3. Chi è l'assassino?
«Forse la smetteranno mia madre, mio padre e compagnia bella di dire che sono un catorcio perché, dopo un giorno di lavoro, faccende e uscite con Sally, crollo già alle otto di sera!»
Myriam m'aveva comunicato che gli esami clinici erano nella norma e che aveva una novità.
«Una diagnosi e, no, una terapia no, che non ce n'è, ma delle goccine che la notte mi rilassano i muscoli per farli riposare - ho persino ripreso a sognare! - e alcune pilloline per sfiammare, tenere sotto controllo i dolori e darmi un po' di sprint.»
Che fosse un effetto reale o un placebo, quel mix di farmaci, che non fu certo miracoloso, le aveva acceso un colorito nuovo sulle guance e un nuovo vigore nella voce. Oppure, stava a un palmo da terra perché aveva trovato l'amore? Io dico: tutt'e due le cose, che un aiutino chimico male non fa, e mi riferisco all'uno e all'altro caso.
Myriam stava seduta sulla sedia bianca posta accanto al mio letto. Sistemò la lunga gonna blu e allungò le gambe.
«Ma non è per questo che sono qui.»
La sua intenzione era terminare la lettura del libro iniziato tanto tempo prima. Ricordate? Lo strampalato senso di stima e lealtà che legò il giovine Remigio all'insignificante amico Giacomo.
Non l'aveva più aperto dopo l'incidente dei gemelli: coincidenza? Non so. Poche pagine ancora, poi saremmo potute passare al prossimo, che Nicolas m'aveva portato da Ginevra.
Prima fece un piccolo riassunto:
«Il protagonista è un bambino di nome Remigio. In estate, lui, i suoi genitori e sua sorella hanno alloggiato per alcune settimane in un albergo di Milano. Ha conosciuto Giacomo, che è diventato suo grande amico, ed era libero di entrare e uscire dalla loro camera quando voleva. Un giorno, origliando due domestiche, apprende che il corpo esanime di Giacomo è stato trovato sulle scale di quello stesso albergo. Il piccolo chiama il medico di famiglia per chiedere un'indagine, per trovare l'assassino. Nessuno presta attenzione alla sua sete di giustizia».
Myriam bevve un sorso d'acqua e riprese a leggere dalla pagina in cui aveva lasciato un segnalibro: una piccola treccia di fili colorati uniti da una perlina rossa e un nodo, nella parte alta, da una perlina verde e un nodo, nella parte bassa.
L'ultimo capitolo si dilungava in una noiosa dissertazione sugli amici immaginari, prima di giungere alla conclusione.
«Il piccolo Remigio fu trascinato per il colletto inamidato della camicia, candida come la neve, presso fior fiori di signor medici con le targhe d'oro sulle porte e le parcelle onerose. Non rilevarono alcunché d'anomalo, se non una fervida fantasia, da tenere a freno con le briglie d'un meticoloso studio di materie scientifiche. Non v'era prova che Giacomo fosse stato visto, da vivo o da morto. Gli anziani genitori decisero di lasciarlo nella sua ingenua illusione, raccomandandosi, altresì, che non ne facesse parola alcuna, convincendolo d'esser raggirato da mentecatti e che solo loro lo potevano comprendere. L'estate arrivò nuovamente, col silenzio del maturare delle spighe nei campi e le grida dei bambini festanti nell'uscire da quell'edificio scolastico a tre piani di cui, per qualche mese, non avrebbero solcatola soglia. Quandunque gli affari chiamano, agli affari si risponde. Senza nemmeno pensarci su, né crucciarsi delle reazioni di quel figliolo balzano, la famiglia al completo prese alloggio nella camera 107 di quel medesimo albergo di Milano in cui l'amicizia tra Remigio e Giacomo ebbe a fiorire.»
"Bene", pensai, "Sta per essere svelata l'identità del malfattore!"
Eravamo sole; Norina aveva ricevuto la sua visita del martedì ed era in giardino a fare una passeggiata con "L'amore del mio cuore". Il suo profumo nuovo mi faceva rimpiangere il mio giardino. Mi sarebbe piaciuto poter tenere sul comodino un vaso, magari una pianta succulenta, che non perde le foglie e fa i fiori a stella; già è tanto che possa tenere le mie due fotografie.
Mi sentivo sempre più schiava, tra queste quattro mura e in questo corpo. Era con un certo senso di liberazione che speravo giungesse presto la risposta alla domanda che mi ponevo a mitragliatrice, per non perdermi in ben altri, reali, concreti, quesiti. Solo, mi soffermai brevemente sul nome del bambino, che ricordavo fosse Luigi.
La memoria spesso m'imbroglia e non saprei dirvi se lo fece quel giorno, oppure ora. Non sono più sicura né dell'uno né dell'altro nome. Il primo, potrei averlo in mente perché il migliore amico di Walter m'è nel cuore, e mi manda spesso i saluti. Remigio era il nome del mio nonno paterno; un paio di notti fa m'è apparso in sogno; non m'ha dato i numeri; m'ha detto: «Ti aspetto».
Poco importa, ché un nome vale l'altro. Dal mio letto, sotto al lenzuolo bianco fresco di bucato e la coperta di lanetta marrone, pendevo dalle labbra di Myriam, e credo potrete comprendere il mio sconcerto, perché sarà anche il vostro, quando avrete ascoltato le prossime frasi:
«Remigio finse dedizione per la pulizia. Osservò e disinfettò minuziosamente ogni mensola, ogni anta, ogni angolo degli armadi, le finestre e il pavimento, prima di permettere ai suo famigliari di fare il loro ingresso nella camera. Non compresero nell'immediato, ma lo lasciarono fare. Poi arrivò l'urlo raccapricciante che fece loro gelare il sangue nelle vene. Si guardarono pietrificati, le gambe ancorate a terra dalla zavorra dell'orrore, che non sapevano cos'altro aspettarsi da quel frappé di stoltezza, smunto e con gli occhi incavati nelle orbite, che non riconoscevano più come il loro tenero, vivace, e dolce anatroccolo. Pigolava ancora, a sproposito, e non li inteneriva più. Il padre mosse un piede e un braccio, pronto a far partire quello sganassone tanto disprezzato dagli esperti in fanciullesche sensibilità, che avrebbe ristabilito gerarchie e consoni comportamenti; il quale restò a mezz'aria. Il sangue d'ognuno riprese a scorrere fluido, quando ravvisarono che le grida eran di gioia. Il sollievo ebbe breve durata. Nonostante la calura proveniente dall'esterno, madre, padre e figlia rabbrividirono all'udire codeste esclamazioni: "Giacomo! Amico mio! Non sei morto!" La sorella rivoltò gli occhi per l'insù, e stava per proferir parole inopportune, ma fu fermata: dopo mesi di demenza, Remigio, scoppiettante, saltava come popcorn sul balcone. "Ma che bella sorpresa!" intervenne con voce altisonante il capofamiglia, nascondendo il senso di ribrezzo nel veder fermo, sul muro esterno, un piccolo, corto e pasciuto sauro della famiglia dei Fillodattilidi', comunemente chiamato "geco".
La bocca di Myriam restò aperta, e lo sarebbe stata anche la mia.
Giacomo.
Un geco.
Talmente presa a chiedermi chi fosse l'assassino, non mi ero mai preoccupata di chi fosse la vittima.
* Spero mi vogliate ancora bene!*
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