3. In vacanza da solo


Visto dal finestrino, il campeggio appariva semplice, raccolto, disabitato. Non c'erano tende né bungalow. Due file di roulottes prendevano il sole in uno spiazzo sterrato delimitato da piante di eucalipto. Una bassa costruzione in mattoni bianchi celava gli stretti spazi occupati dai bagni alla turca e gli ampi spazi riservati alle docce, gli stessi in cui Thomas avrebbe trascorso molto più tempo di quello necessario a lavarsi, imprimendo le narici di molecole volatili di sapone, sudore e sperma.

Scese dal pullman frastornato dal viaggio e accecato dal cielo limpido del sud. Da un edificio in mattoni rossi uscirono alcuni ragazzini preceduti da schiamazzi e risate. La prima voce che distinse fu quella di Filippo: 

«È arrivato il gruppo dei mocciosi».

Si voltò e perse ogni capacità d'intendere e di volere in due iridi blu che lo fissavano da una finestra a piano terra.

Trascinò i suoi piedi dietro a quelli dei suoi compagni, galvanizzati dalla scelta della roulotte, della branda, dell'armadietto. Si sistemò nell'ultimo posto rimasto libero e contò i minuti che mancavano all'ora di pranzo; per la prima volta da quando gli era stata prospettata quella vacanza da solo, il suo volto si aprì in un accenno di sorriso.

Thomas si mise in mostra in alcune delle attività proposte, con la testa tra terra e cielo e lo sguardo a radarizzare tra l'autonominato gruppo dei grandi.

Filippo, che pure lo scrutava di nascosto, non tardò ad accorgersi dei suoi sguardi di sottecchi, dei suoi tentativi d'avvicinamento, del suo restare sotto la doccia più del dovuto. Smaliziato e un tantinello meno inesperto, studiò il modo per mettere le mani attorno a quel bocconcino che Thomas nascondeva nel costume e, senza troppo pensarci su, lo mise in atto.

Siete mai stati in un campo scout, in una colonia, o in un campo scuola? In uno di quei contesti, per intenderci, in cui si vive in gruppo, condividendo zone comuni diurne e notturne, pasti, pulizie, giochi e meditazione. Il tempo sembra dilatarsi, la conoscenza si approfondisce nelle attività di routine e nello svago: si impara a riconoscere i piccoli atteggiamenti, il tono della voce, l'espressione del volto; pochi giorni, e si ha l'impressione di conoscersi da sempre. D'altro canto, il tempo è tiranno, passa e va, e allora si saltano le tappe, si accelera, che un giorno trascorso è un giorno in meno per chi vuole ottenere qualcosa, e non si può aspettare.

Il primo pomeriggio fu utile ad accorgersi l'uno dell'altro. Il giorno dopo si consolidò la certezza nel vicendevole interesse. Quello a seguire servì a curare i dettagli. Alla terza doccia, non a caso, nello steso turno, anche Filippo fece in modo d'attardarsi e restare, dopo una giornata rovente di sabbia, sale e desiderio, sotto l'acqua scrosciante, di fronte a Thomas, sotto l'acqua scrosciante pure lui.

Le docce erano sedici, divise in due file, separate dall'aria e dal vapore dell'acqua calda. Si svuotarono tutte, restando asciutte e silenziose ad amplificare il suono delle gocce che cadevano attorno ai loro corpi.

Thomas fu pervaso da un misto di curiosità e apprensione che, insieme all'acqua che scorreva sul viso, gli toglieva il respiro. Un'emozione sconosciuta gli si andava addensando sotto la pelle, scivolando dal petto, all'addome, fra le gambe.

Filippo, ch'era forse un po' più grande e di certo più sicuro di sé, lo fissò con aria di sfida e con una mano cominciò a strofinarsi ritmicamente, avanti e indietro, lì dove gli occhi di Thomas indugiavano spesso e non senza insistenza, poi di colpo si fermò e corse in bagno; Thomas riprese a respirare.

