Capitolo IV

- Quindi siamo pronti? L'imputato mi sembra un po' pallido. Non si farà venire un falso malore per rimandare il processo, vero? - faccio un cenno del capo verso il castano ammanettato poco distante.

Spalle al muro e sguardo al pavimento.

- Credo che il suo pallidume sia solo stizza, sa cosa lo attende dopo ciò che ha fatto. E la paura non lo farà vincere men che meno rimandare la sentenza. - schiocca la lingua Jasper, detective della omicidi e mio amico di lunga data.

- Come se avesse qualche chance dopo aver rapinato un bar ed ucciso il proprietario. - mi preparo psicologicamente all'imminente processo, che mi vede come avvocato dell'accusa.

- Già, anche se ciò che davvero azzera le sue possibilità, pure solo di ottenere qualche tipo di attenuante, è d'avere te come avversario. - ridacchia - Il temutissimo Vice Procuratore di ferro. Il quale mostra emozioni umane solo di fronte alle donne della sua famiglia. -

- Ma smettila, se mi ritenessi davvero così freddo non saresti mio amico da tutti questi anni. - sbuffo, mezzo divertito dai suoi soliti punzecchiamenti.

- O magari lo sono ancora perché so quanto è pericoloso essere tuo nemico. - scoppia a ridere, alla mia espressione di disappunto.

- Jasper, contieniti. - fingo un colpo di tosse, raddrizzandomi - Siamo in tribunale non ad una serata fuori. -

- Scusa sai, ma la tua espressione mi fa steso. - si asciuga una lacrima inesistente, facendomi roteare gli occhi.

- Se continui ti stendo sul serio. - sospiro.

- Oh ti prego, fallo. Così potrò dire d'aver arrestato il Vice di ferro per violenza a pubblico ufficiale. - gli si illumina lo sguardo ed a me il telefono.

- Estelle? - noto confuso il nome sullo schermo.

- No, Jasper. -

- Ma sta un po' zitto. - sbuffo, allontanandomi di qualche passo per rispondere.

È strano mi chiami in pieno giorno.

Soprattutto considerando quanto è consapevole d'avere alte probabilità di non trovarmi, perché in aula col cellulare spento.

Il che... mi fa intendere essere successo qualcosa.

- Estelle? Stai bene? La mamma? - nemmeno la lascio parlare, dopo aver accettato la chiamata.

- Ethan, dove sei? - domanda, agitata.

- In tribunale, perché? Devo venirti a prendere? Che hai? - lancio un'occhiata verso Jasper, che subito cambia espressione. Notata la mia.

"Che succede?" mima, facendosi serio.

E ricevendo in risposta una scrollata di spalle.

- No, no. Sto bene Ethan. È per te che sono preoccupata, stai bene? Chi hai in causa? - mi spiazza.

- Eh? Io? Estelle, sto bene. Perché sei così in ansia? - le spalle mi si rilassano, scampato il presunto pericolo.

Sostituito dalla confusione.

Quando cominciai a fare questo lavoro dovetti fare i conti con le preoccupazioni di mia madre e di Estelle.

Le quali mi hanno portato a farmi sentire ogni sera, per calmarle.

Come Vice Procuratore non ho a che fare coi criminali com'è invece per Jasper, ma negli anni ho comunque passato le mie. Tra cui varie minacce più o meno rilevanti.

Ma proprio grazie alla mia costanza nel contattarle con regolarità ero riuscito a stabilizzare la situazione.

Quindi... perché d'improvviso tutta questa agitazione?

Non mi dire che...

- Hai avuto di nuovo a che fare con quella ciarlatana, vero? - ringhio, ricordando la rossa di quel becero negozio da fattucchiera.

La quale mi perseguita non solo nei miei sogni, ma pure tramite mia sorella.

