Capitolo XI

- No. Proprio no. - scuoto il capo, seduta a terra.

Le mani ancora posate sulle carte disposte sul pavimento, per la lettura mattutina. Di questa domenica che pare non prospettarsi tranquilla come speravo.

- Ghrian, io esco. - raccolgo tutto con cura, ma in fretta. Così da poter correre a cambiarmi.

- Non posso affrontare un discorso del genere, con quel tono. Non oggi. - mi lamento in camera, dove il mio gatto mi ha seguita.

Per supporto morale.

O più probabilmente per chiedermi di nutrirlo, prima d'andare via.

- Proprio non ce la posso fare. - le immagini e le parole percepite durante la divinazione mi ronzano ancora in testa.

Quel sorriso sornione e quella voce curiosa...

No.

Davvero.

Non posso reggere un incontro con mia madre proprio oggi.

Non ce la faccio a sentirla fare quelle illazioni su un mio possibile interesse nei confronti di Ethan.

Soprattutto considerando che oramai sono quasi due settimane che non lo vedo.

Dal giorno del suo incontro con Estelle nel mio negozio.

Dopo ciò ci siamo sentiti solo via telefonica e sempre per pochissimo. Tanto da esserci limitati ai soli messaggi.

Quasi tutti partiti da Ethan, per avvertirmi del suo avvenuto chiarimento con la sorella e per comunicarmi d'essere piuttosto occupato con un processo non molto semplice.

Il quale lo sta impegnando al punto da non permettergli di prendersi tempo per le nostre lezioni.

O almeno... credo.

Insomma, so da me quanto il moro è ligio al suo lavoro.

Pertanto non fatico ad immaginarmelo intento ad esaminare il caso e tutto ciò che ci sta attorno. Fino a fargli trovare anche il pelo nell'uovo, mangiato dal gatto del vicino dell'imputato.

Solo... il fatto che questa sua "sparizione" sia avvenuta subito dopo quello strano giorno, non mi fa stare tranquilla al cento per cento.

Anche se, c'è da dire che Ethan su certe cose è un tipo diretto.

Se volesse smettere di venire al negozio me lo direbbe chiaramente.

Com'è riuscito a dirmi con nonchalance quell'ultima frase.

- Proprio carina e buffa. - fisso Ghrian, ancora in attesa di cibo - Questo ha detto, ricordi? - sospiro, tirando su la zip della gonna.

E se fosse per quello che non si fa più vedere?

Ma figuriamoci... tutto gli si può dire tranne che sia uno facilmente imbarazzabile.

Anche se... quel suo commento agganciato alla citazione delle mie parole...

Sono sempre più sicura di aver capito bene ciò che disse e, tale frase, l'ha messo... non a disagio, ma forse...

Sì, in imbarazzo mi sa che un filino lo era.

- Però non credo mi stia evitando per una cosa del genere, vero? - mi avvio verso la cucina, con il micio alle calcagna. Intento a miagolare con enfasi.

- Insomma, personalmente trovo sia stata una confessione davvero adorabile. Mi ha praticamente detto che sta cominciando a fidarsi di me, il che è incredibilmente importante. - porgo a Ghrian la sua ciotola, restando china al suo fianco - Per questo non penso mi stia realmente evitando. Tu che dici? - smette di mangiare, puntando i suoi luminosi occhi su di me.

Per un solo istante, prima di tornare al suo pasto.

- Pensi che mi stia facendo troppe paranoie, eh? - mi sfrego il viso, rimettendomi in piedi - Se almeno il mio sesto senso funzionasse decentemente... invece pare andare in vacanza ogni volta che penso, mi sento o vedo Ethan. E pure le divinazioni non mi sono d'aiuto. -

Quasi sembra che il moro sia un inibitore delle mie percezioni, solo quelle su di lui però.

Che nervi...

- Comunque, ora che sei a posto... vado davvero. - recupero la mia borsa dall'appendino, salutando con una carezza il mio splendido gatto.

Nella lettura di prima ho visto mia madre qui da me, oggi, ma... se vado a farmi un giro fino a sera forse riesco a scamparla.

Almeno per questa domenica.

Certo è che... dove cavolo dovrei andare?

Non avevo in programma d'uscire.

E se contiamo pure che sono una che non apprezza molto i luoghi caotici... le scelte si riducono alla grande.

Ah, al diavolo!

Vada per il solito.

Un classico che ogni tanto mi piace rispolverare.

Quel bar/ristorante per lettori.

Il luogo perfetto per chi vuole leggere in un ambiente calmo e confortevole. In grado, soprattutto, di nutrirti senza bisogno che tu debba interrompere per chissà quanto tempo la lettura.

Solo quello necessario per fare l'ordine.

Sì, vada per quel locale.

Avevo giusto un libro sul comodino che volevo finire.

Ieri che ora ho fatto prima di decidermi a posarlo? Uhm... ieri? La mezzanotte l'avevo passata da un pezzo, perciò sarebbe più corretto dire oggi...

È proprio vero che il tempo vola quando il libro che hai tra le mani sa catturarti.