La loro storia iniziò così. Senza parole. Concentrata in quei pochi minuti in cui restavano soli a fare quello che facevano, tutti e due, ognuno per conto suo, con gli occhi puntati negli occhi.

Durante la giornata si scambiavano pochi sguardi e qualche bigliettino. Frasi innocenti:

"Mi piace come suoni la chitarra".

"Sei bravo a giocare a pallone".

"Più tardi, mi suoni una serenata?"

Cosa gli stesse chiedendo, Thomas lo capì solo la sera, la settima di dieci. Era ancora insaponato, quando Filippo, mentre faceva quello ch'era solito fare quando restava solo con lui, gli si avvicinò e, sotto il getto d'acqua ormai tiepida, gli sussurrò a un orecchio: "Fallo tu, poi io lo faccio a te".

Da quel momento, Filippo si mostrò più interessato.

Tra loro non c'erano baci o carezze, ma nuotavano spesso insieme per poi prendere il sole vicini; Filippo si aprì a poche frasi icastiche e la sera, sotto l'acqua e anche quando l'acqua non scendeva già più, i loro corpi, pur restando in piedi, si avviticchiavano muovendo freneticamente le mani all'esplorazione l'uno dell'altro.

Nessuno disturbava o chiamava o cercava. I mocciosi non si preoccupavano di Thomas, che poco aveva legato con i suoi compagni di viaggio, i grandi... Beh loro erano dietro l'angolo, messi a guardia da Filippo, a badare bene che nessuno li scoprisse, pronti a cogliere l'attimo per fargli uno scherzetto.

Per Thomas non era il primo amore; s'era invaghito tante volte, da quel giorno di settembre in cui aveva iniziato la scuola media e nel cortile antistante l'edificio aveva perso la testa per un amico di Nicolas ancora in terza perché ripetente; l'anno dopo era passato al Professionale e Thomas l'aveva sostituito con un cugino di William che viveva in Sardegna e aveva visto solo in foto, a sua volta rimpiazzato col figlio del fruttivendolo, e così via; ma tutto era rimasto in un suo mondo immaginario. Con Filippo era tutt'altra cosa; quello che provava, qualsiasi ne fosse il nome, usciva fuori e arrivava dove desiderava che arrivasse. Fu così che si lasciò intortare dalle sue parole, credé alle sue promesse, cedette alle sue richieste, si fece convincere a seguirlo davanti al basso cancello di legno e a scavalcarlo, per ritrovarsi fuori, dove non v'era controllo - né protezione -, in piena notte, mentre tutte le luci delle roulottes erano spente e il silenzio era rotto solo dal canto delle cicale.

Filippo lo prese per mano e lo condusse nella pineta che separava l'area del campeggio dalla spiaggia. Sotto il primo quarto di luna, le ombre dei pini e delle querce sarebbero potute essere inquietanti, ma con Filippo, Thomas si sentiva al sicuro. Si fidava, e lo seguiva senza porre domande.

"L'idea di questa vacanza senza William e Nicolas non è tanto male", ricorda che pensò. Se ci fossero stati loro, non avrebbe avuto l'impudenza d'attardarsi sotto la doccia o di trasgredire alle regole, trovandosi lì, col ragazzo che gli aveva rubato il senno, quando sarebbe dovuto essere sulla sua branda a dormire.

Gli sembrava tutto così irreale, e allo stesso tempo si sentiva vivo, al centro d'un tempio magico, quando Filippo si fermò per appoggiarsi a un tronco alto e robusto, lo catturò con lo sguardo e con le mani l'attirò a sé. I suoi movimenti erano lenti, mentre gli toglieva la t-shirt e gli accarezzava la schiena, chiedendogli di fare altrettanto. Voltato verso di lui, assorbito dai lineamenti del suo viso, dal profumo della sua pelle, Thomas non si accorse delle lucine che si muovevano alle sue spalle; non erano lucciole. Né dello scricchiolio d'aghi e spine; non erano i passi d'animali notturni. Perso nel suo idillio, in cui era sempre Filippo a condurre il gioco, prese l'iniziativa e lo baciò. Sfiorando le labbra con le labbra e il naso col naso: il segnale per far scattare la trappola.