- Volevo raccontarle una cosa, ma siamo finite col parlare di te. Mi ha detto cos'ha visto quel giorno, prima che ce ne andassimo e... - la blocco - Non m'interessa sentire altre fesserie. -

- Come puoi parlare ancora così dopo ciò che ti ha detto del nostro passato? È stata estremamente specifica e la cosa ha colpito pure un super scettico come te. -

- È stata solo fortuna la sua. -

- Per questo le hai impedito di proseguire, vero? Non perché stava per dire qualcosa che non volevi che sapessi? -

- Stai cominciando a vaneggiare. - serro la mascella.

Dovranno passare sopra il mio cadavere prima che faccia giungere certe cose alle orecchie di Estelle.

Basto ed avanzo io, a ricordare le disgustose parole uscite da quella bocca, quella notte.

- Pensala come vuoi, ma fammi un favore. Ti prego. - sento la sua voce farsi più rauca.

- Estelle, tra poco si entra in aula. - sospiro, con tono più accondiscendente.

Le sue lacrime sono il mio più grande tallone d'Achille.

- Fate perquisire tutti gli imputati prima dell'ingresso in aula. Ti scongiuro. - tira su col naso.

- Tutti i criminali vengono perquisiti all'uscita del carcere e all'ingresso del tribunale. Va tranquilla. -

- No, non basta! Anche prima d'entrare in aula, per favore. Qualcuno ha qualcosa con sé. -

- Qualcuno? Qualcosa? Dai Estelle, per favore lo dico io a te. - inizio a spazientirmi.

Al termine dei miei impegni lavorativi dovrò andare a fare quattro chiacchiere con quella dannata tipa.

- Un giovane uomo dai capelli castani. Con un oggetto tagliente. - lo sguardo mi cade inevitabilmente sull'imputato di oggi. A causa di pensieri che subito accantono.

La "lettura" di quel giorno è stata solo un caso.

La chiaroveggenza non esiste, ma... continuare ad impuntarmi con Estelle non la farà demordere.

- Ok, ok. Farò attenzione ai castani, contenta così? - sospiro.

- Ed alla spalla destra! E... perquisisci tutti i castani incriminati per qualcosa. - ribatte con foga.

- Estelle, ti ho detto che terrò la guardia alta. - le persone in attesa cominciano a prepararsi - Ora devo proprio andare. -

- Oh io... -

- Ci sentiamo stasera, promesso. Ed io mantengo sempre le promesse, no? -

- Sì. - deglutisce pesantemente - A stasera. - riesco finalmente a chiudere la chiamata.

Sentendo il nervoso aumentare vertiginosamente in me.

E dire che le avevo pure creduto quando si è scusata, con quegli enormi occhi verdi dispiaciuti.

Pensavo che fosse realmente contrita per ciò che aveva fatto, ma a quanto pare... è un'attrice migliore del previsto.

Che non si fa scrupoli a far agitare inutilmente una povera ragazza di soli ventiquattro anni.

- Deduco che Estelle stia bene. - mi si avvicina Jasper, confuso - Ma cos'era quella storia riguardo il dover stare attento ai castani? -

- Non lo sapevi? Tutti voi castani siete brutta gente. - eludo la sua domanda con una battuta, alla quale non riesco ad accompagnare nemmeno un abbozzo di sorriso.

- Grazie eh! - mi segue, lungo il corridoio.

- Di che ti preoccupi? Tu non sei il mio avversario, al contrario di quello lì. - il sangue mi ribolle nelle vene.

Pronto a sfruttare il mio pessimo umore per ottenere il giusto verdetto.

Ritrovandomi invece di fronte ad un paramedico, nemmeno due ore dopo.

- Il disinfettante brucerà un po', l'avverto. - mi guarda l'uomo, con una piccola garza imbevuta tre le mani guantate.

- Non serve che si disturbi, posso fare da me. È solo un graffio su una guancia. Anche perché... non dovete portare via quello? - indico l'imputato del processo, su una barella che si lamenta del dolore.

- Lasciati medicare, tanto quello mica rischia di morire. Gli hai solo disarticolato la spalla, allo stronzo. - ribatte Jasper, accanto a noi. Che se potesse andrebbe a far a pezzi il tipo da cui è stato allontanato. Dai colleghi, preoccupati di dover arrivare a togliergli il distintivo.

