Capitolo V

- Secondo te ha ascoltato almeno sua sorella? - mi agito sul divano, fissando Ghrian steso sulle mie gambe.

Il quale non ha ben apprezzato il mio improvviso movimento, che lo fa miagolare di disappunto.

- Scusa, ma... lo sai. Questa cosa mi sta mandando fuori di testa. - sospiro, poggiandomi ancor più di peso sullo schienale.

Non riuscendo a levare dalla mia mente l'immagine di quella visione.

Fin'ora non mi era mai capitato di fare una predizione così brutta senza aver modo di fare qualcosa in merito.

Ma la tenacia di mantenersi scettico, di Ethan, mi ha impedito anche solo di comunicargli più nel dettaglio la questione.

Il che... è motivo dell'ansia che mi affligge da tutta la settimana.

Dopo averlo visto scappare in tal modo dal mio negozio, ho tentato di rintracciare lui o la sorella in tutti i modi a me possibili.

Partendo dal più ovvio e meno magico, la ricerca dei numeri in rubrica.

La quale ahimé non ha portato a nessun frutto, visto che il registro chiamate si aggiorna ogni settimana. Ed essendo che avevano preso appuntamento più di dieci giorni prima dell'incontro... il loro numero era già bello che sparito da un pezzo.

Al che ho provato a cercarli utilizzando un incanto di tracciamento, ma senza un effetto personale o qualche capello... il risultato non poteva essere che pessimo.

Anche perché, i soldi sono terribili da usare come base. Essendo che passano di mano in mano.

È così che... ho iniziato a ventilare l'opzione "fargli la posta in tribunale", ma... avendo avuto a che fare con lui sapevo che sarei solo finita col venir allontanata a forza senza aver modo di parlargli.

Inoltre, benché io abbia tenuto d'occhio più volte i dintorni del tribunale... non sono mai riuscita a beccarlo.

Nemmeno chiedendo una divinazione alle carte.

A significare che doveva andare come doveva, eppure... ciò non mi dava pace. Affatto.

L'idea che si ferisse mi stava corrodendo da dentro, quando... Estelle è piombata nel mio negozio, ieri nel primo pomeriggio.

Cosa che mi ha dato modo di avvertire più specificatamente Ethan.

Sempre sperando che abbia dato retta almeno alla preoccupazione della sorella.

Forse avrei dovuto dirle di parlare di qualche sua brutta sensazione, anche se so che non avrebbe mai potuto bersi una cosa del genere.

Che l'avrebbe portato subito a capire che era qualcosa che veniva da me.

Pertanto... ora come ora tutto ciò che posso fare è sperare che le cose vadano per il meglio, dopo essermi pure prodigata in vari incanti di protezione.

Certo è che, avere qualche riscontro positivo non sarebbe male.

Essendomi scambiata il numero di cellulare con Estelle so che Ethan sta bene, ma al tempo stesso non mi è stato riferito nemmeno di nessun incidente mancato.

Il che mi porta a pensare che non sia ancora avvenuto.

E questo è motivo d'ansia.

- Ah... Ghrian? - mi porto un braccio sopra gli occhi - Secondo te che mi succede? Il mio l'ho fatto oramai, quindi perché mi sento come se avessi un macigno sul petto? È perché mi sento ancora in colpa per quella lettura? Il mio è una sorta di tentativo di riparare ad essa? - sospiro pesantemente, per nulla capace di godermi il mio mensile sabato di riposo.

Forse è il caso vada a farmi un giro.

Starmene chiusa qui in casa mi farà solo rimuginare all'infinito.

- Scusa piccolo. Devo uscire. - sposto il micio, che irritato mi fissa storto. Prima di acciambellarsi su uno dei cuscini del divano.

Se riesco poi gli porto a casa qualcosa di buono, per farmi perdonare.

Ma ora... è bene pensi a distrarmi.

E cosa c'è di meglio se non viziarsi con i waffles più buoni della zona?

Magari guarniti di cioccolato fuso.

- Due con cioccolata, grazie. - sorrido al signore del furgoncino mobile, che subito si mette all'opera col sorriso.

- Waffles con cioccolata? La immaginavo più una da scorpioni fritti su stecco. - una voce familiare irrompe alle mie spalle.

Facendomi voltare di scatto.

- Oh mio... Lei!! - mi ritrovo a fissare proprio il volto della persona per la quale sono preoccupata da tutta la settimana - Lei. - ripeto con tono più basso, notato solo in quel momento il graffio sulla guancia.

- Ho un nome, non lo rammenta? - inarca un sopracciglio, mezzo divertito.

- Cosa si è fatto? - la mia mano si protende d'istinto verso il suo viso, ma subito la ritraggo di fretta.

Che volevo fare?

- Ma come? Non lo sa già? - la sua espressione si fa più dura, però... non scettica come al solito.

Il che mi fa gelare sul posto.

