4. L'inizio di un nuovo anno
Il medico fu di parola e firmò la dimissione di Mirko quel mattino stesso.
«Questo ragazzotto non inizierà il nuovo anno in un letto d'ospedale; però dovrà riposare molto e sarebbe meglio che non restasse solo. Non credo sarà difficile, viste le persone fuori ad attenderlo.»
Nel viso oblungo, dalla carnagione chiara, la bocca a cuore era aperta in un sorriso di denti perfetti, tra baffi e barba sale e pepe, come pure erano i capelli, lisci, corti, sfumati ai lati e con ciuffo lungo sulla fronte spaziosa. Le guance magre si fecero leggermente più rosate, quando gli occhi neri, contornati da ciglia lunghe, si soffermarono in quell'angolo del corridoio dove Myriam s'era spostata vedendolo arrivare, per lasciare il suo posto a Sergio.
«Riferisco.»
Myriam lo trovava "Sopraffino", pure col camice impataccato e i jeans che non avevano mai visto un ferro da stiro.
"Quanto hai ragione... e come sei bello!"
Gli scoccò un'ultima occhiata e tornò dagli altri in sala d'aspetto.
Anche se Anna non si sarebbe mossa da dov'era e Sergio avrebbe fatto avanti e indietro, a Mirko non mancavano fratelli disposti a trasferirsi a La Fattoria in pianta stabile, né case pronte a ospitarlo.
William e Nicolas si guardarono. Deborah e Mattia si guardarono. Linda e Myriam si guardarono. Nessuno di loro fece in tempo ad aprir bocca.
«Potrebbe venire qualche giorno da noi.» Godfried sorprese persino se stesso. «Io sono a casa fino al nove.»
Walter, desideroso di rendersi utile, gliene fu grato, anche se non glielo dimostrò.
«Allora è deciso, appena Mirko è pronto, possiamo andare. Venite anche voi?»
Prima di levare le tende, restava un nodo scorsoio da sciogliere: se e come rivelare a Lucilla il perché i piccinini non erano ancora corsi a conoscere il loro primo nipotino. Mai e poi mai si sarebbe bevuta la frottola dei due secchioni proni a studiare persino il trentuno dicembre, neanche William era mai arrivato a tanto! Né avrebbe perdonato a Sergio un qualche castigo dell'ultima ora.
A dipanare la matassa fu proprio Mirko:
«Portatemi da lei: è troppo intelligente per credere un minuto di più alle vostre pagliacciate».
L'incontro fu breve. Uno sguardo. Un abbraccio. Una carezza.
«Ti faccio vedere i graffi che m'ha fatto la strada perché le sono cascato addosso.»
«Nuovi tatuaggi! Su questi Sergio non potrà mettere becco.»
Uno sguardo. Una carezza. Un bacio.
«E Jajo?»
«Sta dormendo. Appena si sveglia viene anche lui.»
Un bacio. Un abbraccio. Due lacrime.
«Hai sentito il medico? Non ti devi affaticare.»
Sergio portò Mirko in corridoio. Lo tenne accoccolato per diciotto respiri accelerati, prima di consegnarlo a Walter, con tutte le raccomandazioni del caso e pure qualcuna di più.
Deborah e Mattia restarono con Lucilla che li riempì di domande tra un singhiozzo e l'altro. Stettero con lei finché non si addormentò tra loro due seduti sul suo letto, in attesa della prossima poppata, e anche dopo, per assicurarsi che non saltasse il pranzo: pure se non allattava il piccolo Yuri col latte delle sue mammelle, doveva rimettersi in forze, se voleva uscire da quella stanza.
Thomas e Alex, William e Rossella, Nicolas, Linda e Myriam, andarono, insieme a Mirko, a casa di Walter e Godfried, per preparare il Cenone di Capodanno, anche se nessuno aveva voglia di festeggiare. Sergio li raggiunse in serata, portando biancheria pulita, un paio di tute e il pigiama preferito di Mirko, sperando di sollevargli un pochino il morale.
Le ultime ore dell'anno furono riempite da penne all'amatriciana, uova sode con maionese e pomodori conditi con olio e basilico; pandoro, panettone e torrone bianco alle mandorle; olive, noccioline e mandarini; e dalle canzoni alla tv.
