5. Ciambellone al cioccolato


Maria Dolores tirò fuori dal forno un ciambellone al cioccolato e lo pose sul tavolo della cucina. Controllò l'ora sul cellulare e si avvicinò alla finestra. Un inconfondibile rombo tonante e un faro accecante penetrarono il vetro per spegnersi all'unisono.

Erano arrivati i gemelli, in sella al loro motorino smarmittato, uno in due, «Che qui non ci sono soldi da gettare alle ortiche; tra un paio d'anni prenderete la patente e si parlerà d'un mezzo più solido».

Il padre era stato assicuratore e di queste cose se ne intendeva; dove non l'aiutavano le statistiche, inferiva.

Maria Dolores, che li conosceva da quando erano due fagiolini nell'utero materno, li abbracciò, poi si rivolse a me: 

«Amelia, sei contenta della sorpresa?»

«Che profumino!»

Come api attorno al miele annusarono il dolce.

«Giù le mani! È ancora caldo,  vi fa male. Ve ne preparo un bel pezzo da portare a casa.»

Mi si avvicinarono e stettero qualche secondo a guardarmi, prima di salutarmi. Non c'era molta confidenza tra noi. Se passavano a trovarmi, una volta ogni cambio di stagione, era sotto ricatto o per ritirare un premio. Dopotutto, cosa potevano avere in comune due adolescenti vivaci e spensierati con una vecchia muta e immobile come me? Eppure ogni volta spendevano qualche minuto per raccontarmi cosa avevano imparato di stupefacente a scuola e per strapazzarmi massaggiandomi le spalle e le mani.

Restarono solo pochi ticchettii della lancetta grande nell'orologio appeso all'ingresso: il tempo d'intascare il loro bottino e scapparono via, scalpitanti più del solito.

«Scusateci, ma andiamo di corsa.»

«Ci stiamo allenando per la Stramilano.»

Non avrei saputo dire se fosse una battuta o facessero sul serio. Erano spumeggianti; solo questo contava.

Il rombo del motorino riempì di nuovo la campagna circostante, facendo abbaiare i cani dei vicini.

Un cucciolo ululò e una civetta squittì tre volte.

Ma noi non siamo superstiziosi.

"'Sette nove tredici', avrebbe detto Povera Zia Tina."



I cani stavano ancora abbaiando. Io ero stata spostata nel soggiorno davanti alla tv.

Arrivò Thomas. Da quello che mi disse, tra un morso e l'altro al ciambellone oramai raffreddato, capii che stava crescendo.

Thomas l'inquieto. Che non si innamorava mai, o fingeva di non avere un cuore.

Di tanto in tanto si dilettava con un cortometraggio porno, «Per imparare come si fa», ma poi faceva ben poco di quanto imparava.

Rifuggiva dagli incontri occasionali, salvo rare limonate sui divanetti d'una discoteca o qualche pompino tra i cespugli d'un parco poco frequentato.

Se la dava a gambe se poco poco sentiva le farfalle nella pancia; aveva il voltastomaco se avvertiva puzza di fidanzamento; e non arrivava mai oltre il sesto appuntamento.

Ha perso la testa per il suo cantante preferito e, quando l'ha conosciuto, ha dovuto conciliare fantasia e realtà.

Thomas e le sue antiche fiere! Ha fatto del tutto per tenerle a bada. Ha voluto impegnarsi e ha chiesto tempo.

Ha chiesto tempo a chi tempo ne aveva, e di pazienza e buona volontà.

«Ma non posso farlo aspettare troppo, se no questa volta è lui che scappa.»

Alex non aveva nessuna intenzione di scappare.

L'estate finì;  un giorno di pioggia, un ulteriore passo fu compiuto, breve e intenso; per fermarsi di nuovo, subito dopo.

La paura è una bestia nera; ci vogliono migliaia di lux per illuminarla.


*Noticina*

"Sette nove tredici" è una formula scaramantica che usavano i miei nonni. Non ne ho trovato traccia nel web. L'avete mai sentita?

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