- Quindi è accaduto ciò che... - sento il sangue defluirmi dal viso, mentre il suo sguardo si volta verso Bruce. Il venditore ambulante.

- I suoi waffles sono pronti. - mi fa un cenno col capo.

- Grazie. - ringrazio entrambi, pagando il signore. Al quale Ethan si rivolge subito dopo - Io vorrei il solito, per cortesia. -

Per poi tornare a me - C'è una panchina laggiù, parliamo lì della faccenda. - mi stupisce.

Portandomi a stare in ligio silenzio fino alla panchina.

- Se l'è fatto in un'aula di tribunale, vero? - scatto, senza attendere nemmeno che sia completamente seduto.

- Perché me lo chiede, considerando che già sa la risposta? - beve un sorso dal bicchiere di carta che gli è stato consegnato. Puntando lo sguardo davanti a sé.

- Non le è accaduto altro, vero? Non è ferito altrove, giusto? - inizio ad osservarlo da capo a piedi.

Realizzando che deve aver tenuto Estelle all'oscuro della cosa.

Altrimenti lei mi avrebbe avvisata.

- Dove dovrei essere ferito, oltre che alla guancia? - tamburella nervosamente l'indice sulla tazza.

- Ethan, la prego! - sbotto, spingendolo a guardarmi - Ha idea di quanto la sua testardaggine mi abbia fatta preoccupare? Può dirmi se è tutto lì o no? Senza i suoi soliti giochetti. -

I suoi occhi si spalancano sorpresi, notando la mia palese agitazione.

- È tutto qua. - torna a guardare di fronte a sé - Ma se non fossi stato così in allerta, ora farei fatica a tener su anche solo questa leggera tazza. - si sfiora la spalla con la mano libera.

- Quindi è riuscito ad evitarlo... - sento il peso dei giorni precedenti volarmi via di dosso di colpo.

Che sollievo.

- Ad evitare cosa? E chi? - domanda poi, guardandomi di sottecchi.

- Mi sta chiedendo di dirle ciò che ho visto lunedì? Perché? Pensavo non credesse in ciò che faccio. - mi rimetto composta, osservandolo sorpresa.

È evidente essere arrivato ad avere seri dubbi su di me, però... da uno come lui mi aspettavo un atteggiamento diverso.

Che mi evitasse come la peste, anche in caso di incontri "casuali" del genere.

Tutto pur di non affrontare nuovamente il discorso o l'eventualità che io possa realmente essere una strega.

- È stata lei a chiedermi di non fare i miei soliti "giochetti". - è sempre più a disagio.

Deve costargli davvero molto prendere in considerazione che io non sia una ciarlatana.

Per persone così razionali è tremendamente dura accettare che esistono cose "inspiegabili" al mondo.

Le quali in realtà hanno spiegazioni, ma nessuna che a loro potrebbe andar bene o in grado di soddisfare il loro bisogno di "tangibilità".

- Allora... ok. - annuisco, iniziando così a descrivere la scena che mi ha perseguitata fino a poco fa.

Vedendo il giovane uomo irrigidirsi sempre più, di parola in parola.

- È questo insieme di dettagli minuziosi che non capisco. - è ciò con cui esordisce, al termine del mio racconto - È come se lei avesse visto faccia a faccia quella persona e la sua postura. Ma ciò non è possibile. Lei non era in aula ieri. E non può nemmeno aver sentito la notizia da qualche parte. Tutte le parti in causa si sono ben viste dal divulgare la faccenda. Spacciando la cosa per un malore improvviso di un imputato. - serra le labbra - Se venisse fuori la realtà si scatenerebbe il panico tra la gente. I tribunali dovrebbero essere luoghi sicuri quasi quanto una stazione di polizia. -

- Quindi... cos'è che sta cercando di dirmi o chiedermi? - mi rigiro tra le mani il pezzo di waffle che stavo per mangiare. Del quale non sentirò il dolce sapore, com'è stato con i suoi fratelli.

- Ecco, domande di questo genere mi spiazzano. - mi fissa storto - Considerando tutto ciò che dice di vedere e sentire. Non dovrebbe saperlo già? -

- La lettura del pensiero non è parte del mio pacchetto. - ribatto con una punta di fastidio - Anche se, dato il suo comportamento, posso intuire cosa vuole sapere. -

- E cos'è che avrebbe intuito? - insiste, non riuscendo proprio ad evitare certi giri.

- Che vuole domandarmi com'è possibile. Se ho tra le mani qualche assurdo trucco di lettura delle espressioni o roba del genere. -

- A quanto pare pure lei è una persona perspicace. -

- Detto da lei sembra più un insulto che un complimento. - sospiro, ripensando ai nostri trascorsi.

- Non era mia intenzione. - il suo tono cambia, d'improvviso. Facendosi quasi più... gentile - È solo che... trovo davvero tutto questo folle. Impossibile da credere, pure dopo ciò che le ho sentito uscire di bocca. Certi discorsi... non poteva saperli, men che meno indovinarli. - il silenzio cala tra noi.