- Il suo collega ha ragione, non ha nulla di grave da necessitare un ricovero urgente in ospedale. Gli abbiamo già bloccato la spalla, per evitare danni, e tra un po' arriveranno dei medici del carcere per portarlo nell'infermeria della prigione. - mi spiega l'altro - Pertanto, visto che comunque dobbiamo attendere qui fino al loro arrivo... mi lasci fare. - tampona il mio graffio.

Causatomi dal tipo in barella.

Il quale, in panico per il verdetto praticamente già palese, ha dato di matto in aula.

Dopo essersi fatto "un'arma" rompendo un pezzo di plastica dal porta carta igienica. Successivamente nascosto nell'interno della manica.

Che ha tirato fuori durante il mio interrogatorio, scagliandosi contro di me.

- Se ci penso mi sale una rabbia... - ringhia Jasper, mentre il paramedico si allontana - Se tu non fossi stato così reattivo, sarebbe potuta andare peggio. -

- Già, ma essendo che ho riflessi migliori dei tuoi non è successo. - la butto in battuta, toccandomi d'istinto la spalla destra.

Odio ammetterlo, ma... anche se ho realmente ottimi riflessi, ad impedire a quell'appuntito pezzo di plastica di conficcarsi nella mia spalla è stato altro.

La telefonata di Estelle unita... ai sogni degli ultimi giorni.

Tutti incentrati sull'ultimo sguardo che mi è stato lanciato da quella ragazza.

Così ansioso da perseguitarmi pure a distanza di tempo.

- Pure in un momento del genere scherzi? - sbuffa Jasper - Immagino quindi che per te sia stata cosa da poco, quella folle aggressione. -

- Da poco no, ma mica è la prima volta che vediamo criminali tentare il tutto per tutto. Ricordi quello che si infilò su per il retto... - mi zittisce - Sì! E non voglio ripensarci, grazie! -

- Come vuoi. - ghigno, sgranchiendomi.

- Lo dirai ad Estelle ed a tua madre? - domanda, cambiando discorso.

- Se riesco... no. -

- Immaginavo, ma ricorda che se finiscono per scoprirlo per conto loro... saranno guai. -

- Non vedo come potrebbero venirlo a sapere. Hai forse in programma di fare la spia? - lo guardo storto.

- Ovviamente no. Che discorsi fai? Nemmeno a me fa piacere farle preoccupare, lo sai che tengo anch'io a loro. Sono come una seconda famiglia per me. -

- Ottimo. - annuisco, guardandomi attorno. Mentre i curiosi, fermatisi alla vista dell'ambulanza, cominciano a diradarsi.

- Certo che però... è davvero curioso, non trovi? -

- Cosa? L'essere umano che spera di assistere a qualche tipo di incidente? -

- Eh? - Jasper mi guarda confuso - No. Parlavo di tua sorella. Non ti ha detto di far attenzione ai castani, proprio prima del casino avvenuto in aula? -

- Davvero? Non ricordo. - m'irrigidisco.

- Ethan. - si piazza di fronte a me - Togliendo il fatto che ti conosco da una vita, sono pure un detective. Sono bravo a smascherare le balle. -

- È stato solo un caso, fidati. - sbuffo.

Non riuscendo a levarmi di dosso la sensazione che si è avvinghiata a me durante la lettura di quella donna.

Che ho tentato di ignorare fino all'incidente di oggi.

- Immagino, ma vorrei comunque saperne di più. -

- Perché? C'è di mezzo una di quelle che si definiscono streghe. - roteo gli occhi.

- Serio?! - scatta, con un tono che non mi aspettavo.

- Sì, perché dici? -

Al che si zittisce un attimo, prima di rispondermi con voce più pacata ed imbarazzata - Non te l'ho mai detto, perché so come la pensi riguardo certe cose. -

- Certe frottole, vorrai dire. -

- Come dicevo... - sospira - Comunque, mi sono rivolto ad una di loro qualche anno fa. Ero teso per l'imminente esame per entrare in polizia e volevo togliermi di dosso un po' d'ansia. -

- Chiedendo ad una ciarlatana se eri destinato a passare o no? - evito i commenti che mi pizzicano sulla punta della lingua.

