6. Il tassello saltato
La stanza era illuminata dalla luce azzurrina della lampada a globo posta sul comodino e da un tenue raggio di sole sfuggito alla serranda non abbassata del tutto. Le note di Wiegenlied uscivano lente e dolci dal piccolo carillon appeso alla culla di legno ch'era stata di Mattia. Vito l'ha pitturata d'azzurro all'arrivo di Walter, l'ha restaurata per Nicolas e William e pitturata di nuovo, di bianco avorio, per Lucilla, la quale non ha voluto che fosse toccata da altri, coprendo con cuoricini adesivi i piccoli punti in cui la vernice è venuta via.
Madre e figlio erano soli, immersi nel tepore del mattino.
«Godiamoci questo momento tutto nostro, prima che la nonna ritorni.»
Lucilla aveva lasciato l'ospedale tre giorni dopo Mirko, camminando sulle gambe malferme e col cuore colmo d'ambascia per il suo Jajo, che dormiva ancora d'un sonno troppo profondo per essere naturale. Sua madre s'era impiantata tra le pareti della sua casa come parte dell'arredamento. Lei non avrebbe voluto, ma Deborah non aveva sentito ragione: «Il medico ha detto che devi camminare, ma non fare sforzi, sollevare pesi e quelle cose lì. Se non vuoi tornare a casa con me e tuo padre, sarò io a stare da te».
Quando ci si metteva, era irremovibile e Lucilla, che in lei riconosceva la sua stessa testardaggine, aveva dovuto cedere.
Deborah teneva pulita la casa, faceva la spesa, cucinava, senza mai intromettersi nel rapporto nascente tra Lucy e Yuri: «Sono qui in veste di nonna, non di mamma; ti darò consigli, ma devi fare da te, se vuoi crescere questo bambino senza aiuto».
Lucilla era sempre più innamorata di quel mostriciattolo che s'era ritrovato tra le braccia. Durante la gravidanza, aveva letto articoli su riviste specializzate e manuali di psicologia. Ora c'erano solo lui e lei, uno davanti all'altra, per imparare a conoscersi e crescere insieme.
Lo teneva stretto a sé, sulla mia poltrona che Mattia le aveva portato, «Tanto a Zia Amelia non serve più». Ne cercava lo sguardo, gli massaggiava manine e piedini, gli cantava la ninna nanna sulle note del carillon.
Quando le piccole labbra cercarono i suoi capezzoli asciutti, arrivarono i cattivi pensieri: "Non sono una brava mamma", e fu adombrata dalla tristezza. Non era la prima volta che accadeva. Deborah aveva cercato di rassicurarla:«Manco io ti ho allattata, non sono forse una brava madre?»
Ma i cattivi pensieri sono come la gramigna: la strappi via e lei ritorna, se non l'estirpi alla radice e non rimuovi dal terreno stoloni e rizomi.
S'aggrappò all'idea d'aver scelto di dargli una possibilità di esistere, stravolgendo la sua vita e la sua dimora, accettando persino quella noiosa di sua madre tra i piedi; e che aveva braccia forti per sostenerlo e pelle pulita e profumata a cui accostarlo, divenendo per lui il nido caldo e protettivo che l'avrebbe nutrito più di qualsiasi latte materno.
Si alzò; delicatamente, l'adagiò nella culla a pancia in su. L'aveva lavato e gli aveva messo la tutina da marinaretto regalata da Nicolas e i calzini di lana gialla lavorata ai ferri che aveva trovato, da bambina, in un cassetto del mio comò: li indossava Mattia quando me lo hanno portato.
Mancava ancora mezzora alla prossima poppata, ma il piccolo sembrava voler anticipare il pasto. Lucilla andò in cucina per preparare il biberon, quando sentì suonare alla porta.
"Mamma sei di nuovo qui, potevi restare ancora un po' con papà. E come al solito hai dimenticato le chiavi."
Chiese: «Chi è?», solo per abitudine.
La voce che rispose le tolse il respiro per qualche secondo.
Aprì la porta senza pensarci. L'uomo sul pianerottolo era più snello di come lo ricordava, tanto che sembrava perdersi nel cappotto nero lungo fino ai piedi, ma con gli stessi capelli castani corti "Due centimetri e non un millimetro di più" e gli stessi occhi penetranti che la guardavano trovandola bellissima, nonostante la camicia da notte di flanella bianca a fiorellini fucsia e le pantofole con la pantera rosa.
«Cosa ci fai qui?»
«Il portone era aperto.»
«Ripeto: cosa ci fai qui?»
«Ho saputo e sono tornato appena ho potuto.»
Claudio la vide sbiancare e pensò che fosse per il dolore, ma non quello fisico, di cui non sapeva ancora niente.
«M'ha chiamato Godfried. Come stanno? Tu come stai?»
«Hai saputo-»
«Dei gemelli.»
Le guance di Lucilla ripresero il loro colore rosato. Il suo segreto era ancora al sicuro. Parenti, amici, conoscenti avevano mantenuto la parola data: Claudio non aveva saputo della nascita di Yuri da terze persone. Forse aveva rimandato troppo e la sorte le stava offrendo un'occasione per rimediare: non sarebbe riuscita a nascondere un figlio all'infinito né l'avrebbe voluto, e già da tempo aveva deciso che Claudio avrebbe dovuto sapere, "Prima o poi".