Un silenzio carico di suoi dubbi.

Domande alle quali sta disperatamente cercando di dare risposta.

Senza però riuscirci.

Guardandolo così... mi fa quasi tenerezza.

Lui non è che non vuole credere, semplicemente gli risulta difficile farlo.

E dopo un passato come il suo non posso che dargli ragione.

Da bambino avrà impiegato moltissimo del suo tempo a sperare e credere. A desiderare un miglioramento.

E molte sprangate sui denti dopo... è giunto a ciò che è ora.

La convinzione che se non può vederlo o toccarlo, non esiste.

- Tutti noi umani nasciamo con queste mie doti. - irrompo finalmente nel flusso dei suoi mille pensieri - Ma col passare del tempo il "mondo" ci porta a sopprimerle. A causa di genitori che ti dicono "È solo la tua immaginazione", coetanei che ti additano come pazzo, estranei che ti parlano alle spalle vedendoti far cose per loro inspiegabili... è così che, già alle elementari molti bambini si ritrovano "ciechi". - sospiro, ricordando alcuni spiacevoli eventi passati - Questo però non è il mio caso. La mia famiglia, da parte di madre, è da generazioni dentro questo mondo. Pertanto, sono stata cresciuta sentendomi ripetere che non dovevo temere ciò che vedevo e sentivo, semmai dovevo imparare a comprendere. Che non dovevo dar retta ai "ciechi" e "sordi", che erano diventati così per paura o comodità. Perché nessuno, quanto loro, rischiava d'incorrere in un ignoto più o meno pericoloso. Che era nostro compito cercare di prevenire, non per dar prova del loro essere in errore. Semmai per... aiutare. Perché è questo che dovrebbero fare le persone. Aiutarsi... a vicenda. - il gelo cala nuovamente tra noi.

Nonostante la tiepida giornata di sole primaverile.

Mentre i sensi di colpa, per quella lettura, ancora mi perseguitano.

- Non deve sentirsi così in colpa. L'ho spinta io a tanto, anche se era palese il suo essere contraria. -

- Come? - mi volto di scatto, confusa come non mai dall'uscita pacata del moro.

- Glielo si leggeva in faccia. Stava pensando a ciò che è accaduto lunedì, durante la lettura del mio passato. - non c'è più scetticismo nella pronuncia del suo "lettura".

- Credo non smetterò mai di scusarmi per ciò che ho fatto. - scuoto il capo.

Non dovevo cedere alle sue provocazioni.

Ho ventott'anni. Non sono più una ragazzina incapace di gestire prese in giro o malelingue.

- Beh, non si aspetti che continui ripeterle che non è stata colpa sua. Anche se lo penso fermamente. - mi abbozza un sorriso - Non amo ripetermi inutilmente. -

- Quindi... - lo guardo confusa quanto... nervosa.

Non mi aspettavo mi sorridesse in maniera tanto onesta.

Fin'ora mi aveva riservato solo sorrisi sarcastici, di scherno o sfida.

- Quindi? - inarca un sopracciglio.

- Ora mi crede? O meglio... crede in qualcosa che non può constatare in maniera concreta? -

- Credere è un parolone. - poggia il braccio sinistro sullo schienale della panchina, tornando a guardare davanti a sé - Anche se una cosa posso dirla. -

- Ovvero? - i battiti mi si accelerano, mentre il mio corpo si sporge istintivamente verso di lui.

- Che lei... - si rimette composto, a disagio e in imbarazzo. A causa del mio sguardo speranzoso puntato sulla sua figura - Che lei ama ciò che fa. E non perché ne ricava un tornaconto monetario, ma proprio perché ci tiene ad aiutare chi si rivolge a lei. Indipendentemente dal fatto che tutto questo sia reale o... - non termina la frase, che dopo i trascorsi gli parrebbe troppo poco credibile da pronunciare.

Il che mi va più che bene così.

- La ringrazio. - gli sorrido, riuscendo finalmente ad assaporare il mio dolce. Quanto la splendida giornata attorno a noi.

- Non comprendo per cosa mi sta ringraziando, di preciso, ma... prego. - annuisce, ancora non del tutto rilassato.

Ed è lì che accade.

Di nuovo.

Al tocco fugace di un bambino, intento a correre a zig zag. Che per un attimo colpisce una delle mie ginocchia con una manina.

Una visione, assai imminente.

Che mi fa scattare in piedi come un fulmine, per fiondarmi a tirare per un braccio il bimbo. Portandomelo poi al petto e dando le spalle a ciò che sta per arrivare.

Una macchina.

Che poco dopo si schianta contro il lampione a due metri da noi. Attirando l'attenzione di tutti.

- Ayleen!! -

♡Ohayou minna♡
Scusate il ritardo nella pubblicazione, ma oggi la connessione non voleva proprio collaborare. Almeno sono comunque riuscita a postare il capitolo nel giusto giorno >__<

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