X. L'ORA DEL TÈ - Non fischiettate
... Che sia nero, verde, blu, bianco, giallo
Di qualunque colore o provenienza,
per me "tè" è "amore".
(Ph: Teiera, Daniela Troncacci © 2022)
Quella che prediligo, in tutta la giornata, è l'ora del tè. Non tanto per il tè in sé. Non importa che sia nero, verde, blu, bianco, giallo; caldo o freddo a seconda della stagione; amaro, zuccherato o con l'aggiunta d'un cucchiaino di miele. Di qualunque colore o provenienza, per me tè è amore.
In questo Albergo il tempo è suddiviso dalle celle d'una tabella affissa in segreteria.
Le signorine ci svegliano alle 06:00 per darci le prime pillole e per compiere i laboriosi rituali del lavaggio.
Alle 08:00 ci riuniscono nel refettorio per la colazione. Sembra d'essere in famiglia, anche se ci si conosce appena.
Dalle 08:30 ci posizionano nella sala comune, ognuno sulla sua poltrona: la mia è avana con fiori di glicine e bouganville. Non l'ho scelta io, ma devono aver dedotto che mi piacesse, perché non me ne sono mai lamentata.
Attenzione, non vi lasciate ingannare dal fatto che non muova la lingua, le gambe e le braccia; qui dentro chi può impara presto a usare altri mezzi: labbra serrate, lallazione, bava, testa reclinata. Io non ho fatto mai nulla di tutto ciò e la poltrona color cacca di cane che ha ingurgitato carta da parati è toccata a me.
Appeso alla parete di fronte, un tv 47 pollici trasmette documentari. Davanti a immagini di pesci pagliaccio, scimmie urlatrici o farfalle vampiro, ci trasciniamo languidamente fino all'ora di pranzo.
Ci mettiamo un'eternità a mandare giù quattro bocconi, più per prolungare il sentirsi vivi che per impedimento.
Segue il sonnellino, poi il risveglio e l'ora del tè, che è anche l'ora delle visite. Chi non ne riceve, resta in camera a poltrire, a leggere, a pensare, a fare ciò che vuole; oppure, se è un giorno dispari, viene portato nella sala comune, dove ci aspetta una signorina che non ha il camice bianco e gli zoccoli come le altre, ma arriva in tailleur e décolleté, sembra or ora uscita dal parrucchiere e ha un sorriso enorme stampato su l'intero volto.
Guarda in tutti gli occhi, anche in quelli che non la guardano e accarezza ogni mano e ogni guancia. Poi pone alcune domande: «Come stai? Cosa hai mangiato a pranzo? Come si fa il risotto alla milanese?» per stimolare la parola di chi parla e la memoria di chi ricorda, e fa muovere quelli che possono. Con me si ferma agli occhi negli occhi e alle carezze, me ne riserva sempre qualcuna in più e, anziché chiedere, afferma: «Che belle babbucce nuove! Ti dona questo foulard cilestrino! Hai fatto la messa in piega, brava!»
È graziosa, ma la vedo poco, perché è raro che io non riceva visite; non potrei raccontarvi tutto quanto vi sto dicendo, se così non fosse.
Come quando ero a casa mia. Nel tepore delle mie stanze, calde d'inverno, fresche d'estate; e luminose quanto serve. Chiudo gli occhi e sono là.
Le mie teiere sono in fila sopra i pensili della cucina.
In rame battuto a mano, in ottone, in fine porcellana bianca, in ceramica decorata con arbusti fioriti, in vetro con filtro d'acciaio: ce ne sono per tutt'i gusti.
L'aria sa di limone e calendula, di pasta frolla e vanillina.
Le vacanze sono finite, le scuole hanno riaperto le aule e i Cipì sono tornati.
Nei prossimi giorni, i miei ragazzi verranno tutti a bere il mio tè, pure se in orari differenti. Anche i gemelli.
Eppure qualcosa m'opprime il petto e ho una gran voglia di dire:«No!»
C'è buio, sul mio palco, e anche in sala. Ci siete? Battete un colpo. Fatevi sentire. Ma, per pietà, non fischiettate. Non potrei sopportarlo.
"Sono belle le mie teiere! Chissà se qualcuno, ogni tanto, passa a spolverarle..."
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