4. Sulle scale
Tornò a notte fonda, per informare Godfried di quanto era accaduto e condividere con lui quel che stava provando.
Paura, nelle sue diverse sfumature: ansia, panico, terrore. Attesa. Desiderio di riandare indietro, a quando il grattacapo più serio riguardava la gestione del tempo da impiegare con l'uomo che amava. Per lui, tornava a casa. Nella sua mente si misticavano mille discorsi.
"Andare dritto al sodo, o prenderla alla larga?"
William, con lui, era stato sintetico, e l'aveva apprezzato: non servono tanti fiocchi e merletti per imbellettare un vestito rattoppato. Ma Godfried era un ipersensibile e andava maneggiato alla stessa maniera d'un grusone: con guanti spessi, plastificati, o rivestiti in nitrile. Walter non era sicuro d'avere la forza di contenere anche le sue emozioni, aveva già le proprie, in quantità abnorme, a gravare sulle spalle.
L'ascensore era di nuovo fuori uso. Salì i gradini due alla volta, facendo bene attenzione a dove metteva i piedi. A metà dell'ultima rampa sollevò il viso. Sul pianerottolo Godfried lo fissava, con lo sguardo duro di chi non perdona e la sacca da palestra a tracolla.
«S'è sca-sca-ri-cato il ce-ce-cellulare», riuscì a balbettare.
Strinse il corrimano tanto forte che i polpastrelli gli dolevano.
Dalla porta di casa uscì Rudolf, l'amico d'infanzia di Godfried, quello che aveva gufato sulla loro relazione da prima che cominciassero a considerarla tale, che lo snobbava con aria di sufficienza e simulava malori improvvisi installandosi nella loro stanza degli ospiti per giorni e giorni. Walter aveva sempre soprasseduto, ma quel sorrisino berteggiatore, come a dire: "Lo sapevo che prima o poi l'avresti fatto soffrire", proprio non lo digeriva.
Mandò giù un "Sarai contento, ora" e si concentrò su Godfried. Non vide fazzoletti bianchi né bandiere a sette bande.
«Non facciamo baruffa, è tardi e gente dorme.»
La voce di Rudolf era afona; a Walter ricordò Kaa, il pitone de Il libro della giungla.
«Stanotte Godfri sta da me e resta fino che fai pace con cervello. Qualcosa mi dice sarà per molto.»
Capita che si abbiano sulla punta della lingua tante parole da dire, nelle braccia forti abbracci da dare, e baci sulle labbra e lacrime tra le ciglia.
Capita che tutto ciò si ingolfi talmente dentro di noi che si rimane bloccati come se non si avesse niente da dire e niente da dare e si lasciano correre via momenti preziosi.
Forse è una paralisi necessaria per evitare frasi concitate e gesti inconsulti.
Trattenersi per non dire troppo e non fare male.
Trattenersi per darsi il tempo di comprendere: la situazione, ma anche le emozioni che n'emergono.
Così non ci furono parole forti o voci grosse, né dialoghi alcuni.
"Ha ragione Rudolf. Meglio non fare chiasso. Avrò modo di spiegargli, dopo aver raccolte le idee, dopo una doccia e una bella dormita. Ma anche lui dovrà spiegarmi: perché non mi chiede dove sono stato? Perché è arrabbiato e non preoccupato? Non capisce che sto male? La gelosia l'ha accecato così tanto? Ha un amor proprio tanto smisurato da sovrastare l'amore per me? Non capisco."
Walter li lasciò passare. Entrò in casa accostando piano la porta, quando avrebbe voluto sbatterla tanto forte da svegliare tutto il vicinato; quando avrebbe voluto urlare e spaccare lo specchio dell'ingresso che lo guardava con la faccia sconvolta: la stessa che Godfried aveva ignorato. Andò in bagno a sciacquarla via, ma quella, beffarda, rimase lì dov'era.
Dopo la doccia, un bicchiere di latte e due gallette di riso, si buttò sul letto e si addormentò in un sonno pieno di cadaveri, che durò nemmeno quattro ore.
Lo svegliò la vibrazione del tablet accanto a lui. Un quarto d'ora dopo era di nuovo in auto. Il cellulare ormai carico, con la suoneria a tutto volume, gli rimandò i tentativi di Godfried di mettersi in contatto con lui. Ogni Splash suonava come un rimprovero. Aveva provato a chiamarlo ventisei volte. Non aveva lasciato neanche un messaggio.
