7. I tre porcellini


(Ph: Strumenti musicali, Daniela Troncacci ©2013)



«Che fai?»

Godfried si avvicinò al divano su cui Walter era seduto con le gambe a "quattro" e si fermò a osservarlo.

Anche lui aveva tolto gli abiti del dì di festa e indossava una vecchia tuta, identica alla sua: nera con strisce laterali bianche. Col tablet poggiato sulla gamba sollevata in alto, era concentrato a scrivere qualcosa.

«Un comunicato. Per il gruppo.»

Dalla postura e dalla mascella contratta, Godfried capì quanto poco gradevole fosse, in quel momento, assolvere all'incarico di Manager e portavoce dei Cipì. Gli si accovacciò accanto per fargli sentire ch'era con lui e non l'avrebbe lasciato solo.

Dopo aver premuto Invio, Walter posò a terra il tablet e infilò entrambi i piedi nelle pantofole. Era sul punto d'alzarsi.

"Per andare dove? Per fare cosa?"

Si fermò lì dov'era, si lasciò accogliere dalle braccia di Godfried e affondò la testa nei suoi capelli.

"Sono già dove voglio essere; cosa fare, lo decideremo insieme."

Lo decise Godfried e a Walter non dispiacque. Nulla doveva più restare sospeso a mezza via: non i progetti, non i discorsi; di cose da far ripartire ce n'erano parecchie, per rimettere in moto la coppia. Così ripresero il filo da dove l'avevano lasciato quella mattina, per ricominciare a tessere un percorso comune, nel labirinto delle reciproche aspettative.

«Walter, quel ragazzino, su quel ponte, l'avrebbe, lo ha-» La voce di Godfried tremava; dalla gola gli uscì un colpo di tosse.

Walter sorrise e gli baciò il dorso d'una mano.

«Non so se l'avrebbe fatto davvero. Forse gli serviva solo un filo per restare legato alla vita. Ne sono arrivate tre, di file: tre file di denti.»

Sorrise e Godfried si lasciò contagiare, intuendo la sagomatura d'un lieto fine; dalla sua gola uscirono solo due colpi di tosse, in attesa che Walter riprendesse a raccontare.

«Eravamo rimasti allo squillo del telefono?»

Walter non attese risposta, era già via, tornato su quel ponte, insieme a quel ragazzino, alla cui figura non riusciva più a sovrapporre la sua: egli, nel suo presente, non c'era più.

«Riabbassai la gamba sollevata per scavalcare la staccionata e tirai fuori il cellulare dal marsupio. Lo feci senza riflettere, in automatico; forse l'istinto di sopravvivenza stava prendendo le redini. Trovai una chiamata persa e un messaggio; lo ricordo ancora a memoria: "Abbiamo bisogno di te. I tre porcellini".»

Godfried lo seguiva con gli occhi ancora più grandi di come fossero di solito. Diede ancora un colpo di tosse. Si mise più comodo sul divano e lo stesso fece Walter, desideroso ormai di svelare al suo uomo il motivo d'un così forte attaccamento nei confronti dei suoi fratelli. La parte peggiore della storia l'aveva raccontata.

«Ora puoi associare una foto a un numero e quando il cellulare squilla ti compare sul display. Non so se c'erano già cellulari così, il mio non era tanto moderno. Mi parve lo stesso di vedere tre faccioni sorridenti, la linguaccia di Thomas, i capelli a casco di banana di Nicolas, la bocca sdentata di William: la fotografia che teneva Willy sul comodino; l'avevo scattata io per il suo compleanno. Lo chiamai per curiosità. Fu un fiume in piena. Lui e quegli altri due monelli avevano un programma grandioso per la festa dell'Assunta, ma serviva la mia assistenza. Capii che Anna e Sergio erano corsi in aiuto dei miei genitori e s'erano offerti di ospitare anche me, facendo in modo che non mi sentissi un peso. Io non avevo alcuna voglia d'andare, lo feci per mia madre, perché quel viaggio se lo meritava.»