E quello portato con me al locale era proprio uno di quelli, al punto da non farmi nemmeno rendere conto dell'orario fino alla lettura dell'ultimo punto.

Che mi spinge ad alzare lo sguardo dalle pagine dopo... quante ore?

- Alla faccia... sono le cinque del pomeriggio... - rimango di sasso, fissando l'orologio appeso al muro.

Per poi notare sul tavolino accanto a me una tisana bevuta a metà e dei dolcetti quasi intoccati.

Ho un vago ricordo d'aver ordinato il pranzo e considerando che non ho poi tutta sta fame credo pure di averlo mangiato, ma... non lo rammento molto.

A tratti.

Giusto per capire quanto mi aveva presa il libro.

L'unico problema è che, ora che è terminato, non so che fare.

Non solo ho il classico "vuoto da libro finito", ma pure il problema del "non posso tornare a casa o rischio di incontrare mia madre".

E ok che devo finire la tisana ed i dolci, ma poi?

È presto perché io possa già ritenermi fuori peri...

- Dannazione! - impreco sottovoce, realizzando di non poter nemmeno completare il mio pensiero in santa pace perché...

Mia madre mi sta telefonando.

E adesso?

- Grazie e arrivederci. - mi saluta la cassiera, qualche minuto dopo.

Preceduta da una telefonata lasciata cadere nel nulla, una tisana bevuta con non troppa calma, accompagnata da ottimi dolcetti ed un pagamento effettuato con uno stato mentale meno zen di quello preventivato.

Tutto al fine di pensare a qualcosa da dire a quella donna, quando la richiamerò.

Che amo quanto la sto evitando.

Non per cattiveria o altro, solo...

La conosco.

Come sono ben conscia della sua esperienza come strega.

La quale, quando ci sono di mezzo questioni di cuore, si fa più pressante nei confronti della sua povera figlioletta.

Per questo... non voglio sentire che avrà da dire su Ethan.

Nemmeno se ciò dovesse essere qualcosa di buono, come si intuiva dallo sguardo e dal tono visti durante la lettura.

Il fatto che Ethan stia cominciando a piacermi parecchio è irrilevante ora come ora.

Pertanto farò il possibile per evitare la realizzazione della divinazione di questa mattina.

Il che, però, non comprende l'ignoramento delle chiamate di mia madre.

Temporeggiare è permesso, ignorare no.

- Mamma, ciao. - saluto, appena sento aprirsi la telefonata - Scusa se non ti ho risposto, poco fa. Non potevo parlare ad alta voce dov'ero. -

- Scommetto che eri in uno di quei bar per lettori. - ridacchia.

- Mi conosci bene. - mi mordo un labbro, riflettendo sul fatto che questo è il secondo motivo per cui non voglio vederla.

Oltre che un'ottima strega è pure una madre molto attenta.

Capirebbe subito cosa mi passa per la testa.

"Chi" ho in testa.

- Sei mia figlia, mi pare normale. - quasi mi sembra di vederla, giocare con una delle sue ciocche. Di un rosso più scuro del mio.

- Già, comunque... tutto bene? Se mi chiamavi per ricordarmi di mangiare, sappi che l'ho fatto. - tergiverso, ricevendo però una risposta inaspettata.

Una diversa dal solito "Mi rinfaccerai a vita le telefonate della tua prima settimana dopo il trasloco?"

- Meno male, oramai sei abbastanza grande per pensarci da sola. - sbuffa una mezza risata, prima di reprimere una lamentela. Palesemente di dolore.

- Mamma? Che succede? Ti sei fatta male? - mi metto sull'attenti.

- In realtà... sì. Anche se nulla di grave. - risponde con tono tranquillo, mentre in sottofondo sento dei rumori assai poco fraintendibili.

- Mamma, ma sei in ospedale?! - comincio ad agitarmi.

- Sì, ma non iniziare ad andare in panico. Ho solo una micro frattura, sulla falangina del quarto dito del piede destro. -

- Solo?! - scatto - Come ti sei fratturata il piede? In che ospedale sei? -

- Tesoro, mi avevi promesso di non andare nel panico. - sospira - E non farla più grande di com'è. Non ho fratturato il piede, solo un ossicino. -

- Io non avevo promesso proprio nulla. - inizio a camminare nervosamente in tondo - E semmai sei tu che minimizzi non io che ingigantisco. -

- Ma se nemmeno mi hanno messo il gesso. Non è niente di che. -

- Non mettono il gesso per una frattura ad un dito del piede. -

- Proprio perché non è nulla di grave. -

- No, è perché sarebbe complicato e senza molto senso. -

- Perché non è nulla di grave. - ripete nuovamente, innervosendomi.

- Un osso rotto non è "nulla di grave". - ringhio - E mi vuoi dire come ti sei fatta male? O almeno dove sei? -

- Un po' di riposo e tutto passa. - sbuffa.

- Mamma. - la incalzo, sentendola sospirare pesantemente.