Acciambellata sotto uno spesso strato di coperte, Myriam pianse tutte le lacrime che non s'era concessa in tanti anni di delusioni e infiammazioni articolari. Tutto il peso del mondo le era crollato addosso spalmandosi sul suo corpo fino ad appiattirne ogni singolo osso; il fuoco del nucleo della terra era fuoriuscito a bruciarle la pelle delle gambe e delle braccia; i ghiacciai alpini erano franati sul suo viso. Dolore fisico e angoscia si alleavano nel costringerla all'immobilità.
Ogni tendine teso, lo stomaco sottosopra, i polmoni ansimanti, trascorse insonne quello scampolo di notte tra il rientro a casa e il belato del cellulare che le ingiungeva di uscire dal suo nascondiglio di braccia e ginocchia e di entrare nella cruda realtà.
Si lavò alla meno peggio, indossò gli abiti tolti poche ore prima e uscì in strada, dove chiamò un taxi, perché lei non guidava. Aveva preso la patente dopo il diploma e non l'aveva mai usata: «È più comodo andare con i mezzi, risparmi ed eviti lo stress del traffico. E non ti fai prendere dal panico se ti s'incricca il polso, o il collo non si torce, o ti s'è gonfiato un piede come s'avessi giocato a calcetto e un avversario ti ci fosse cascato sopra come un elefante maldestro.»
Walter l'aspettava alla fermata. Gli apparve più stanca di quando l'aveva portata a casa. Si abbracciarono.
Nella mia famiglia, lo saprete già – ve l'ho detto? Non ricordo, ma l'avrete capito da voi - si comunica più con i gesti, i movimenti oculari e dell'arcata sopraccigliare, della bocca, del collo, delle spalle, e del corpo intero, che con la voce.
A Myriam qualcuno ha persino suggerito di fare l'attrice: «Hai un viso così espressivo!»
«Sì, lo so, faccio molte smorfie; ma, sai, puoi anche non guardarmi», aveva ribattuto lei, tra il serio e il faceto; perché, che piacesse o no, al suo linguaggio non verbale non rinunciava. Non si fidava di chi non sorrideva mai, non aggrottava la fronte o teneva le mani in tasca o lungo i fianchi, ferme, mentre parlava. Sin dall'infanzia, lei e Walter avevano un modo tutto loro per dialogare. Tra i loro volti passarono frasi intere, mentre l'unico rumore era quello dei baci sulle guance. Myriam ebbe l'impressione che a Walter mancasse qualcosa.
"Godfried. Strano che non sia qui. Beh, forse, data l'ora, è comprensibile. Uhm. No."
Gli sfiorò la fede con un dito. Lui scostò la mano e s'incamminò.
Quel giorno, l'alba, come una promessa che si tardi a mantenere, si fece attendere più del solito.
L'oscurità ammantava la città. Che fossero nuvole o smog, o l'impazienza di chi è lì che aspetta non riuscendo a stare seduto, e se ci sta batte un piede per terra seguendo un ritmo tutto suo – il ritmo di chi teme che il nuovo giorno possa non arrivare mai –, i suoi tentacoli serpeggiavano in ogni vicolo, in ogni slargo, in ogni anfratto degli animi atterriti e dei cuori trepidanti davanti alla porta chiusa d'una sala operatoria. Poi, all'improvviso, il chiarore si fece strada, con prepotenza, tra i palazzi, nelle piazze, dentro pupille dilatate, e fu accecante.
Il piccolo Yuri nacque in una fredda mattina di fine dicembre. Arrivò col primo raggio di luce. Il suo vagito riuscì a sovrastare le volgarità di Lucilla, che non aveva smesso d'insultarlo. Prima di perdere i sensi.
Il sole era appena sorto indorando l'orizzonte verso il quale si estendevano le campagne retrostanti La Fattoria. La casa era vuota, nessuno aveva dormito sotto il suo tetto, la notte precedente. Tutto era rimasto così come era stato lasciato. In cucina c'era ancora la luce accesa. La spense William, dopo aver messo nella dispensa pacchi di farina e di latte, mentre Nicolas riempiva una ventiquattrore di indumenti.
Diedero da mangiare agli animali e annaffiarono l'orto, senza mai interrompere il filo diretto che li teneva uniti al resto della famiglia.
«Andiamo da loro?»
William non si attendeva una vera e propria risposta.
Davanti alla sua utilitaria, impolverata, e con le ruote sporche di fango, Nicolas sbiancò e si appoggiò al cofano per non finire a terra.
