3. Nodo a otto
In qualsiasi altro posto si fossero trovati, la loro mente sarebbe tornata lì; per questo erano di nuovo tutt'in ospedale, insieme come solo al mio Pranzo riuscivano a essere: non potevano stare lontani da loro.
Da Mirko, spostato in una camera singola, data la sua condizione psicologica, più che fisica.
Da Jacopo, che aveva subìto un lungo intervento e non s'era ancora svegliato.
Da Lucilla e dal suo bambino, che producevano una musica dolce in quel trambusto di sirene, allarmi, lamenti, prognosi riservate e coma farmacologico.
Dal resto della famiglia, in cui ognuno riconosceva negli altri la stessa afflizione e la stessa necessità di sentirsi al sicuro, come dentro un'incubatrice.
Aspettavano il loro turno, in un'anonima sala d'attesa; uno alla volta, andavano da Mirko, poi da Lucilla, poi alla nursery; dieci minuti in tutto, prima di tornare di nuovo in quella stanza illuminata artificialmente, a farsi coraggio l'uno con l'altro.
Ciò che più d'ogni altra cosa li induceva ad arricciarsi i capelli con un dito, a mangiarsi le unghie, a grattarsi la nuca o ad andare avanti e indietro col busto, era l'impossibilità di vedere Jacopo. Solo Anna era ammessa nella sua stanza e vi restava arroccata; aveva un'ampia poltrona su cui riposare e un bagno tutto per sé. Sporadicamente chiedeva a Sergio di darle il cambio, quando le veniva la smania di correre dall'altro suo figlio per assicurarsi che almeno lui fosse cosciente e per chiedergli:
«Hai dormito? Hai mangiato? Sei andato in bagno?»
Poi tornava da Jacopo, a dimenticarsi di dormire, di mangiare, di andare in bagno.
Thomas fece il suo ingresso quasi in punta di piedi, seguito da Alex. Per primo vide suo padre; appariva invecchiato di dieci anni, con la barba di tre giorni, i vestiti scompagnati e le scarpe da campagna, che "Sicuramente non sa dove la mamma gli ha messo quelle buone".
Nicolas e William non avevano un aspetto migliore. Linda e Myriam sembravano coetanee, entrambe con gli occhi cerchiati da rughe novelle. Ma le note più stonate erano Walter e Godfried: uno in piedi vicino alla finestra, rivolto verso il basso; l'altro, seduto in disparte nel lato opposto della sala, lo fissava con sguardo languido da cane bastonato.
Sembravano tanti manichini ciechi collocati a casaccio. Poi, d'un tratto, tutti loro cambiarono posa e aprirono la bocca. Qualcuno si alzò in piedi per abbracciarlo:«Eccoti, finalmente!», come se la sua presenza avesse portato del concime stallatico pellettato.
Altri mormorano un semplice:«Ciao».
«Da Mirko c'è Ilenia. Gli ha portato un blocco per scrivere e una penna. Non ci aveva pensato nessuno.»
Sergio era visibilmente sollevato nell'avere accanto anche questo suo figlio che, per giorni, era mancato all'appello, di poterlo tenere sotto il suo controllo, dentro la sua ala protettiva, perché gli era salita a dismisura un'ansia irrazionale che potesse accadere qualcosa anche a lui.
«Appena lei esce, vai tu, che ti aspetta.»
Si sciolse dall'abbraccio con cui aveva accolto Thomas e, rivolgendosi ad Alex, si presentò: «Sergio, il papà di questo giovanotto; mi fa piacere conoscerti, anche s'avrei preferito un'occasione migliore».
Alex porse la mano, ma la sua lingua restò legata.
Poco dopo, Ilenia tornò, salutò e andò via, a testa bassa e gli occhi lucidi.
Thomas abbracciò il suo Bambi: «Sono qui, cucciolo, sono qui».
Mirko sprigionò le lacrime che aveva ricacciato indietro con Ilenia, con suo padre, sua madre e gli altri parenti.
«Non devi per forza fare il duro. Le emozioni sono parte di noi, fa bene sfogarle.»
«Anche la rabbia?»
«Dipende come.»
«Scarabocchiando, va bene?»
