I. SEGNATO IN ROSSO - 1. Il giorno di Sally


Potevo guardare i treni

e immaginare di partire o tornare...

(Ph: Parco Giovanni Testori - Milano, Daniela Troncacci © 2018)



Ci sono giorni che non dimenticheremo mai. Come questo, segnato in rosso indelebile sul calendario della mia memoria:

29 dicembre 2016. Giovedì: Il giorno di Sally.


Ogni settimana, Mattia passava a prendermi alle nove per portarmi da Myriam. Se il tempo lo consentiva, lei e Sally ci aspettavano sotto casa e andavamo al Parco Giovanni Testori. Si trova nel quartiere Villapizzone e di fianco ci passa la ferrovia. Non è molto grande, eppure era il mio preferito.

Potevo guardare i treni e immaginare di partire o tornare, o ascoltare le foglie di pioppi, platani, aceri e betulle mentre amoreggiavano col vento. È un luogo adatto a qualsiasi età e ci si possono fare tante attività: ci sono aree attrezzate per bambini e giovani sportivi, panchine all'ombra per leggere o riposare, viali agevoli per passeggiate su quattro ruote, come le mie; infine, c'è un ampio spazio recintato in cui potevamo far correre Sally, prima che si accozzasse a me, col muso sopra le mie ginocchia, mai sazia di carezze.

Di solito stavamo un'oretta; quel giorno restammo un po' di più. Ne approfittai per parlare con lei nel nostro modo speciale. Sono sicura che abbia capito.

Quando siamo andati via, l'ho sentita guaire piano; non l'aveva mai fatto. Myriam ha cercato di consolarla e di distrarla con un bocconcino, anche per distrarre e consolare se stessa: i suoi occhi erano rossi e tirava su col naso; con un sorriso forzato, mi faceva "Ciao" con la mano.

Tornammo a casa poco prima di pranzo e, come in processione, passarono a salutarmi William e Rossella, Nicolas, Anna e Sergio con i gemelli, Linda, Deborah. Thomas era fuori città; Lucilla non era in grado di muoversi; Walter aveva anticipato la visita al giorno prima perché aveva fatto una promessa a Godfried e aveva tutta l'intenzione di mantenerla.

Era il giorno in cui mi portarono qui. Non sarebbe cambiato molto, se non la mia residenza; negli occhi di tutti leggevo una gran pena.

A mangiare, restammo io, Maria Dolores, Mattia, Deborah e Linda che aveva preparato pasta al pesto, polpettine di melanzane e crostata ai mirtilli.

I rumori delle posate e della masticazione, dei respiri e dei ruttini, riempirono la cucina, mentre mangiavamo senza gusto. Dopo il caffè, mi permisero di stare ancora un po' tra i miei oggetti più cari, centrini, arazzi, enciclopedie tematiche, romanzi thriller e polizieschi, seduta sul mio divano a guardare fuori dalla finestra del salotto dove per anni abbiamo tenuto la casa di Barbie.

Non so quanto tempo restai così. Tutto era pronto. La mia governante, Linda e Deborah avevano riordinato e gettato la spazzatura. Mattia aveva passato l'aspirapolvere sui sedili posteriori dell'auto.

«È ora d'andare.»

Prese la mia valigia con dentro qualche vestito e due fotografie.

Deborah mi spinse fuori, m'abbracciò e fuggì via. Pensai che fosse per non farsi vedere piangere, e forse era anche così.

Ma il motivo di tanta fretta era un altro. 

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