«Che schifo!» gridò Filippo, spingendolo via.

Attorno fu una deflagrazione.

«Ah, ah, ah!»

«Ih, ih, ih.»

«Anvedi!»

«Oh ooooh oh!»

«E bravo il moccioso!»

«Ih, ih, ih.»

«Intrepido!»

«Sembra tanto ingenuo, e invece...»

«Ah, ah, ah!»

Thomas fu accerchiato da cinque tra i più scalmanati degli amici di Filippo. Avevano programmato tutto. Mossi dalla voglia di divertirsi, avevano deciso che quel ragazzino un po' saccente, che suonava la chitarra come nessuno di loro sapeva fare e nuotava come un delfino, ma era una schiappa a qualsiasi gioco che richiedesse l'uso d'un pallone, e faceva gli occhi dolci a uno di loro, sarebbe stato il giocattolo perfetto. Lo spintonarono, gli sputarono addosso.

«Ora fai a noi quello che fai a Filippo sotto la doccia.»

Ad ogni tentativo di difesa, era uno schiaffo o un calcio o una spinta. Thomas cadeva e si rialzava, perché gli davano il tempo di farlo, per poi ributtarlo giù, senza imprimere troppa forza: quel tanto che gli faceva perdere l'equilibrio.

S'infervoravano, saltavano, sbraitavano, sbavavano; gli tiravano i capelli per farlo inginocchiare

«Forse ti piace di più prenderlo in bocca?»

Lui non abbassò mai lo sguardo, cercò di respingere ogni attacco; si tirava su, ritto, pronto a incassare un nuovo colpo, che non tardava ad arrivare.

«Un applauso al nuovo Ettore!»

Il più massiccio dei grandi si fermò, e gli altri con lui.

«Al suo eroismo!»

«O al suo erotismo!»

«Ah, ah, ah!»

«Andiamo a fare il bagno!»

«Sì!»

Lasciarono Thomas a terra, a interrogare Filippo con occhiate mute, mentre questi gli voltava le spalle e, avviandosi verso la spiaggia, chiedeva a uno dei suoi amici di passargli una sigaretta.

Nessuno di loro aveva slacciato i pantaloni, ma nell'anima di Thomas fu come se l'avessero fatto.

Vomitò. Restò a terra qualche minuto; stava male, non avrebbe saputo dire, non lo sa ancora, se fu più per il dolore fisico, la vergogna o la delusione.

S'era fidato. Conosceva solo i suoi fratelli e qualche amico di scuola: credeva che tutti fossero buoni come loro, nessuno gli aveva detto che non sempre è così.

"Nicolas e William: possibile che non lo sapessero? Perché non m'hanno avvertito? Perché m'hanno lasciato da solo?"

Si sentiva sudicio, con il fango in faccia, sui pantaloncini, tra le dita di mani e di piedi. Non raccattò la maglietta. Afferrò un ramo secco. Barcollando, si mosse verso il campeggio. Se qualcuno l'avesse visto, avrebbe detto d'essere caduto mentre andava in bagno. Se gli avessero chiesto perché era stato nella pineta, avrebbe finto di essere un sonnambulo.

In giro non c'era nessuno. Entrò nella roulotte cercando di non fare rumore e si sdraiò in posizione fetale, strizzando gli occhi per non far scendere le lacrime.

La mattina dopo, restò a letto fino alle 10:00. Continuava a domandarsi come si sarebbe dovuto comportare con Filippo, se dirgli qualcosa o fare finta di niente.

Quando si decise ad alzarsi e uscire dalla roulotte, il gruppo dei grandi era partito da un paio d'ore. Thomas non ne conosceva neanche la città di provenienza. Avrebbe potuto chiedere in Direzione, farsi dare il cognome di Filippo e dei suoi amici, e denunciarli. Non lo fece, per dimenticare.

