemente e i respiri si facevano brevi.
-Che vuole quella stronza?- sbottò.
-Te- rispose semplicemente Emil.
Fu proprio come ricevere una secchiata d'acqua gelida: rimase come pietrificata, mentre quel freddo sembrava penetrarle nelle ossa, lasciandola frastornata e disorientata.
Urlò con tutto il fiato che aveva nei polmoni, sentendoli bruciare per lo sforzo.
Emil si alzò dalla sedia e l'abbracciò, ma la ragazzina iniziò a colpirlo, a dargli calci e pugni, tentando di allontanarlo da sé. Il giovane la sollevò da terra, la strinse tra le braccia, mentre lei si aggrappava disperatamente alle sue spalle, cingendogli la vita con le gambe.
Emil prese a cullarla dolcemente, sentendola piangere sulla sua spalla. Poco alla volta i muscoli si rilassarono, la presa si fece meno ferrea e il giovane sospirò di sollievo sentendola calmarsi.
-Ehi- disse con tono dolce e percepì Camille scuotere la testa contro la sua spalla.
-Non voglio che mi porti via- mormorò sua figlia.
-Non permetterò che accada-
-Perché mi vuole? Perché è tornata?- domandò, sollevando il viso verso quello del padre.
-Michelle è cresciuta, amore. Magari è cambiata, magari adesso è pronta per essere la tua mamma- disse, anche se lui stesso non era molto convinto di quanto stava dicendo. Se davvero così fosse stato, avrebbe cercato di entrare nella vita della figlia con delicatezza, rispettando i suoi tempi, finanche il suo stesso odio, lo stesso che lei stessa aveva alimentato nel tempo, abbandonandola quando aveva pochi mesi, sparendo e infischiandosene di sua figlia per ben undici anni.
-Non abbiamo bisogno di lei- rispose risoluta.
-Io no. Ma tu... tu sì, è la tua mamma-
-Ho detto di no!- urlò, scalciando per liberarsi dalla sua presa. Emil la lasciò libera di toccare nuovamente il pavimento con i propri piedi.
Camille si allontanò i capelli dal viso con un gesto rabbioso della mano. Aveva già smesso di piangere, troppo arrabbiata e "adulta" per concedersi tale debolezza.
Michelle voleva essere di nuovo la sua mamma.
Guardò suo padre negli occhi e percepì il cuore stringersi in una morsa dolorosa.
Era lui che voleva, era lui la sua famiglia. Le apparteneva, era il suo papà.
Nessuna era mai stata alla sua altezza, neanche una avrebbe potuto affermare di averlo amato tanto quanto lo amava lei, perché era parte di lui, era sua figlia.
Nessuna... neanche Michelle.
Non avrebbe permesso più a nessuna donna di mettersi in mezzo tra loro due: suo padre aveva già sofferto, e tanto, a causa dell'amore e di tutte quelle ochette che si erano susseguite al suo fianco negli ultimi anni non ce ne era stata una che le fosse stata almeno un po' simpatica. E quelle stronze erano arrivate così, sentendosi padrone di Emil, lo stesso uomo che apparteneva a lei e a lei soltanto, alle volte persino accaparrandosi attenzioni che, diversamente, sarebbero state esclusivamente sue.
Quella volta sarebbe stato diverso?
Camille ne era convinta.
E non perché Michelle era sua madre, ma perché lei le avrebbe impedito con tutte le sue forze di mettersi in mezzo, impedendole di portarla via da suo padre.
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