2. Semi, gemme, germogli
«Come sei sexy, amore, con quel grembiulino azzurro e le mani in pasta! Fammi un sorriso che ti scatto una foto per la nonna.»
Godfried aveva le maniche della camicia kaki arrotolate sotto al gomito e le dita sporche d'impasto. Walter poteva vederlo a metà busto dietro al tavolo, illuminato dalla luce calda della lampada a sospensione. Sopra i pensili, le teiere s'ergevano a difesa del nuovo focolare, senza un filo di polvere. Sulla base di marmo, una copia del mio quaderno, che segreto non era più, stava aperta alla lettera T.
Come Tozzetti, una vera poesia per il palato.
Quelli viterbesi, da non confondere con i Cantucci toscani.
Ma fatti "a modo mio", senza strutto né latte.
Con le nocchie dei Monti Cimini; le ordini da Linda e in due giorni te le portano su.
Godfried le aveva sgusciate, tostate, fatte a pezzettini e versate in una terrina in cui aveva mescolato uova sbattute con zucchero, burro fuso, lievito e marsala. Aveva aggiunto la farina, poi, utilizzando la mia spianatoia, aveva amalgamato il tutto con tanto olio di gomito per ottenere un composto morbido, che non gli restasse appiccicato ai polpastrelli. Dopo averlo manipolato per bene, lo stava dividendo in filoncini appiattiti, lunghi come il suo braccio, larghi e spessi come il suo pollice, per sistemarli nella teglia già unta e infarinata. Una volta cotti, li avrebbe tagliati in tanti biscotti da cuocere ancora un po', per farli indorare e bruscare.
In un tegame aveva preparato spicchi di patate con rosmarino da mettere, subito dopo, nel forno già caldo.
Guardò l'obiettivo. «Tutto tranquillo, di là?»
«Sì, dormono come due angioletti. Finisco qui, poi ti aiuto a riordinare.»
Walter tornò sul divano del salotto, vicino alla culla ch'era stata di suo padre poi sua, era passata a Nicolas, William e Lucilla fino ad arrivare a Yuri ed era tornata a lui. Col tablet sulle ginocchia, inviò auguri di Buone Feste e prese accordi per il concerto di Capodanno a cui lui e gli altri avrebbero partecipato.
La casa era silenziosa. I maccheroni con le noci erano in frigo. Il salone delle feste era stato addobbato e dalla nostra Madre Quercia pendevano grosse palle dorate. Maria Dolores s'era assicurata che tutto fosse pronto per il pranzo di Natale. Verso sera s'era messa in ghingheri ed era uscita con Edoardo, per andare al cinema, poi a mangiare qualcosa e «Forse non torno a dormire»; Walter si chiese quanto avrebbero atteso, ancora, prima di ufficializzare la loro relazione.
Dalla cucina arrivava profumo di liquore dolce.
Come il tepore che l'avvoltolava.
Come l'amore che gli scaldava il cuore, accanto ai due cuccioli che pisolavano sotto lo stesso plaid.
Come la serenità del cielo adornato di stelle, che poteva osservare dalla finestra, in lontananza, sopra i campi coltivati.
Come le labbra del suo uomo, le sue mani, la sua pelle, e... Il suo sapore.
Un dardo di fuoco fece lo slalom tra i suoi pensieri e la voglia accantonata, tra pappe e pannolini, il trasloco, il lavoro, il gruppo, notti in bianco e sonno arretrato, uscì dall'angolo in cui l'aveva relegata e bussò contro la cerniera dei jeans.
Sospirò. «Ci provo.»
Dalle dita il messaggio passò alla tastiera del tablet:
"Siamo soli".
Non sentì il trallallero del cellulare di Godfried, perché aveva abbassato la suoneria.
Vide le spunte grigie, poi blu. Non ottenne risposta. Ci rimase male, ma se ne fece una ragione:"Sarà stanco".
Rassegnato, si alzò per andare ad aiutarlo. Se lo trovò davanti, che lo guardava con aria da furbetto.
«Allora possiamo pulire più tardi.»
«Sono già pronti, i biscotti?»
«Sì.»
Godfried prese Walter per il colletto della camicia a scacchi bianchi e neri.
Walter gli mordicchiò le labbra.
«Hai messo le patate in forno?»
«Sì.»
«Quanto tempo abbiamo?»
«Tutto quello che vuoi: non è acceso.»