- Ho sbattuto contro uno di quei bordini che delimitano le aiuole. - confessa - Contenta? -

- C'hai sbattuto contro o l'hai calciato di cattiveria? Perché ce ne vuole per rompersi un dito del piede inciampando. - sento che mi sta nascondendo qualcosa - Inoltre perché non mi dici dove sei? -

- Uhm... perché... - borbotta - Perché sono qui. -

- Qui dove? - ho voglia di sbattere anch'io contro uno di quei dannati bordini, ma di testa.

- All'ospedale del tuo paese. -

- Ah. - mi blocco.

Saputo dell'ospedale e del dito avevo resettato dal cervello la mia visione, fino alla sua risposta.

- Mi dispiace, ero passata per farti una sorpresa, ma... non mi immaginavo sarebbe stata di questo tipo. - la sua voce trema, prima di scoppiare in una gran risata. Una delle sue, che vedono il divertente anche in cose del genere - Ci sono cose che nemmeno noi sappiamo prevedere. -

- Mamma dai... non c'è nulla da ridere. - dico, non riuscendo però a sopprimere il sorriso che mi sta sorgendo in volto.

- Tu dici? Quando dirò a tuo padre come mi sono fatta male... vedrai come riderà di gusto. - continua a ridere, alternandosi però con un po' di lamentele. Probabilmente causate dal dito dolorante.

- Conoscendolo è probabile, ma... vuoi dirmi che non è lì con te? Come ci sei arrivata in ospedale? - mi avvio verso esso - Spero non da sola. -

- No, no. Tranquilla. Non ho zoppicato fino al pronto soccorso. - ridacchia - Sono stata accompagnata da un buon samaritano. Esistono ancora persone di buon cuore, sai? -

- Meno male. Io comunque ti sto raggiungendo. - recupero le chiavi dalla mia borsa, raggiunta casa - Tempo di prendere la macchina e sono da te. -

- Grazie tesoro. Tuo padre è via con gli amici e non mi andava di farlo tornare prima per una cosa del genere. -

- Anche perché ora di chiamarlo, aspettare il suo ritorno e attendere pure il suo arrivo... avresti fatto notte al pronto soccorso. Che poi, che volevi fare? Chiamare lui con me a due passi? -

- Per un attimo c'avevo pensato. - confessa - Sapevo come avresti reagito e non volevo farti agitare inutilmente. -

- E cosa ti ha fatto cambiare fronte? L'idea di dover aspettare da sola l'arrivo di papà in ospedale? O la consapevolezza che, a farmelo sapere dopo, mi avresti fatta certamente arrabbiare? - sospiro, aprendo la macchina - Sai cosa? Non voglio saperlo. Sento che mi farebbe solo innervosire di più. Cinque minuti e sono da te. -

- Ok. - si limita a rispondere.

- Ora chiudo che salgo in... - mi blocco - No, aspetta un attimo. -

- Sì? - il suo tono si fa confuso.

- No, lascia stare. Immagino che la persona che ti ha accompagnata sia già andata via. - scuoto il capo.

- Veramente è ancora qui con me. Ha detto che mi farà compagnia finché non mi verrai a prendere. Volevi forse qualcosa da lui? Perché in questo momento sta parlando con un infermiere. -

- Oh, beh... ringraziarlo, ovviamente. - la notizia della sua presenza mi sorprende - Ma dato che è così gentile da aspettare il mio arrivo, lo farò di persona. -

- Ottimo. - percepisco il ghigno nella sua voce - Per curiosità, come sei vestita? -

- Perché? - domando in allerta.

- Non ti mentirò. È un ragazzo davvero bello ed ha solo un paio d'anni più di te. -

Ecco.

Dovevo immaginarlo.

- Mamma, ci vediamo tra poco. - chiudo la chiamata, con tono atono.

Senza lasciarle dire altro.

Quasi tentata d'andare a cambiarmi, solo per mettermi uno dei miei completi da casa.

Magari uno di quelli che adopero quando mi metto a fare le grandi pulizie.

Ah...

Quella donna è proprio pazzesca.

Ogni volta che vede un ragazzo che le ispira buone vibrazioni cerca di spingermici contro.

Iniziando ad elencarmi tutte le qualità da lei percepite.

Ancora incapace di comprendere che, facendo così, mi porta solo a tenermi lontana da tali persone.

D'altronde non sopporto di venir spinta a forza verso qualcuno o qualcosa. Non da lei, che è colei che mi ha insegnato a lasciare che tutto abbia il suo corso.

La stessa che mi conosce come le sue tasche.

Al punto da farmi pensare che il suo modo di fare sia voluto. Atto ad innervosirmi per chissà quale arcano motivo.

Perché solo così si spiega perché ogni volta si ostina a raccontarmi vita, morte e miracoli dei ragazzi a lei congeniali.

Perdendosi anche in descrizioni di decine e decine di minuti.

Che, forse, in questa specifica occasione mi sarei dovuta premurare d'ascoltare. Invece di chiuderle il telefono in faccia.

Così da evitare l'espressione da pesce lesso che sicuramente ho stampata in volto, ora come ora.

Davanti al buon samaritano, accanto a mia madre.

Un viso a me assai familiare.

- Ethan? -

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