3. La telefonata di Walter


La Fattoria era il suo porto sicuro, il luogo in cui poteva sempre tornare, anche senza avvertire, dove avrebbe trovato la sua camera così come l'aveva lasciata e il suo posto a tavola era e sarebbe stato il numero cinque.

Thomas non avrebbe potuto immaginare un luogo migliore per respirare aria pulita, "Odore di terra bagnata, pecore e maiali, profumo di fieno, aroma d'alloro" e permettere alla vista di spazieggiare, fino all'orizzonte, oltre cupi pensieri.

Il cibo aveva un sapore più intenso e il tempo seguiva i ritmi della natura; internet, radio, tv, libri, dischi, gadget del Milan, materiali scolastici consentivano di restare al passo con la modernità. Poi c'era il tesoro, nel Rifugio. Si trovava lì, seduto a terra a gambe incrociate sopra un tappeto persiano che aveva la sua età, quando ricevette, in anteprima, la telefonata di Walter; non sapeva perché non fosse in città, ma non se ne stupì.

«Sei nel garage? Ti ci chiudevi per ore prima dei compiti in classe, esamone in vista?»

«Già.»

La conversazione non durò più d'un minuto; quando si tratta di lavoro, Walter ha un innato dono della sintesi che Thomas apprezzò: lo dispensava da esclamazioni d'esultanza, o qualsiasi reazione s'aspettasse. Non capiva bene neanche lui cosa provasse veramente.

Dopo aver chiuso la comunicazione, restò in ascolto d'una risposta. Era di nuovo solo nel bosco, nessuno poteva aiutarlo. Doveva alzarsi e ritrovare la via del ritorno.

"Se ci sono riuscito quella volta, posso riuscirci ancora."

La bussola era dentro di lui, non l'aveva persa.

Aprì gli occhi e guardò gli strumenti musicali che avevano dato avvio alla sua avventura con i Cipì. Col gomito destro sopra il ginocchio corrispondente, e il palmo d'una mano sotto il mento, li chiamò per nome e riportò alla mente episodi dell'infanzia a cui erano associati; al centro di essi, Nicolas o William, o tutti e due: c'erano sempre stati e sempre ci sarebbero stati. Scansò quella sola eccezione; li aveva... non perdonati, perché nulla avevano da farsi perdonati, ma compresi.

Pianse. Come un bambino. Perché "Non sono un bambino, le emozioni non mi spaventano più".

«Sono contento», aveva risposto laconicamente a Walter.

Aveva ancora bisogno di tempo, e se lo sarebbe preso, ma intanto avrebbe bevuto tequila insieme ai suoi fratelli. Aveva un'ora per prepararsi, non solo esteriormente.

Entrando in casa, sperò di non incontrare nessuno, perché sentiva d'avere ancora gli occhi umidi.

«Stasera esco, ma poi torno a dormire qui», disse a sua madre dalle scale che portavano al piano delle camerette.

Anna, nel locale lavanderia, stava ripiegando tute da running; non fece in tempo a rispondere e, come quando era arrivato, non gli avrebbe fatto domande. Lei e Sergio avevano capito che qualcosa lo turbava; quell'uscita le sembrò un buon segno:

"Se ci fosse qualcosa di serio, Nicolas me lo direbbe".



Schizzi di schiuma e vapore, asciugamani ammucchiati nel bidet, impronte di scarpe non troppo pulite: Nicolas, con un asciugamano in vita e i capelli che grondavano, era appena uscito dalla doccia, quando il suo cellulare, sulla tastiera, nella sala relax, vibrò.

«È Walter.»

Aspettavano quella telefonata come una manna, ma nessuno avrebbe risposto senza il suo consenso, era la regola:«Viviamo insieme, ma con confini demarcati. Quello che è tuo è tuo, quello che è mio è mio. Se me lo chiedi te lo presto, ma devi chiederlo»; elementari norme di sopravvivenza che s'erano mostrate efficienti sin dall'infanzia, quando divideva le sue cose tra due case, ognuna man mano abitata da un numero crescente di fratelli più piccoli.

«Vai, Wil, rispondi e metti in vivavoce.»

Aprì la porta; Rossella fece capolino dalla camera di William.

«È fatta. La trattativa non è stata complessa. Qualche ritocchino, due cosette da mettere a punto e si parte! Portofino, Forte dei Marmi, Orbetello, Tarquinia, Sabaudia, Avellino, Spoleto, Rimini. Fatevi belli, fratellini porcellini, Ross, stasera vi porto a festeggiare! Thomas l'ho già avvertito.»

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