5. Il dubbio di Nicolas
Sebbene si fosse ripetuto più e più volte: «È tutto a posto, andrà tutto bene», avesse inalato olio di camomilla e ingurgitato tisane alla melissa, e i fiumi di tequila fossero già evaporati in fumi leggeri dalla cute e dal cuoio capelluto, la mattina prima della data stabilita per la firma, Thomas vomitò la colazione e la cena della sera precedente.
«È un po' d'alterazione», si giustificò.
I suoi genitori non lo disturbarono.
Lo stereo della cameretta accanto restò insolitamente spento.
Stava fotografando il crepuscolo, quando il cellulare gracidò.
Cra-cra
Cra-cra
Cra-cra
Cra-cra
Cra-cra
Cra-cra
«Pronto. Dimmi.»
«Sei sicuro che te la senti?» gli chiese Nicolas per l'ennesima volta.
«Sì. È tutto ok. Ho preso un po' di freddo.»
«Non sei mai stato bravo a dire bugie.»
«Né tu a fingere di crederci.»
«Questa volta m'impegnerò un po' di più.»
«Grazie. Vedrai, due giorni ancora e torno come nuovo.»
«Hai tempo fino a domani, per ripensarci.»
«Non ci ripenso. È quello che voglio.»
Nicolas capì ch'era vero.
Alex non riusciva a immaginarlo, l'incontro con Thomas. Non s'erano più visti né sentiti, da quel venerdì.
Cosa si sarebbero detti?
Come si sarebbero comportati?
Non chiuse occhio per tutta la notte; neanche le mani riuscirono a essergli di conforto.
Solo verso l'alba cadde in un sonno agitato, da cui lo destò la sveglia impostata alle 06:45 per paura di non svegliarsi in tempo.
Quando il cellulare grugnì, Nicolas saltò su come un grillo, si spogliò e molleggiò in bagno. Dieci minuti dopo, in mutande bianche e infradito, seguì, zufolando, l'aroma di caffè ed entrò in cucina. William, anche lui in mutande bianche e infradito, beveva latte macchiato; era avvolto dal bagliore del sole che giungeva da una finestra aperta, e dal suo sorriso. Fecero colazione in silenzio, poi ognuno tornò nella sua camera per vestirsi.
Alle 08:00 erano pronti per uscire di casa, lavati e profumati, sbarbati e pettinati, in abiti formali, gongolanti e con dipinto in faccia il ritratto della beatitudine.
Il messaggio di Thomas arrivò mentre William richiudeva la porta.
Nicolas era poggiato di spalle alla sua auto. Guardava il cielo terso cercando invano di sgomberare la mente da nubi scure e minacciose.
William, che aveva sentito l'Oink Oink, gli si piazzò davanti. Nel colon uno sciame di falene ballava il tip tap.
«Nico, che hai? Sembri un cerino smorzato.»
«Thomas.»
«Thomas cosa?»
«M'ha mandato un sms.»
«Che dice?»
«Non ho il coraggio di leggerlo.»
«Ieri ha confermato la sua adesione, no?»
«E se stanotte è stato male? Di nuovo?»
«Leggi il messaggio e lo sapremo.»
«No.»
«Che facciamo? Stiamo qui tutto il giorno a guardaci?»
«Leggilo tu.»
William lesse e scoppiò in una risata isterica:
«Ah, ah, ah, ah, ah, ah, ah, ah, ah! Tomi, ci hai fatto prendere un accidente!»
Nicolas lo interrogò con gli occhi e le sopracciglia.
«Non ci sta paccando:"Oggi non vengo, fratellone, non serve, Walter ha la delega. Mi venite a prendere, dopo?"»
«Andiamo, va, che, se no, sono io che vi pacco.»
Nicolas stava realizzando il suo più grande sogno; non riusciva a credere che fosse la cosa giusta.
La cosa giusta per Thomas.
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