3. Radici


Mi misero tra le braccia un ammasso di carne palpitante, calda, vestita di pochi stracci. "Sono puliti", ricordo che pensai. Pesava poco più d'una pagnotta da due chili. Non sapevo che farmene.

Io che: «Meglio zitella che serva. Sto bene da sola. Figli? Non ho eredità da lasciare».

Io che: «No, grazie, non ho bisogno di nulla», anche quando avevo la dispensa vuota.

«S'impara», mi dissero Vito e Povera Zia Tina.

«T'aiuteremo noi.»

Guardai quel fagottino innocente giunto a sconvolgere la mia ordinata esistenza. Vidi un estraneo, finché il birbante sorrise nel sonno e lo riconobbi; divenni madre, non solo sulla carta.

La maternità non s'inventa. L'istinto materno o ce l'hai o non ce l'hai.

«Io non ce l'ho», mi ero detta tante volte.

A volte capita, però, che ce l'hai e non lo sai. Oppure ti scatta qualcosa dentro e nemmeno tu sai come. Tutto viene da sé. Tutto scorre. Il sangue ossigenato delle arterie nutre i tessuti, quello nelle vene fa esplodere il cuore. Scopri d'avere mani grandi e infaticabili, e gambe mai stanche, e parole dolci e tante teorie sull'educazione e le buone maniere che potresti comporre un manuale.

Non hai altro scopo: farne un bravo ragazzo, e «Che non si senta mai solo».

Questo successe a me.

Mattia aveva tre settimane; era il primo giorno di primavera: iniziava per me una nuova stagione, che non s'è ancora conclusa.

Solo una cosa chiesi, pretesi, ottenni: «Non dovrà mai chiamarmi mamma. Non potrei togliere anche questo a mia sorella».

Vito divenne suo padre, «O suo zio: potrà chiamarmi come vuole, anche opossum o koala; me ne occuperò come se l'avessi concepito io».

Ci prese per mano e, da quel paesino della provincia di Viterbo, ci condusse in questa città dove ci sentimmo sperduti, anche se liberi da occhi pronti a raccontare alla sorella della zia della cognata. Restammo poco. I grandi borghi non fanno per me e presto ce ne andammo in campagna, dove costruimmo la nostra grande casa che spero di rivedere prima o poi.

Vito è stato un buon padre e un buon marito, gran lavoratore, sani principi, frasi fatte, motti e proverbi.

«Vivi e lascia vivere.»

«Non fare ad altri ciò che non vorresti fosse fatto a te.»

«Non giudicare, un giorno potresti essere tu ad essere giudicato e potrebbe non piacerti.»

«Non dire mai "No, a me non succederà": non sai cosa potrà riservarti la vita e quali scelte può portarti a fare.»

Così è cresciuto Mattia, con questi dettami, gli stessi che ha trasmesso a Walter, Nicolas, William e Lucilla e in qualche modo sono arrivati fino a Thomas e persino ai gemelli.

È anche grazie a questi insegnamenti, se Mattia non ha detto una parola, quella volta in cui ha beccato Walter a studiare La Morfologia del Corpo Umano sul corpo di Luigi, mentre si preparavano per l'esame di maturità. L'aveva istruito bene riguardo a igiene e malattie. A cena si assicurò che se ne ricordasse, non prima d'avergli chiesto scusa per aver aperto la porta della sua camera senza bussare. Dopo tutto era maggiorenne, cosa avrebbe potuto rimproverargli? Proprio lui che maggiorenne non lo era quando aveva contribuito alla sua messa al mondo. Anche in quel caso Vito non aveva detto un granché, rammaricandosi altresì per non aver intavolato la chiacchierata tra uomini che gli chiedevo da tempo. Disse solo che l'avremmo aiutato, ma che doveva assumersi le sue responsabilità. Questo, però, mi sembra d'avervelo già raccontato.



Vito ha fatto in tempo a conoscere tutt'i ragazzi, e tutti loro raccontano ancora di quanto sia stato bello avere avuto un nonno così buffo. Si metteva in testa un cappello da muratore fatto con fogli di giornale e si copriva la faccia di farina. Giocava a carte e nascondeva gli assi nelle maniche. A Lucilla permetteva di pettinare i pochi capelli rimasti e ne mostrava con orgoglio i solchi.

Nel nostro frutteto c'è un pozzo artesiano. La vegetazione lo nasconde. Lo ho recintato e ha vietato ai ragazzi d'avvicinarsi, minacciandoli con un bastone.

Con loro tornava bambino, raccontando di quando era ragazzo e di quanto fosse stato discolo.

A loro chiese di pregare per lui, quando li salutò per l'ultima volta.

Un cancro ce lo portò via in una notte d'autunno ancora calda, anche se io lo sento, la sera, che m'accarezza il viso. Mattia m'ha confidato d'avvertire refolo d'aria che gli sfiora i piedi, quando pensa a lui.

La natura non m'ha dato altri figli. E va bene così. Non ne ho mai desiderati, come non ho mai agognato una famiglia numerosa, né avevo in mente di sposarmi. Tutto è arrivato da sé, ed è stato il benvenuto.

Tutto ho raccolto e accolto come un omaggio, così come mi veniva presentato.

La famiglia numerosa è arrivata comunque, una famiglia di cui sono enormemente fiera.

Per Mattia sono Zia Amelia. Io e Vito abbiamo rinunciato agli appellativi mamma e papà; non per questo ci siamo sentiti meno genitori. I ragazzi mi chiamano "nonna"; non mi sono mai opposta: è così dolce questo nome!

Il pranzo di famiglia è stata una mia idea.

Ogni famiglia ha le sue tradizioni.

Io e Vito abbiamo creato la nostra.

L'ho preteso soprattutto per Walter: siamo una famiglia frammentata, ma un'unica famiglia e almeno a Natale...

Che i figli stiano con entrambi i genitori, e i fratelli stiano con i fratelli.

Che Walter stia con Linda e Mattia, con Myriam e con William e Lucilla, ma anche con Nicolas.

Che Myriam stia con loro, ma anche con Lia e Rocco.

Che William stia con loro, ma anche con Deborah.

Che Nicolas stia con loro, con Anna, Thomas e i gemelli.

E Thomas e i gemelli stiano con loro e con Sergio.

Può sembrare cervellotico, eppure è tanto semplice: basta stare tutt'insieme.

Ero brontolona e una gran rompiscatole, sta di fatto che m'hanno sempre ascoltata:

«La nonna Zia Amelia ci tiene; ci conta e sa che siamo tutti».

Ho tanti nipoti; alcuni sono nipoti di sangue, altri di cuore.

C'è tanto spazio sul nostro albero.

Ma i rami, le foglie, i frutti, non hanno senso senza radici.

Non si può decidere dove ci si vuole estendere, a quale pezzo di cielo si vuole tendere, se non sappiamo da quale terreno sono spuntati i nostri primi germogli.

Walter conosce bene il principio della sua storia e ha sempre saputo dove voleva arrivare, solo che a un certo punto del percorso ha messo da parte la mappa, ha preso una deviazione e non riusciva più a tornare indietro: quella notte, mentre Lucilla era in travaglio, si sentì davvero perso.


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