Godfried tossì di nuovo.

«Che ne dici se andiamo in camera e ci mettiamo al calduccio? Ho voglia di raccontarti bene come andarono le cose.»

«Se ci mettiamo a letto vado a lavarmi i denti.»

«Io rimando a dopo, perché credo che mi verrà di nuovo fame.»

Spensero le luci della cucina e del soggiorno e si spostarono in camera. Walter accese una candela a forma di mela rossa che teneva sul comodino; si distese sul letto a pancia in su sul lenzuolo di sopra e si coprì con la sua parte di coperta; con l'altra metà coprì Godfried che gli s'era rannicchiato a fianco.

«Amore, chiudi gli occhi e prova a essere lì con me, a osservarmi, a sentire cosa provo.»

«Una specie di sogno guidato?»

Godfried chiuse gli occhi. L'aroma fruttato della candela arrivò fino a lui, che trattenne uno starnuto per non rovinare l'atmosfera romantica in cui s'era calato.

«Un sogno guidato nei miei ricordi. Se ti faccio venire sonno, dormi pure, riprendiamo domani.»

«Non m'addormento, ma se m'addormento, dammi un pizzicotto.»

«Se ti addormenti è perché sei stanco, non è stata una giornata facile per nessuno. Ho aspettato anni per raccontarti questa storia, posso aspettare anche domani.»

«Io no. Voglio sapere subito. Vai, sono pronto.»

«Dove ero rimasto? Al messaggio di William e all'invito implicito di Anna e Sergio. Quando lo dissi ai miei, finsero di non saperne niente; guarda caso i miei panni erano stati lavati, stirati, piegati e pronti per essere invaligiati. Non mi chiesero neanche dove fossi stato tutto il pomeriggio, eppure ero tornato a casa ben oltre l'orario di cena. Solo Amelia mi lesse dentro e quello che trovò scritto non fu di suo gradimento. Mi diede uno schiaffo, il primo e ultimo della mia vita, poi m'abbracciò e mi rassicurò che ce l'avrei fatta e che sarei potuto correre da lei tutte le volte che avessi voluto. Il giorno dopo, arrivai a La Fattoria all'imbrunire, vestito del mio umore peggiore, per nulla in vena d'essere socievole. Trovai a ricevermi tre ragazzini festanti e un cane, che mi diede il tempo di scendere dall'autobus e fare tre passi, prima di farmi la pipì sui jeans nuovi. Avevo minacciato mio padre: "O mi compri quelli o col cacchio che vado!" Gli erano costati un patrimonio. Non so cosa m'ha retto dal tirar fuori tutte le parolacce del mio vocabolario. Ed erano già tante.»

«Non ti ci vedo a dire sconcità.»

«Sconcezze. Ero una fogna.»

«E come sei diventato così precisino?»

«Ho messo la divisa da bancario.»

«Uhm, mi viene voglia di togliertela quella divisa, ma prima finisci.»