Il conto alla rovescia arrivò come una liberazione.
A mezzanotte non ci sarebbero stati brindisi, se Mirko non avesse alzato il suo bicchiere mezzo vuoto, o mezzo pieno, di succo d'arancia e zenzero: «A Jacopo!» seguito da un'eco commossa e auguri, dapprima fiacchi, poi più convinti.
Guardarono dalle finestre il susseguirsi di fuochi artificiali che si aprivano in fiori e ombrelli colorati nel cielo sopra Milano, non per vero interesse, quanto per capire quando fosse più sicuro prendere l'auto e tornare a casa. Quaranta minuti dopo, rimasero in tre, in una vescicola di silenzio e disordine, mentre fuori la città viveva la notte come fosse l'ultima. Mirko, con gli occhi pieni di sonno e pianto, fece il primo turno in bagno, poi si ritirò nella stanza degli ospiti, affidandosi ai granuli disciolti nell'acqua fresca per annullarsi in un sonno senza sogni né emozioni.
Dopo essersi assicurato che non avesse bisogno di nulla, che la coperta fosse sufficiente a scaldarlo e il cuscino non troppo duro, Walter gli diede la buonanotte e tornò in soggiorno per rassettare. Ramazzando, andò a cozzare contro Godfried, a cui non aveva più rivolto la parola dalla sera prima. Si voltò e s'accorse ch'era già in pigiama; aveva preso sacco a pelo e cuscino e stava preparando un giaciglio sul divano.
«Cosa fai?» gli chiese.
«Lascio la cameretta a Mirko, così sta più tranquillo.»
Il suo alito profumava di menta e limone; a stento Walter non cedette all'istinto di baciarlo.
«Non essere ridicolo! Vieni a dormire in camera, che qui fa più freddo.»
Trascorsero le ultime ore prima dell'alba sdraiati nello stesso letto, voltandosi le spalle, con gli occhi aperti, a guardare le luci delle auto muoversi sulle pareti: segni di persone, giovani e non, che avevano voglia di divertirsi e salutavano l'arrivo del nuovo anno illudendosi di fare qualcosa di nuovo, di speciale, quando in realtà ripetevano dei copioni già recitati, senza avvedersi che non c'è nulla d'eccezionale nello scambiare un'ora con un'altra, una data con la successiva: succede tutte le ore, tutte le notti, e non ci facciamo caso.
A quante cose non facciamo caso!
«Anno nuovo, mese nuovo, e scarpe vecchie», diceva il mio Vito, «Sempre gli stessi auguri, gli stessi propositi, come se questo passaggio potesse cambiare qualcosa».
Forse dovremmo essere noi, per primi, a cambiare. Il nostro approccio. Le nostre lenti. I nostri metri. Le nostre congiunzioni.
Walter e Godfried non avevano voglia di divertirsi né trovarono un solo motivo per il quale valesse la pena restare in giro a strombazzare fino a tardi, ma, ognuno per suo conto, decisero che avrebbero fatto più attenzione ai piccoli particolari, ai segni, alle espressioni, agli umori, di chi avevano accanto, dando più valore a tutto ciò ch'era dato per scontato; alla presenza più che all'assenza; a ciò che veniva concesso più che a quel ch'era negato; al piacere di stare insieme, più che all'insofferenza per il tempo vissuto distanti.
Walter dedicava i suoi proponimenti a sua madre e a suo padre, che vedeva solo quando l'ammorbavano tanto che diceva di sì solo per metterli a tacere; a Myriam, con cui aveva condiviso più istanti negli ultimi due giorni che negli ultimi due anni; a Mirko... e Jacopo, "Che il ciel volesse!" di cui si rammentava se doveva comprare loro un regalo o quando vinceva il Milan.
Godfried, invece, era quasi tutto concentrato su Walter: si ripromise di non snervarlo più con il bisogno di attenzioni, d'allentare la presa e di cercare di riconquistarlo. S'un piano diverso, ma simultaneo, si perdeva in fantasticherie spontanee in cui risuonavano le parole di Alex: "Saremo grandi. Faremo tante belle cose insieme. Dobbiamo crederci". Certi treni passano una volta sola e questo Godfried non intendeva perderlo. "Vita lunga e fruttuosa! Ci direbbe Amelia, alzando un calice di spumante allungato con acqua effervescente naturale!"