«Va bene, le pagine del blocco notes, però, non questi bei muri bianchi.»
«Bianchi a pois di pomodoro e mosche spiaccicate.»
«Non hai perso il tuo spirito di patatone, bene!»
Nicolas e William salutarono Alex con un cenno della mano senza alzarsi dalle sedie su cui s'erano ancorati; nessun altro lo degnò d'attenzione; ritornarono tutti fantocci ripiegati su se stessi. Alex si rese conto d'essere un pesce marino in un acquario tropicale. Uno sguardo verso Godfried gli bastò per capire che anche lui si sentiva fuori luogo. Gli si avvicinò.
«Ciao, tu sei il marito di Walter?» gli chiese a bassa voce.
«Non lo so più», rispose una voce ancora più bassa. «Tu stai con Thomas?»
«Non lo so ancora. Ti va d'accompagnarmi al bar?»
Godfried detestava Alex a prescindere. Prima che facesse la sua comparsa nella loro vita musicale, i Cipì suonavano e cantavano per il Pranzo di famiglia e in qualche rara occasione di festa: il compleanno d'un amico, la comunione d'un cugino, la sagra del borgo di campagna in cui Thomas e Nicolas erano cresciuti. Walter si occupava dell'organizzazione logistica, inoltrava gli inviti, allestiva gli ambienti, coordinava il lavoro di pulizia e messa in ordine e stop, tornava alla vita di sempre.
"Tornava a stare con me. A mangiare, guardare la tv, dormire con me. O a stare per conto suo a fare le cose che amava fare, nella nostra stessa casa, sotto lo stesso tetto, corpo, cuore, anima, energia sulla famiglia, la nostra, nell'attesa del viaggio. Alex ha scentrato tutto con le sue idee da megalomane."
Accettò l'invito perché non ne poteva più della freddezza con cui Walter lo teneva a distanza. Anche quella mattina aveva dovuto arrangiarsi per recarsi lì, dove non poteva fare a meno di essere. Non era sicuro che il resto della famiglia fosse consapevole dei metri che li separavano e del silenzio tra loro; ognuno era, a suo modo, strano, come la situazione che stavano vivendo; ciò non lo faceva sentire meno a disagio.
Occuparono un tavolo appartato, ponendosi uno di fronte all'altro, chiedendosi, ognuno tra sé, cosa si sarebbero potuti dire, e se dovessero per forza dirsi qualcosa.
Un cameriere si avvicinò per prendere le ordinazioni, che attesero in silenzio guardandosi intorno.
Il bar era piccolo; al bancone c'era una gran confusione di uomini e donne che chiedevano un caffè rendendo complesso anche il fare una semplice bevanda d'acqua e polvere, perché doveva essere: lungo, ristretto, al vetro, in tazza grande, macchiato freddo, macchiato caldo, corretto. Per non parlare delle brioches: vuota, alla crema, con confettura di frutti di bosco o d'albicocca, vegana, ai cereali, al pistacchio, alla nutella, al cioccolato bianco.
Il cameriere arrivò col tè al limone per Godfried e il cappuccino con latte freddo per Alex.
Entrambi aggiunsero una bustina di zucchero di canna, che girarono lentamente guardando il movimento della paletta come se si aspettassero di leggervi chissà quale pronostico.
L'aria si stava facendo pesante, non per il gran numero d'avventori ch'entravano e uscivano dalla porta scorrevole, non tutti lavati di fresco e profumati, né per i riscaldamenti mantenuti alla temperatura minima consentita dalle normative vigenti.
Alex cercò d'agganciare lo sguardo elusivo di Godfried.
Non lo conosceva e forse, se non ci fosse stata quella brutta occasione, non l'avrebbe conosciuto ancora per molto tempo. Dal poco che aveva sentito dire, doveva essere un gran rompino; non era contento che Walter si impegnasse con i Cipì e tanto meno che tornasse a suonare; nei loro confronti non si dimostrava molto affettuoso e nessuno era mai riuscito a farci un discorso che andasse oltre una superficiale chiacchierata del tipo:«Come va? Tutto ok? Hai visto ieri che shighera? Mi sa che stanotte nevica». Per Nicolas era: «Uno con la puzza sotto il naso».