«Mi sforzai di mostrarmi riconoscente. "Qui sei a casa", mi disse Anna. Non conoscevo bene nessuno di loro, eppure lei e Sergio non avevano esitato ad accogliermi per un mese intero. Mi promisi d'essere discreto, un po' appartato, ma almeno educato. Ma tu pensi che si possa essere appartati con tre tritapalle come quelli? Il mattino dopo ero nella camera che m'avevano preparato, in soffitta, col lucernario e una vasca da bagno con i piedini che fungeva da cassapanca senza coperchio. Stavo ancora a letto, sempre più perso nei miei film mentali dalle mille tonalità del rosso, con la mano negli slip. Dalle scale, arrivò una gran gazzarra. Mi scapicollai in gabinetto per rendermi presentabile. Li trovai sul mio letto. Tutti, compresa Clio, il cane. Mi furono concessi dieci minuti per lavarmi, vestirmi e trangugiare un succo di frutta, "Che mica sei qui in vacanza" e fui strattonato in garage, anche se loro lo chiamano Rifugio. È pieno zeppo di strumenti musicali. Appeso alla parete c'è un gong. Nicolas lo percosse al centro con un martello di sughero, ne uscì un suono intenso e prolungato, poi prese a battere le zone più esterne producendo suoni più lievi e più brevi. Dopo il gong, passarono a presentarmi gli altri strumenti. "Da Cuba: Bongo, rigorosamente al singolare, anche se composto da due pezzi", uno strumento che conosci molto bene; "Dal Senegal: Djembe", un calice di legno ricoperto di pelle di mucca, raro da trovare perché di solito si usa pelle di capra; "Dalla Nigeria: Schekere", una zucca svuotata, essiccata, levigata e rivestita d'una retina in cui erano state annodate delle conchiglie, alcune delle quali già saltate via. Seguirono il triangolo latino, il bastone della pioggia da cui William non si separa mai, le campane tibetane, un flauto di pan e strumenti a corda. Dovetti sorbirmi la descrizione d'ogni pezzo, origine, provenienza, e, naturalmente, suono. Non c'era ancora il pianoforte e neanche la tromba e le chitarre.»

«Chissà come mai ricordi bene solo le percussioni.»

Godfried aprì gli occhi e assunse un'espressione maliziosa.

«Chissà perché. Le percussioni e la kora, ma solo perché Thomas la usa ancora.»

Walter rispose con tono birichino rotando leggermente il collo per guardarlo. Rise.

Godfried avrebbe voluto bere quella risata e mangiare quel collo nudo.

"Non é il momento di giocare."

Abbassò di nuovo le palpebre invitando Walter a continuare. La storia gli stava piacendo. Lo rilassava.

«Mi esposero il loro piano: volevano mettere su un piccolo spettacolo con gli amichetti della zona, per far conoscere e provare suoni nuovi. Concerto interattivo, lo chiamarono. E chi avrebbe dovuto organizzare tutto ciò? Io! Per prendere tempo, chiesi carta e penna. Comparsero in un nanosecondo. "Che bello, ci aiuti!" Vai a dire di no a tre ragazzini entusiasti e vivaci. Mi trovai sbaragliato. Fu un mese formidabile. Ci divertimmo un sacco e quando tornai a casa, beh continuai a tornare sul quel ponte, perché solo lì mi sentivo bene. Correvo in bici fino a quella staccionata, dove mi sporgevo a guardare l'acqua scorrere inesorabile come il tempo, come i miei pensieri. Non erano più fissi sul mio malessere, sulle domande a cui non riuscivo a dare risposta. Correvano avanti, a formulare piani d'azione. Riesaminavano ogni passaggio, ogni interazione, ogni discorso d'ognuna delle Tre serate suonate a La Fattoria e mi chiedevo cosa avremmo potuto migliorare l'anno seguente. I Crystal Piglets sono nati così. Ci chiamavano I ragazzi del garage, ma volevamo un nome più chiccoso. Ci siamo ispirati a un soprammobile che Anna tiene in una vetrinetta: un maialino di Swarovski. I porcellini ce li avevamo, i Cristalli anche, e la frittata fu presto fatta. Io ero uno di loro. Avevo uno scopo nella vita. Avevo dei fratelli che mi osannavano. Non ero più solo. Capisci? Quei tre impiastri m'hanno deviato il pensiero. Ci hanno messo una diga, l'hanno arginato, incanalato, gli hanno dato una direzione nuova. Godfri, m'hanno salvato la vita.»

Godfried aveva le lacrime agli occhi. Tossì di nuovo, d'una tosse secca, nervosa. Caspita se capiva. Loro gli avevano salvato la vita, e lui in che modo mai avrebbe potuto competere?

«M'hanno salvato la vita, così che tu potessi prenderla e affrescarla.»