Godfried si lasciò spingere nella camera accanto; sul letto c'erano ancora le lenzuola con gli orsetti.
«Però facciamo piano, se no si svegliano e addio!»
Le patate furono cotte molto tardi, dopo le poppate dei bimbi, i cambi di pannolini, il riordino della cucina. Walter fece il tutto intonando una ninna nanna dopo l'altra, nella speranza di mettere i piccoli a letto presto, mangiare un boccone in santa pace, e magari farci riscappare un secondo round con Godfried, che dall'indomani parenti e affini, amici, annessi e connessi, avrebbero invaso ogni angolo d'ogni stanza fino a dopo Capodanno.
Detto fatto: s'erano goduti il Weekend alle Terme, ch'era stato un po' come una breve seconda Luna di Miele; avevano venduto il loro appartamento e messo a posto alcune questioni economiche con Mattia e gli altri suoi eredi; s'erano trasferiti nella mia bella, grande casa, ed erano partiti per il viaggio, quello vero.
Con le occhiaie che arrivavano alle ginocchia, guardavano alla strada che avevano percorso e a quanta ancora ce n'era davanti, e si prendevano per mano, felici, d'essere giunti fin lì, che non era stato per niente facile.
Quando ancora non andavo a scuola, credevo che i bambini li portasse la cicogna; ma non mi riferisco all'uccello con le lunghe zampe rosse e il becco appuntito che si può riconoscere dal piumaggio quasi tutto bianco e le penne nere sulle ali. Nossignori! La cicogna, per me, era un aereo. Dalla finestrella della cucina potevo vedere una spianata, con una grande croce sul davanti, che s'illuminava al calar dell'oscurità: ero convinta che fosse una pista d'atterraggio.
Non avevo tutt'i torti. I figli possono arrivare in tanti modi, e la mia famiglia n'è un esempio.
Christian e Jonathan sono due doni meravigliosi scesi giù dal cielo; sono arrivati a Milano Malpensa la mattina del 21 settembre 2019 e hanno scombussolato il tran tran che i loro papà erano riusciti a ristabilire con tanta fatica.
Sono i due asterischi che Walter e Godfried hanno sempre desiderato raggiungere e s'erano promessi di farlo insieme; quando li guardano, i loro occhi brillano ancora come la prima volta che ne hanno parlato.
Walter si sente persino ringiovanito e pensa a quanto è stato Tonno a rischiare di mandare tutto a puttane per la paura di non essere in grado. Dove non arrivano lui e Godfried, sa d'avere la sua variegata famiglia, a dare sostegno e consigli, e la supertata Maria Dolores; è stata ben lieta di tornare in possesso della sua vecchia stanza e di dare una mano, e anche due, e li comanda a bacchetta: «Ci penso io a metterli in riga, bimbi e papà!»
Accanto a lei, sempre più spesso, appare Edoardo, il nostro giardiniere tutto fare, anche quando non ha niente da fare; Walter avrebbe voluto proporgli di trasferirsi da loro, per farlo sentire più a suo agio, ma Godfried lo ha fermato:«Aspettiamo che sia Maria Dolores a chiederlo, quando saranno pronti».
Periodicamente, la casa viene aperta per i laboratori di Godfried e Nicolas, quando i gruppi sono troppo numerosi per essere accolti nel garage, a La Fattoria: hanno seguito alcuni corsi per la conduzione di gruppi con metodologie attive e da alcuni mesi propongono esperienze residenziali; sono tantissimi i giovani desiderosi di conoscere meglio se stessi e di mettersi in gioco in giochi di Comunicazione e Dinamiche Interpersonali attraverso il disegno, la scrittura, la musica, l'improvvisazione teatrale.
Tra i due cognati c'è un feeling inimmaginabile fino a pochi anni fa. Sopratutto ora che hanno qualcosa in più in comune e Nicolas confida dubbi, gioie e perplessità più a Godfried che al fratello. Walter li osserva parlottare e non può ch'esserne felice, per l'uno e per l'altro.
Nicolas allungò il braccio verso il letto ch'era stato aggiunto al suo; lo trovò vuoto, come tutte le mattine. Sbadigliando, si stiracchiò; sarebbe rimasto volentieri al calduccio sotto le coperte, ma le cose da fare erano tante.
Una bella doccia e una riassettata alla stanza; colazione con caffè e miglio soffiato, per mantenersi leggero, dato che avrebbe mangiato da mezzogiorno a mezzanotte; l'accordatura degli strumenti da caricare sul furgone: non aveva alcuna voglia di fare tutto di fretta.