I primi giorni dall'anno furono subissati da messaggi e telefonate, a cui Mirko non rispondeva, e visite di amici, puntualmente respinti. Furono ammessi solo Sergio, Thomas e Nicolas, insieme, un'ora per volta.
La tv restò spenta perché Mirko aveva mal di testa e la testa di ognuno era troppo piena dei propri pensieri per prendere un libro e immergersi in quelli degli altri.
Walter riordinò il suo armadio e i suoi cassetti, i pensili e le basi della cucina, il guardaroba all'ingresso e i mobiletti del bagno. Sarebbe voluto uscire per camminare fino a stancare le gambe, ma aveva preso un impegno con Sergio; anche se sapeva che Godfried se ne sarebbe occupato come o anche meglio di lui, non se la sentiva di lasciarlo solo con questa responsabilità: la salute di Mirko era ancora instabile; comprimeva nel silenzio e nello stomaco chiuso la sua fragilità, ma da un momento all'altro sarebbe potuto scoppiare.
Godfried studiò per ore, e per ore chattò, ridendo in quel modo sonoro, con la testa buttata all'indietro, che Walter aveva amato sin da subito e gli faceva sempre venire voglia di fargli un succhiotto sul collo; si rodeva nel chiedersi chi lo divertisse tanto, ma non si azzardava a farlo ad alta voce, per timore d'essere azzannato.
Godfried era l'unico a non avere il muso lungo e a muoversi con disinvoltura tra stanze con le serrande tirate giù perché a Mirko dava noia la luce. Ed era anche l'unico ad avviare dei dialoghi, i quali riguardavano le necessità di Mirko: «Hai dormito bene? Hai freddo? Hai caldo?» e la praticità della vita in comune:«È finito il detersivo per i piatti. Ti ricordi dove abbiamo messo la tovaglia rossa? Ti vanno bene risotto alla pescatora per pranzo e pesce spada alla piastra per cena?»
In risposta riceveva:«Pff, br, uh» da uno che se ne infischiava di mangiare, bere e dormire, e dall'altro a cui importava meno di zero di detersivi, tovaglie, e cosa avrebbe messo sotto i denti.
Mirko usciva dalla cameretta per salutare padre e fratelli, si sedeva a tavola per educazione, metteva in bocca una forchettata di cibo e beveva mezzo bicchiere d'acqua. Pareva avulso da chi o cosa lo circondava.
La vigilia dell'Epifania, prima di mettersi a letto, come ogni sera Walter passò ad assicurarsi che prendesse le medicine e che avesse una bottiglietta piena sul comodino. Non si aspettava che lo guardasse con quell'intensità nello sguardo né che gli parlasse con tale schiettezza.
«Dimmi cosa sta succedendo tra te e Godfried.»
Stava seduto sul letto, con le gambe distese e una caviglia sull'altra, in un pigiama a strisce verticali rosse e nere.
Walter cercò di traccheggiare.
«Nulla, siamo tutti un po' scossi.»
«Non vi guardate negli occhi, evitate di sfiorarvi. Non vi siete dati neanche un bacio per farvi gli auguri.»
«Può capitare, Mirko: due persone si vogliono bene, ma finisce l'amore, che è qualcosa di più, molto di più.»
«Che stai cianciando? Voi vi amate. Oggi pomeriggio tu gli hai stirato sette camicie. Lui non cucina senza chiederti cosa vuoi mangiare.»
«È l'abitudine. Godfried non sa stirare, mica posso pretendere che impari dall'oggi al domani. Lui mi ripaga così.»
«Pesce tutt'i giorni. Caro il nostro Tonno, anche questa è un'abitudine?»
Walter non aveva risposte da dare e non ne diede.
«Le cose, a volte, sono più difficili di quello che sembrano.»
«A volte siamo noi che ce le complichiamo.»
«Buonanotte, Bambi.»
Walter chiuse la porta. Dall'altra parte sentì Mirko gridare:«Allora perché portate ancora le fedi?»
"Quando crescerai, capirai", avrebbe voluto rispondere. Ma ricordava quanto avesse odiato questa frase alla sua età. Chi lo diceva che Mirko non capiva e non vedeva al di là dei loro errori e del suo orgoglio?
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