Non era una gara, ed era ora che la smettesse di vederla così. Walter era sposato con lui, non con i Cipì. Se avesse provato a guardarli per quello ch'erano veramente, non come rivali, forse sarebbero potuti essere simpatici anche a lui.

«Perché I tre porcellini?»

Godfried finse un tono scanzonato.

«Ecco, ero sicuro che l'avresti chiesto, mannaggia a me. Che ti avevo detto? Mi è venuta fame. Pandoro e nutella?»

Walter fece per alzarsi.

Godfried lo spinse di nuovo giù.

«Prima rispondi.»

«Devo proprio?» Piagnucolò Walter, «In cambio dammi un bacio».

Ne ottenne due.

«Per la recita di fine anno. Durante il pranzo di famiglia ognuno di noi incarnava un animale. Myriam era la capra, a lei piace ogni tipo di ortaggio. Mio padre era il leone: sganasciava cosce di tacchino tra rutti e ruggiti. Tomi, Willy e Nico erano i tre porcellini, perché si rimpinzavano di frittelle e dolciumi. Tutti si divertivano. Loro. Io no. Sono stato il primo a rompere la tradizione.»

Godfried gli tamburellò con le dita sul palmo d'una mano.

Walter l'anticipò:«No, non chiederlo».

«Questa è una bella piazza, dove sta una pecorella pazza che fa bebebebebebebe

Le zampette della pecorella arrivarono sotto le ascelle di Walter.

«No, no, no, togli questi salsicciotti! Io ero il tonno

«Perché? Non sei così citrullo.»

«Mangiavo voracemente solo sgombro, sardine, seppie e calamari.»

Dalla gola di Godfried non uscì alcun colpo di tosse. Risero e si baciarono, si accarezzarono e... Il racconto di Walter, quando venne a trovarmi, il giorno dopo, finì qui. L'atmosfera tra loro s'era alleggerita. Era bastato parlare. Il che non sempre è facile, non sempre è utile, ma spesso è necessario.

Anche per Godfried era giunta l'ora di tirare fuori la verità. "Una cosa alla volta" e tutt'i cocci sarebbero tornati al loro posto, e la caraffa si sarebbe ricomposta, tutta intera, piena di ciò che finora non s'erano detti.

«Domani, quando portiamo Mirko, me lo fai vedere il garage?» 

Godfried si stiracchiò e rabbrividì, mentre si alzava e tastava il letto alla ricerca di slip e canotta.

«Certo, i ragazzi ne saranno contenti. Pandoro e nutella?»

Walter aveva fatto una doccia e s'era già rivestito.

«Pandoro e nutella», rispose Godfried entrando in bagno.



Manuel guardò l'uomo che amava e capì che qualcosa non andava. 

«No! Anche il concerto di San Valentino!» esclamò il giovane fan. Avevano già i biglietti: per il loro anniversario, l'avrebbe portato con sé.

«"Gravi motivi familiari fermano i Cipì. L'annuncia il loro Manager Walter Cristalli"», lesse ad alta voce, «"L'Agente di Alex Au79 esprime vicinanza e cancella le date invernali"».

Il motivo, non specificato, era noto; i social erano pieni di messaggi di solidarietà. Il giovane fan scrisse il suo, poi spense il computer e andò in camera, anche se non aveva sonno.

Avrebbero parlato di lui, Manuel lo sapeva e gli andava bene, finché egli restava dov'era, sul suo piedistallo. Purtroppo era anche in patimenti che le sue carezze non potevano lenire.

Come tante notti da quando lui e il giovane fan vivevano insieme, l'avrebbe sentito macerarsi nel buio; non avrebbe potuto che tenerlo abbracciato, perché si sentisse amato e non prendesse a cornate la testiera del letto.



*Curiosità*

La foto è stata scattata durante una giornata di sperimentazione musicale. 

Forse Amelia ci racconterà qualcosa a proposito, più avanti.

Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top