Voleva godersi le ultime scaglie di placida giovinezza, prima che la vita prendesse la rincorsa e lo catapultasse in tutto e per tutto nell'età adulta e anche più in là.
«Un attimo e hai già i primi capelli bianchi», gli aveva detto Sergio qualche sera prima, mentre filosofeggiavano su quanto cambiano le cose quando si diventa padre.
Dalla camera accanto, arrivarono note d'un genere musicale che aveva imparato a conoscere.
"Bisogna stare al passo con i tempi, accostarsi agli adolescenti e ai loro gusti, per comprenderli."
Aprì la finestra e respirò l'aria fresca e pulita della campagna nelle prime ore dopo l'alba.
"Partiamo dallo Zecchino D'oro, una nota per volta."
Nicolas, il mio lupo solitario! Che fuggiva per trovare se stesso e poi ritornava nel branco. S'è liberato, almeno in parte, dei sensi di colpa nei confronti di Thomas; è più aperto, meno suscettibile; corre ancora nei campi, dà lezioni di pianoforte, scrive canzoni, suona, si ama e ama. Ha ridotto le partenze in treno; quando prenota, lo fa per due.
Lei si chiama Marta. Si sono conosciuti sul Frecciarossa Milano-Parigi e presto viaggeranno in tre: Samuele dovrebbe nascere tra poche settimane. Stanno già preparando la cameretta, nella villetta bianca, appena ristrutturata; la divideranno con William, Rossella e la piccola Rosa, che sboccerà nei primi di maggio.
Al momento vivono a La Fattoria, dove Anna non sta più nella pelle, all'idea di diventare anche lei nonna come Linda e Deborah.
«Le mie tre nonne», le chiama Mattia, ora.
L'Oink Oink del cellulare riscosse Nicolas dalle sue elucubrazioni. Il tempo di guardare il dispositivo, e già n'era arrivato un altro, poi un altro e un altro ancora. Aprì la chat di gruppo Noi, che includeva fratelli e fratelli dei fratelli con relativi congiunti, madri e padri.
Lesse i messaggi e sorrise.
Stava iniziando il balletto del "Chi passa a prendere chi".
Anche questo fa parte della tradizione.
Che ogni anno cambiano i posti a tavola.
E anche nelle macchine.
A portare me, ci pensò Mattia; venne a prendermi ch'era da poco passato mezzogiorno.
«Ho fatto tardi perché non sapevo che vino scegliere. Il padre di Claudio è un intenditore e non vorrei fare brutta figura», si giustificò, anche se io non ero in ansia come capitava ad altri ospiti di questo Albergo: ero sicura che sarebbe arrivato.
Mi fece fare un'entrata trionfale, mentre gli altri, quasi tutti, erano già seduti ai loro posti; mi sistemò a capotavola, in posizione privilegiata per vederli bene.
E come mi sono deliziata a guardarli!
Uno a uno, grandi e piccini, soffermandomi su quest'ultimi.
Sarà Yuri, dei più piccoli, a essere il più grande. Cammina spedito e, a modo suo, è un gran ciarliero; deve aver preso dalla nonna paterna. Gli piace sgambettare, incuriosito, intorno ai cuginetti: «Non parlano? Non camminano?» In compenso fanno dei bei sorrisoni.
Me li sono mangiati e bevuti con gli occhi, come fosse il mio ultimo pasto.
Nuovi germogli, per il mio grande albero! Portati, come tutti gli altri, dal vento fresco dell'amore; già spuntati o ancora al caldo, sono il mio futuro.
Continuerò a esserci, grazie a loro; nel colore d'occhi e capelli, in un modo di dire o di fare; nelle filastrocche o in fotografie scolorite tra le pagine d'un vecchio album.
Nuovi semi, nuovi fiori; e nuova linfa anche per i rami un po' meno verdi, come Thomas, il più fragile, ch'è sempre più forte; o come quelli che sorreggono Myriam, la mia meteorite, che ora sanno e comprendono, non compatiscono, ma neanche sbuffano più.
Fui sommersa di baci e d'abbracci e auguri di «Altri cento pranzi come questo», neanche fossi eterna.
"Ma sì", pensai, "che lo credano pure! Non si muore mai davvero, quando s'è tanto amati! Però, bando alle ciance: quand'è che si comincia a mangiare?"
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