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Quella domenica pomeriggio, Irèné si trovò a fissare il profilo dell'uomo al suo fianco, mentre entrambi stavano in attesa, seduti intorno a un tavolino di un modesto, ma pittoresco bar parigino.

Fabien e Bèatrice erano rimasti in paese con i nonni, dove lui stesso sarebbe tornato in serata per riprendere i figli, per poi ripiegare nuovamente su Parigi. Certo, aveva riavuto indietro la sua auto, eppure sapeva che quel "sali e scendi" lo avrebbe fisicamente distrutto, portandolo, l'indomani, a presentarsi in ufficio con un aspetto che avrebbe ricordato da vicino quello di uno zombie.

Sospirò.

Non sapeva come fare per porsi un contegno e smettere di fissare il suo ospite. Più si imponeva di distogliere gli occhi da lui, più quelli correvano a cercare la sua immagine, le forme del suo viso, tentando di scovare tra i suoi lineamenti qualcosa che continuava imperterrito a sfuggirgli.

Emil non aveva più proferito parola dopo quella sua lapidaria domanda. E Irèné non aveva trovato, sul momento, risposte che avrebbero potuto dissipare i dubbi dell'altro.
Eppure... gli sembrava assurdo.

Assurdo pensare che un mostro potesse obbligarli a stare lontani, nonostante i sentimenti che li legavano, continuando ad allungare la sua ombra putrida sul cuore del suo amato, anche dopo la morte.

Henri non aveva pagato per il male che aveva fatto a Emil e più Irèné rifletteva su quella storia, più credeva di aver trovato una sua personale spiegazione al disgusto che aveva provato, in passato, in presenza di quell'uomo.
La cosa che più lo rattristava era l'essersi trovato costretto a ridimensionare, in qualche modo, il ricordo di Vincent, che aveva sempre visto quasi alla stregua di un secondo padre, provando orrore di fronte a quanto il suo pregiudizio l'aveva condotto a ferire il figlio, sino a privarsi di ogni tipo di rapporto con lui.

Vincent Girard era, per Irèné, colpevole tanto quanto lo stupratore del figlio: era morto senza mai venire meno alle sue convinzioni, senza mai chiedere scusa a Emil.

Malorie, invece, quando era venuta a conoscenza della verità, aveva subito acconsentito alla vendita della falconeria, il luogo in cui Emil aveva subito quella violenza.

Irèné era un po' arrabbiato anche con lei, per non aver capito, per non essersi accorta di quanto stava succedendo all'interno della sua famiglia, per essere tornata ad avere un rapporto più filiale con Emil solo dopo aver appreso di quanto accaduto in passato.

Ed era arrabbiato anche con se stesso, più o meno per gli stessi motivi per cui lo era con Malorie.

Emil, dacché si era trincerato all'interno del suo silenzio, era tornato a essere freddo e distaccato.

Il giorno precedente erano tornati a casa Laurant, aveva ripreso con sé la figlia ed era sparito dalla circolazione.

Quella mattina, André, il suo segretario, gli aveva mandato un SMS comunicandogli di aver ricevuto una mail dal loro cliente - Emil Girard, appunto -, che gli forniva indicazioni sul luogo e l'ora per un loro appuntamento a Parigi, di cui il suo segretario non sapeva nulla.

Irèné aveva evitato di dare ulteriori spiegazioni ad André, limitandosi a ringraziarlo mentalmente per aver controllato la posta dello studio anche di domenica mattina, confermando l'idea di stacanovista che il biondo si era creato di lui, lavorando insieme nell'ultimo anno; ringraziandolo a voce, invece, per averlo avvisato, e maledicendo nella sua mente Emil che si ostinava in quel comportamento insensato, anche dopo avergli svelato il suo segreto.

Perché continuare ad allontanarlo, perché dare tutto quel potere a Henri, lasciando che si frapponesse tra di loro anche dopo la sua morte?

-Perché ti sei tenuto tutto dentro, perché non lo hai denunciato?- chiese all'improvviso, sorprendendo anche se stesso per aver permesso alla rabbia di guidare le sue parole a quel modo.
Se ne pentì immediatamente, ma il danno era già fatto.

Emil contrasse la mandibola, il suo viso parve animarsi di una rabbia ancora più ruggente di quella dell'altro, trattenuta a stento da quella ritmica e ripetuta contrazione muscolare.

Fece per aprire bocca, ma subito la richiuse, alzandosi in piedi e aggiustandosi con gesti meccanici il bavero della giacca.
-I nostri ospiti- disse, volgendo lo sguardo sull'altro lato della strada.

Irèné si alzò a sua volta e vide due uomini lasciare il marciapiede opposto, guardandosi attorno mentre attraversavano diretti verso di loro, schivando altri passanti, mentre procedevano sulle strisce pedonali davanti diverse auto in sosta al semaforo.

Il primo era abbastanza alto e biondiccio, mentre il suo socio era più tarchiato, ma largo di spalle, con un viso dai lineamenti duri, squadrati, in grado di suscitare abbastanza soggezione da preferire tenerlo alla larga dalla propria persona.

Entrambi sfoggiano vestiti molto eleganti, ma si muovevano con gesti brevi e misurati, riducendo a minimo ogni azione superflua.

Sembravano due robot.

-Lo dissi a mio padre e non mi credette- mormorò Emil.
Irèné sussultò, tornando quasi subito consapevole di ciò di cui stava parlando l'altro.
-Alla polizia- precisò.
-Non mi aveva creduto mio padre, perché qualcun altro avrebbe dovuto farlo?-

I due tizi erano sempre più vicini. Avevano lasciato la strada e avevano preso a camminare sullo stesso marciapiede che ospitava il bar dove stavano loro due.