«Non ti sei mai preoccupato per me, finora. E s'avessi avuto bisogno di te in tutto questo tempo?»
«Ti sapevo al sicuro. Hai la tua famiglia airbag. Mi sono sentito spesso con Godfried. È venuto anche a Essen da me, l'estate scorsa.»
«Già, per il suo corso di tedesco.»
«Ma figurati, sua nonna è di Düsseldorf, è cresciuto a crauti e lingua teutonica. Non aveva voglia d'andare da sua madre e sua sorella che l'avrebbero riempito di inutili domande. A loro non piace Walter. Prima del matrimonio lo hanno visto solo in foto e dopo il ritorno a Milano non lo hanno visto mai più. Sarà perché è italiano, come il padre di Godfri, e credono che siamo tutti come lui.»
«Oh, tu no.»
«Ora sono qua. Per favore, fammi entrare. Sono disposto a mettermi in ginocchio. Non ti chiedo di perdonarmi o di stare con me, ma d'ascoltarmi. Non ti ho dato spiegazioni perché non n'ero convinto neanch'io, ma te le devo.»
«Servono a te per sentirti meno schifoso.»
«Lucy, ho fatto una cazzata ad andarmene senza parlarne con te.»
«A lasciarmi.»
«Non ufficialmente.»
«Ma nei fatti sì.»
Lucilla aprì la porta e gli fece strada fino in cucina. Con sguardo veloce, si assicurò che non ci fossero in bella vista ciucciotti o bavaglini. Claudio era talmente preso dal suo discorso che non se ne sarebbe accorto neanche se glieli avesse messi sotto il naso. Troppo nervoso per stare fermo, restò in piedi a muoversi tra il tavolo e la finestra, mentre Lucilla copriva con la schiena il fornello spento su cui stava il pentolino pieno d'acqua con dentro immerso il biberon.
«Volevo dimostrare a mio padre di valere qualcosa, di non pendere dalle tue labbra come diceva lui. Il piano era quello di stare un paio di settimane, tanto per far vedere che ci avevo provato. Poi sono stato sbalestrato da un cantiere all'altro; ho dovuto rimettermi a studiare e imparare. Mio padre m'incensava con amici e parenti, mia madre faceva la lista delle cose che ci saremmo potuti permettere con il mio stipendio. Sono rimasto invischiato in una tela che mi sono tessuto da solo. Però, senza di te, è tutto insulso. Mi sei mancata tantissimo. Mi sono sentito incompleto. Non sono felice senza di te, mi manca un pezzo.»
«Sei anche un poeta, adesso.»
«Non volevo rischiare che mi facessi cambiare idea, non sarebbe stato difficile.»
«Ti avrei seguito, forse.»
«Potresti farlo ora.»
"Sei dentro la mia cucina, ti voglio dentro il mio corpo, e questo è molto pericoloso."
Lucilla si allontanò da Claudio, quando avrebbe voluto avvicinarsi. Sapeva che lui non se lo sarebbe fatto ripetere tre volte. Avrebbe chiesto il permesso, come sempre aveva fatto, anche quando non ce ne sarebbe stato bisogno. Era la tessera che mancava alla sua vita, che combaciava col suo disegno, e che le era sempre aderito addosso con una precisione che a volte l'aveva lasciata senza fiato.
Prese la macchinetta del caffè dallo scolapiatti e la posò sul lavandino.
«Ho un lavoro, ora, sai. Un lavoro "serio" direbbe tuo padre, con William. Inoltre, non sono più sola, c'è un altro nella mia vita.»
Claudio non ebbe tempo di metabolizzare né di reagire: sembrò quasi che Yuri si sentisse chiamare in causa e gli fece arrivare la sua voce chiara e forte.
«Aspettami qui.»
Lucilla andò a prendere il nuovo, unico, grande amore della sua vita e lo presentò a Claudio.
«Lui è Yuri; avrei voluto parlartene in un altro modo, ma già che sei qui, ti andrebbe di tenerlo mentre preparo il latte?»
Pose tra le sue braccia il suo bene più prezioso, resistendo alla voglia di lasciarsi abbracciare e cullare come fosse anche lei una neonata. Si sentiva più forte, di quanto sarebbe stata anche solo otto mesi prima, e capace di mantenere il dovuto distacco. Non aveva voluto, e non voleva ancora, che Claudio si sentisse inguaiato. Era il suo quadratino perduto, ma non era tanto sicura di volerlo riappiccicare lì dove s'era staccato.
"Si può incollare un tassello d'un mosaico nel punto esatto dal quale è saltato via senza che si noti il rattoppo?"
«Non ho bisogno di te. Noi ce la possiamo cavare anche da soli. Io me la posso cavare da sola. Ma se vuoi esserci, per lui, non te lo impedirò.»
Claudio annusò il profumo buono di Yuri e se l'accoccolò con la testina nell'incavo tra la spalla e il collo, scostandoselo dal viso, per non bagnarlo con le sue lacrime.
Lucilla guardò padre e figlio ringraziando silenziosamente Godfried che, pur nei momenti più drammatici della sua relazione con Walter, aveva avuto la prontezza di non lasciare che si sfaldasse la rete sottile che teneva Claudio legato a lei e al suo bambino, lasciando aperte delle possibilità che loro avevano temuto d'essersi preclusi per sempre.
La fanciulla con la cornucopia era rimasta nei paraggi.
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