«Thomas. Glielo dobbiamo dire.»
«Non vogliamo aspettare che torni, come ha detto Sergio?»
«Io credo che vorrebbe saperlo. Ora. No, ieri. Magari non tutto. Dovremo anche parlare con Walter e l'Agente di Alex.»
Entrarono in auto. Nicolas rimase con la nuca aderente al poggiatesta.
«Sono stato presuntuoso.»
Si chinò in avanti e colpì il manubrio con la fronte.
«La catastrofe s'è abbattuta su tutta la famiglia.»
William gli fermò la testa e lo spinse verso lo schienale.
«Cosa stai dicendo?»
«È colpa mia. Ho osato crederci ed è andato tutto a scatafascio. Io non merito d'essere felice. Non dovevo farlo, non dovevo fare questo alla mia famiglia.»
«Cosa c'entri tu? Non hai fatto niente.»
«Come con Thomas.»
«Ancora? Quanto dovrò ripetertelo? Eri poco più che un ragazzo. Hai desiderato un po' di libertà.»
«Volevo tenervi separati. Ero geloso.»
«Chi non lo è mai stato? Un po' è normale.»
«Un po', hai detto bene. Ero andato in fissa. Dovevo già condividere te con Lucy e Walter. Thomas doveva essere mio e di nessun altro. Volevo partire da solo per evitare la solita vacanza assieme. Mia madre fece il finimondo. Dovevo ascoltarla, invece, mi sono fatto convincere ad accompagnare Maria Dolores in Sardegna così da raggiungerti da tua nonna, per poi andare al mare noi due.»
«Maria Dolores, grande! È riuscita a trovare il modo di mettere tutti d'accordo.»
William cercò d'introdurre note positive in un ritornello che Nicolas ripeteva da anni senza riuscire ad arrivare alla doppia stanghetta.
«Nessuno dice di no a Maria Dolores. Quando sei arrivato, sembravi così contento.»
«Lo ero: avevo te tutto per me! Per una settimana intera! E sai come è andata a finire. Ogni volta che desidero qualcosa di bello e riesco a ottenerlo, di contro succede qualcosa di brutto a qualcuno a cui voglio bene. Perché sono un egoista. È un disastro.»
Nicolas diede un manrovescio al finestrino.
William sospirò e si grattò la nuca. Il suo occhio sinistro tremolava.
«Quando la pianterai di sentirti così potente? Non sei tu che fai succedere le cose.»
«Se non si sveglia, io non suonerò mai più. E nessuno dovrà cantare le mie canzoni. Lo giuro su questa terra.»
Nicolas era sull'orlo d'una crisi di nervi.
William non sapeva come rinfrancarlo. Anche a lui aveva fatto piacere, stare un po' loro due da soli. Pure se ciò non era in alcun modo collegato con gli eventi del presente, aveva un magone che non riusciva a mandare via.
«Va bene. Ma si sveglierà. Deve. Ora calmati e andiamo e nel frattempo decidiamo cosa scrivere a Thomas senza allarmarlo troppo. Se vuoi guido io.»
«Okay.»
Uscirono nell'aria fredda per prendere l'uno il posto dell'altro, incontrandosi a metà strada. William non era sicuro che fosse la mossa giusta, ma ci provò: strinse Nicolas così forte che, anche volendo, non sarebbe riuscito a scappare. Nicolas ricambiò la stretta.
«Grazie. Ti va di correre?»
*Noticine*
Bandiera a sette bande: bandiera della pace
Stanghetta doppia: in musica, segnala una variazione importante all'interno del brano (dal web)
*Facciamo due chiacchiere?!*
Grazie per essere arrivati fino a qui!
In questo capitolo, finalmente, abbiamo ritrovato Mirko: sta abbastanza bene, siete contenti? Lucy sta per partorire, ma la gioia del lieto evento è offuscata da ombre pesanti. Tra Walter e Godfried è di nuovo calato il silenzio.
Vi siete fatti un'idea, anche vaga, delle linee sottili che collegano i vari ritagli in un tessuto complessivo? Quali sono le vostre sensazioni? Vi piace come sta procedendo la storia? Riesce a coinvolgervi, oppure vi viene da dire:"Basta, non ne posso più!"
Sapete che i vostri consigli sono preziosissimi, mi sono da conferma, ma anche da pungolo per mettermi in discussione, quindi, scatenatevi!
Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top