Chiamatela vigliaccheria; Thomas, crescendo, ha capito che avrebbe dovuto mettere quei ragazzini di fronte alle loro responsabilità, far sì che fossero rieducati e non ripetessero con altri quanto avevano fatto a lui.

Riuscì a pensare solo alle sue ferite e a come curarle, in fretta. Non sapeva che con la fretta non si cura un bel niente e che lo sguardo di Filippo gli sarebbe rimasto dentro.

Tornò a casa che non era più lo stesso di quando era partito. Saltava a ogni minimo rumore; dov'era lui, la luce doveva rimanere accesa; non mangiava, e se mangiava vomitava; non dormiva, e se dormiva, i suoi sogni erano cagnetti sbranati da sciacalli. A scuola era il primo della classe, perché studiare l'aiutava a non pensare. Per tutto l'anno scolastico non volle entrare nel Rifugio, né suonare la chitarra o qualsiasi altro strumento. E non voleva essere toccato. Soltanto a Nicolas e William raccontò cosa era accaduto; lo fece in un momento di rabbia, perché Nicolas si sentisse in colpa; quando se ne pentì, era troppo tardi.

A me lo disse quando ormai non potevo più riferirlo a nessuno, per capire se sarebbe riuscito a raccontarlo ad Alex senza piangere. Non, non gli fu possibile. E fu una liberazione. Perché era ormai certo: di Alex voleva, a tutt'i costi, fidarsi. 


«Io ho cominciato. Ora continua tu.»

Senza attendere la reazione di Alex, Thomas sgattaiolò fuori dalle sue braccia e si recò in bagno.

«Ho bisogno d'una doccia.»

Alex s'accorse che aveva lasciato la porta aperta. Entrò nel box dietro di lui e fece l'unica cosa che gli parve naturale fare: l'abbracciò.


Albeggiava. Le porte del tram si aprirono e chiusero. La periferia si stava risvegliando. Era mercoledì: in via Giovanni da Cermenate ci sarebbe stato il mercato.

Tra lenzuola 100% raso di cotone grigio e nero, Thomas acconsentì ad andare fino in fondo, permettendo ad Alex di mostrargli quanto aveva imparato a proprie spese:

"L'amore, quando è autentico, ti entra dentro e non può darti null'altro che bene".

Per certe ferite, non esiste cicatrizzante migliore.




* Nota importante*

In questo capitolo, le età di Thomas e Filippo, seppure non specificate, sono da intendersi nel rispetto delle leggi vigenti in Italia e in Canada riguardo all'età del consenso.


*Noticina*

Ettore: colui che resiste (dal web)


* A proposito di questo capitolo*

Ho scritto gran parte di questo capitolo più di un anno fa; ho fatto fatica a riprenderlo e a pubblicarlo. Quella che volevo descrivere è una violenza non tanto fisica, quanto psicologica. Quei ragazzini non volevano davvero fare del male a Thomas, ma solo divertirsi un po'; una ragazzata, insomma, un gioco. 

La mia idea era mostrare come uno scherzo possa essere dannoso per chi lo subisce e che, anche se le intenzioni non sono cattive a livello cosciente, non per questo deve esserne ridimensionata la gravità. 

Mi piacerebbe sapere da voi se sono riuscita a raggiungere l'obiettivo o, eventualmente, come potrei far arrivare il mio messaggio in modo più efficace. 

Un appunto: Thomas non denuncia, come credo che purtroppo capiti in tanti casi di bullismo; non sono d'accordo, ma non mi interessava complicare la storia con vicende legali. 


*Domandina dell'ultimo minuto*

Secondo voi, Filippo era d'accordo con i suoi amici, o, preso alla sprovvista, ha reagito... come ha reagito?


Grazie ancora per essere qui; presto sveleremo l'identità del fan misterioso...


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