VII. ETICHETTE - 1. Andare oltre
Se dico famiglia, a cosa pensate?
È infinita la realtà. Un agglomerato immenso di oggetti naturali e artefatti. La percezione si perde a scandagliarli tutti, a far arrivare dai sensi alla cognizione quella vastità di colori, forme, odori, suoni e sapori, così che possiamo riconoscerli e studiarli, deliziarci con essi o allontanarli con disgusto, tenerli a mente o dimenticarli in breve tempo perché ritenuti inutili. A quel che rimane impresso diamo un nome, ché ne riassuma le caratteristiche.
Un po' come per i prodotti che vendono nell'Ipermercato vicino a questa che – ormai mi sono rassegnata – è la mia casa. Mi ci hanno portato William e Rossella, in un orario in cui i giovani sono a scuola o al lavoro e gli anziani stanno rintanati in casa ad attendere il trascorrere del tempo prima del prossimo pasto. Se ci fossi andata da sola, mi sarei persa, io che ho sempre preferito le bottegucce in cui poter scambiare due chiacchiere con chi è dietro al banco oppure in attesa, come me, d'essere servito.
Ci sono corridoi traboccanti scatole, pacchi, flaconi: contenitori di forme e materiali diversi tra cui scegliere leggendo, su fogli adesivi, provenienza, composizione, proprietà benefiche ed effetti dannosi di ciò che contengono.
A volte capita di soffermarsi sui dettagli; altre, invece, per la fretta, o per disinteresse, ci limitiamo a leggere: pasta, vino, spray per sapere cosa c'è dentro e se la consistenza è solida, liquida, o gassosa. O, al più, controlliamo la marca, come fosse una sorta di loro cognome, spesso interpretata come sinonimo di garanzia. Allo stesso modo, troppo spesso, riteniamo, o pretendiamo, di conoscere le persone: tramite le etichette.
Esse possono identificare una professione, un ruolo sociale, le relazioni all'interno d'un gruppo e dirci tanto di chi abbiamo di fronte, ma non tutto; e non sempre corrispondono al vero. Bisogna stare attenti. Andare oltre.
Mi sposto un attimo e m'accosto alla parete. In sala le luci sono spente, tranne quelle di emergenza. Sul palco l'occhio di bue illumina una bottiglia di plastica verde che galleggia tra soffitto e pavimento: è un ologramma, o qualcosa del genere.
Osserviamola. Sulla pancia ha un adesivo, sul quale possiamo leggere: Acqua. Lo prendiamo per buono? E se invece, dentro, ci fosse grappa? Ma non complichiamoci la vita: le etichette servono a semplificarla.
Dunque, diamo per assodato che il contenuto della bottiglia sia acqua: sappiamo che ogni molecola è composta da due atomi d'idrogeno legati a uno d'ossigeno. Ma andiamo a leggere tutto e scopriamo:
-se è acida, neutra o alcalina;
-se è liscia, effervescente naturale o con aggiunta di anidride carbonica;
-da quale sorgente proviene e dove è stata imbottigliata;
-se è ricca di sali minerali, contiene calcio e magnesio ed è povera di sodio;
-se contiene nitriti e nitrati;
-quali sono i suoi effetti sulla salute;
-e chissà cos'altro che ora non ho la pazienza d'approfondire.
Acqua non vuol dire solo due parti d'idrogeno più una d'ossigeno allo stato liquido. Significa molto di più e, se dobbiamo scegliere in maniera consapevole l'acqua per la nostra tavola, non ci fermiamo alla prima parola.
Sarebbe bello se maneggiassimo così, con la stessa cura, anche le persone che incontriamo.
Ora, se dico famiglia, a cosa pensate?
Se dico donna, madre, sorella, amica?
Se dico puttana?
O imbranata, pigra, asociale... Malata?
Guardate le silhouette che si muovono là, in quell'angolo del palco, prima di sparire dietro le quinte. Passano accanto a due donne e quasi le pistano: stanno sedute sul marciapiede a cercare la forza per tirarsi su. Non ho raccontato molto di loro, ma sono cardinali per me e per i miei ragazzi. E soffrono, perché si portano delle pecette, addosso, che pesano come cartelli autostradali e non è facile svitarle, cancellarle, strapparle via. Forse... l'amore potrà, forse.
"Ah, quanto vorrei, amore mio, che fossi vicino a me! Che mi dicessi che tutto andrà a posto e potrò raggiungerti serena, sicura che i miei ragazzi saranno in buone mani!"
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