Alex non era solito dar retta ai sentito dire, per questo mi è piaciuto da subito così tanto! Sgombrò la mente dai preconcetti e provò a stabilire una connessione.
L'ombreggiatura violacea sotto gli occhi di Godfried gli suggerì che aveva pianto o aveva trascorso la notte insonne o tutte le due cose insieme. Avvertì una certa assonanza di emozioni. Ripensò alle risposte che s'erano dati presentandosi e capì che si trovavano nella medesima palude del dubbio, in attesa d'essere tirati fuori, o di trovare l'ardire di uscirne da soli. Senza pensarci, allungò la mano destra verso la sinistra di Godfried poggiata sul tavolo e la strinse delicatamente.
Nel corpo di Godfried passò una scossa tale che cominciò a tremare e a singhiozzare.
Alex strinse più forte, cercando d'infondergli serenità, quella che dentro di sé non aveva.
Il cameriere si stava avvicinando per chiedere se avessero bisogno d'altro, ma tornò indietro facendo segno ai suoi colleghi di restare distanti. Non era insolito, tra quei tavoli, vedere le persone piangere.
«Non so più cosa sono, chi sono.»
«Capisco.»
«Sono distrutto.»
«Anche questo capisco, più di quanto tu possa immaginare.»
«Già. Anche tu non stai messo bene, mi sembra.»
Si raccontarono le loro storie, enfatizzando le stelle, senza tacere le stalle, usando tutt'i segni d'interpunzione, con scialo di puntini di sospensione e punti interrogativi, alla ricerca di risposte che non sapevano dare, respingendo punti finali che non erano disposti a inserire.
Finiti il tè e il cappuccino, un caffè amaro e un succo d'arancia rossa, un muffin e una ciambella, un altro muffin e un saccottino al cioccolato, un bicchiere d'acqua naturale e uno d'acqua gassata, tra loro s'era creato un laccio di fili sottili d'energia invisibile ma rinvigorente; partivano dall'uno all'altro incontrandosi a mezza via per formare un nodo chiamato a otto, non eccessivamente stretto, ma quasi impossibile da sciogliere.
Godfried si sentì talmente benvoluto da confidare ad Alex le sue aspirazioni, quelle che soltanto Rudolf conosceva e osteggiava.
Alex non distolse mai lo sguardo, indifferente alle notifiche sul cellulare e a quanti gli passavano accanto intruppandolo con la borsa o con un gomito.
«Abbiamo molto in comune, noi due», disse, «Non è un caso che ci siamo trovati proprio ora».
Gli spiegò cosa intendeva e a Godfried non dispiacque affatto.
«Aspettiamo che passi la burrasca; incrociamo le dita che torni presto bonaccia. Io e te ci prenderemo per il mignolino e non ci separeremo mai più. Non darmi del visionario, se non avessi creduto nei miei sogni, non sarei arrivato dove sono arrivato. Faremo cose grandi, insieme, vedrai, saremo grandi. Ti aiuterò a uscire dal bozzolo, a dispiegare le ali e a volare. E tu aiuterai me. Insieme voleremo più in alto dell'esosfera! Saremo una coppia fantastica!»
Godfried pianse e rise; Alex era smodatamente ottimista, e gli piaceva. Avrebbe superato pure questa buca e ci sarebbe stata tutta strada asfaltata, con qualche curva, magari, che quelle non mancano mai e rendono il circuito più inebriante; era pronto per uscire dal paddock.
In tre quarti d'ora s'erano arricchiti ognuno d'una persona che si preannunziava preminente in un futuro di suoni d'alta qualità che li avrebbe visti spesso alla stessa consolle.
Tornarono dagli altri con un sacchetto di muffin per tutti; li distribuirono e si misero in un angolo, presenze mute e pregnanti, con un nuovo ruolo: quello che s'erano scambievolmente assegnati.
*Noticine*
"Scighera": termine milanese per indicare nebbia densa e spessa (eventuali milanesi e non che vorranno correggere o aggiungere qualche dettaglio, saranno i benvenuti)
Nodo a otto: nodo d'arresto; non si stringe eccessivamente ed è difficile da sciogliere, per questo simboleggia l'amicizia vera e eterna.
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