-Perché non tutti siamo dei mostri. Sei uomo anche tu. Perché...-
-Non ha importanza- lo interruppe bruscamente il suo compagno: -Sono un uomo, appunto, è vero. Nessuno mi avrebbe creduto. Nessuno avrebbe dato per vera una violenza a mie spese da parte di un altro. Primo, perché sono gay. Secondo, perché non è possibile che il "sesso forte" possa trovarsi vittima di certe situazioni, senza essere in grado di difendersi. Avrebbero detto che ero consenziente.-

Irèné tentò di ribattere a quelle parole, accennando a una differenza di età tra i due troppo grande per dare per buona una tale interpretazione, ma dovette interrompersi prima di portare a terminare il proprio ragionamento a voce, dato che i due investigatori erano divenuti troppo vicini, perciò rimase in silenzio per non rischiare di farsi sentire anche da loro.

Era assolutamente contrario alla teoria di Emil, e non credeva affatto che essere uomo significasse anche non poter essere vittima.

In tutte quelle che potevano essere le sfaccettature di tale parola.

La realtà, in parte, lo smentiva, perché non era così utopico da non sapere quanto pregiudizio ci fosse nei confronti di uomini che subiscono delle violenze, soprattutto per mano di donne.

Non era il caso di Emil, ma si sentì quasi sollevato nel non avere avuto possibilità di dire la sua a riguardo.

Mentre si presentava ai signori Bastien Roy - tra i due, il biondo -, e Leon Canut, pensò di aver esagerato con le proprie parole.

Era uomo anche lui, e anche a lui piacevano gli uomini.
Ma non era mai stato costretto da un altro a fare qualcosa che non voleva, non era mai stato violato così intimamente e orribilmente.

Non aveva idea di cosa avesse passato il giovane e innocente Emil, tanto meno poteva immaginare come si sentisse ancora in quel momento, costretto a trascinarsi addosso quella ferita.

Avrebbe finito per dire qualcosa che poteva procurargli ulteriore dolore, senza volerlo, solo perché anche lui nutriva, in fondo, dei pregiudizi.
Aveva cercato di assicurargli esattamente il contrario di ciò di cui Emil era convinto, eppure, aveva rischiato di commettere lo stesso errore che aveva tentato di smentire, andando contro le convinzioni dell'altro.

Ed era sbagliato, lo sapeva.

-Signor Laurant?- lo richiamò Bastien e Irèné sobbalzò, rendendosi conto di non aver udito una sola parola di ciò che si erano detti i tre.
Arrossì leggermente e scosse la testa.
-Credono di aver trovato una pista- lo informò Emil, senza voltarsi a guardarlo in viso, continuando a contrarre i muscoli della mascella, rendendo visibile il suo nervosismo tramite la pulsazione involontaria di una vena della guancia sinistra.

-Davvero?- chiese il giovane, rivolgendosi direttamente ai due, ignorando l'evidente astio dell'altro nei suoi confronti.
-Sì. Anche se temiamo non vi piacerà-
-Non ci piace ricevere quelle stupide foto. Ogni notizia riguardo il colpevole credo potrà solo rallegrarci, poiché ci aiuterà a sbarazzarci del problema-
-Temo che non sarà così facile, Emil- mormorò mesto Leon.

L'uomo trasse dalla tasca interna della sua giacca una busta, molto simile a quelle che ricevevano i due amanti. La poggiò sulla superficie del tavolino, battendogli contro una mano, come se fosse imbarazzato.

Irèné aggrottò la fronte.

Perché era così dispiaciuto?

Era per ciò che avevano scoperto o per solidarietà nei confronti del suo amico, Emil?

Perché avrebbe dovuto essergli tanto legato e solidale?

E perché si stava facendo distrarre dalla gelosia in un momento come quello?

Scosse la testa, dandosi mentalmente dello stupido.

Emil raccolse la busta e l'aprì, tirandone fuori la porzione di una fotografia che ritraeva una giovane donna, intenta a inserire una busta gialla, grande tanto quanto una cartolina, all'interno della bucalettere di casa sua.

A Irèné la fisionomia del viso della donna parve familiare. Aggrottò la fronte, cercando di ricordare dove l'avesse già vista.

-Michelle!- urlò all'improvviso, facendo sussultare gli altri tre.
Sgranò appena gli occhi e si morse un labbro imbarazzato.
Emil rimise apposto la fotografia.
-Benissimo. La postina è la mia ex moglie, la madre di Camille. Avrà anche messo mano alla macchina fotografica?- disse, con voce carica di rabbia.

Leon scosse la testa, abbassando gli occhi sul tavolo.
-Mi dispiace, davvero. Non sappiamo ancora se abbia organizzato tutto da sola, né il perché- rispose.
-Non è colpa tua. Quella scema di tua sorella non si smentisce mai- disse il moro e l'espressione di Irèné si fece sempre più incredula.
-Lui è...-
-Il fratello di Michelle, sì.-

Il giovane sentì il sollievo allergerirgli il petto: quella notizia smorzò di colpo la sua gelosia, facendolo sorridere.

Emil lo fissò stranito da quella sua inaspettata reazione, e sollevò un sopracciglio con fare scettico.

Irèné scrollò le spalle, mentre il rossore sulle sue guance si faceva sempre più vivo e abbassava gli occhi sulle mani, che teneva poggiate sulle ginocchia, cercando di nascondere il proprio sgomento all'altro.

Come poteva l'Amore beffarsi di lui a quel modo?

Come osava continuare a essere la cosa più importante di tutte, nonostante il casino in cui si trovavano?

Ma, soprattutto, perché Michelle Canut sembrava avercela tanto, anche, con lui?

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