- Non avevo grandi aspettative. Anzi. Onestamente necessitavo solo di una bella bugia, atta a darmi un po' di coraggio. Invece... -

- Invece? - lo fisso perplesso.

Non ne starebbe parlando se la tizia in questione gli avesse comunicato di un qualche fallimento.

Perché in tal caso confermerebbe solo i miei pensieri di tale categoria di soggetti.

Pensieri che... stanno inaspettatamente cominciando a mutare.

Mio malgrado.

- Disse che non dovevo preoccuparmi dell'esame, piuttosto del tenere la testa alta. Nel senso di guardare in alto e di fare particolare attenzione. - lo sguardo gli si fa più serio - Ed anche se assai confuso, sentivo che c'era qualcosa di strano in tutto ciò. Così cominciai a diventare un po' paranoico, nei giorni a venire. Fino a quando... non vidi piombarmi quasi addosso un coso di marmo. Che riuscii a schivare solo perché stavo guardando in alto. -

- Un coso di marmo? - la mente mi riporta ad un ricordo passato - Ah, ma...! Parli di quella statuetta che schivasti anni fa? Lanciata fuori dalla finestra da quella coppia in rotta? -

- Sì, ma lì sul momento non avevo idea di cosa fosse. Solo dopo sono venuto a sapere essere una statuetta di famiglia dell'uomo, gettata fuori dalla moglie dopo aver scoperto il tradimento di lui. - scuote il capo - In ogni caso, non è questo l'importante. Sta di fatto che sono stato salvato da quella predizione, che tu la ritenga una cavolata, un caso o che altro. E questo mi porta a credere che, forse, non tutti sono ciarlatani. Anche perché... quella signora non accettò i miei soldi, dicendomi che ciò che più contava per lei era poter aiutare le persone. -

Le sue ultime parole mi fanno irrigidire.

Le stesse di quella ragazza.

- Quindi? - controllo l'ora, nervosamente.

- Quindi niente. - scrolla le spalle - Solo... sono dell'idea che non tutto ciò che accade a questo mondo si può spiegare in maniera razionale. -

I miei pensieri vagano verso quella sera, del compleanno di Estelle.

Per quanto io abbia provato a dar una spiegazione ai dettagli tirati fuori da quella rossa, proprio non sono riuscito nel mio intento.

Nessuna lettura delle espressioni o analisi della persona poteva darle modo di uscirsene con cose tanto precise. Perché...

I discorsi.

Dannazione.

Quelle parole le ricordo ancora oggi, tanto sono state ripetute negli anni.

E nessun altro a parte me, mia madre e... quello, potevano conoscerle.

O almeno, questo è ciò che credevo.

Ah... più ci penso e più la testa mi scoppia, soprattutto dopo l'incidente di oggi.

E se quella ragazza... per davvero...

Che possa essere possibile?

- Ohi, Ethan? Ci sei? - una mano si sventola davanti al mio naso, riportandomi alla mia amata e concreta realtà - Apprezzo tu non mi abbia ancora preso per i fondelli, ma forse temo di più il tuo silenzio dei tuoi attacchi verbali. -

- Quindi vuoi che ti dica qualcosa di cinico? -

- No, ma... ammetterai anche tu che sono cose strane, no? - punta i suoi occhi verde foresta su di me.

Molto più scuri di quelli della rossa.

Che proprio non riesco a levarmi dalla testa.

Giovane che, tra l'altro, non sento più la necessità di cazziare a suon di urla o di una bella denuncia.

Spingendomi assurdamente a volerne sapere di più su di lei. Nemmeno fosse uno degli imputati di cui analizzo vita, morte e miracoli. Fin al più sordido dettaglio.

Il che, fuori dall'ambito lavorativo, è assai insolito per me. Come desiderio.

Cosa che mi spinge, come di consueto, a svicolare con una delle mie abituali uscite alla cavolo.

Per nulla pronto ad esporre ad alta voce i miei reali pensieri.

- Strane, ma mai quanto sei strano tu. -

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