2. Myriam. Non è una metafora


«"Giacomo non s'è ammazzato, è stato ucciso!" si spolmonava orripilato il settenne Luigi, al telefono col dottor Germano. Nello studiolo stipato di mobili antichi e vecchie scartoffie, le tende di velluto verde tiglio erano un ingombrante sipario, tirato a destra e a sinistra per lasciar irrompere la soperchiante luce mattutina d'un afoso dì d'agosto iniziato affatto bene. Lo scoop era sopravenuto per negligenza: sotto cuffie bianche e immacolati grembiali in fiandra di cotone, le 'oche' starnazzavano garrule e giulive in netto contrasto con la tragicità di quanto andavano ad affermare, incuranti che orecchie giovini e attente stessero origliando. Le poco accorte domestiche se n'erano pentite al primo, straziante, acuto grido di disappunto. Giacomo era morto, dunque. L'avevano rinvenuto gli inservienti sulle scale del primo piano d'un Albergo a cinque stelle, nei pressi di via Monte Napoleone, a Milano. Tre giorni dopo Luigi perdurava nell'esigere che s'approfondisse la vicenda, acciocché il reo fosse stanato e punito e non potesse più arrecar nocumento alcuno. "Giacomo era mio amico, non cagionava uggia a chicchessia; non meritava d'aver codesta fine. Il suo corpo ammaccato è stato traslato in quattro e quattr'otto. La camera 107, in cui siamo stati allocati io, mio padre, mia madre, mia sorella per ben tre settimane, e che Giacomo spartiva con noi, è stata rassettata e venduta di nuovo. Nessuno s'è brigato d'indagare. A nessuno interessa sapere. A me sì! Io. Esigo sapere! Chi. Lo. Ha.Ucciso?"» 



Seduta accanto a me in salotto, Myriam stava leggendo il primo capitolo d'un racconto scovato da Nicolas in un polveroso bugigattolo in una delle sue gite solitarie: Lo strampalato senso di stima e lealtà che legò il giovine Luigi all'insignificante amico Giacomo.

Leggeva spesso per me: libri, riviste, quotidiani. Anche la giornata con Sally era stata una sua trovata: «Ti farà bene all'umore, alla pressione, alla respirazione, al sistema immunitario».

Mi faceva bene al cuore; così come vedere lei: una donna di quarant'anni sicura di sé, almeno in apparenza.

Non molto alta, formosa senza essere sovrappeso, indossa spesso corte o lunghe gonne larghe con top, maglie o golfini, d'un unico colore: acciaio, di Persia, di Prussia, Dodger, marino, medio, notte, polvere, purché sia blu.

Sulla chiara pelle del viso passa una pennellata di cipria, sulle labbra del gloss rosso corallo, sulle palpebre ombretto celeste, a valorizzare piccoli occhi neri, e sulle ciglia quello che io chiamo estratto di catrame. I lisci capelli scuri le arrivano a metà del collo e li tiene su con frontini ricoperti di stoffa. Non indossa gioielli.



Quando l'ho conosciuta, era una ragazzina tutt'ossa. Le spalle curve, non guardava nessuno negli occhi. Non era difficile capire quanto fosse sensibile e intelligente, a osservarla con attenzione e a farla parlare un po'; era una gran fatica, ma ne valeva la pena. Stava per compiere nove anni; sembrava portarne venti, mal vissuti.

Sua madre Lia era in giro per il mondo, chissà dove, con chi o perché. Suo padre Rocco la parcheggiò a casa dell'amante numero ics ch'ebbe la decenza, o indecenza, di sposare, così da garantire a Myriam un tetto sulla testa e un pasto caldo, e perché fossi io a occuparmene, come già facevo con Walter, mentre lui girava il mondo in moto alla ricerca di se stesso.

Con Linda, Myriam trovò il calore d'una casa e d'una famiglia. Si rimpolpò, raddrizzò le spalle e si conquistò un posto in quello ch'era diventato il suo mondo.

Se qualche ragazzino insolente gli diceva: «Quella non è tua sorella!» e non capitava di rado, Walter rispondeva: «Mica si deve avere lo stesso cognome o lo stesso sangue per essere fratelli», riempiendomi d'orgoglio.

Myriam ancora si chiede se potrà mai ringraziarlo come si deve, quel fratello maggiore più piccolo di lei di quattro anni.



«"Voglio che provvediate a che siano interrogati tutt'i presenti sul luogo del delitto, che ivi vivano stabili o che fossero di passaggio. Siano sfogliati tutti gli elenchi degli ospiti, i libri paga, le ricevute di pagamento. Siano posti sotto sequestro gli stracci utilizzati per nettare la stanza e i pavimenti adiacenti, unitamente a porte e finestre e finanche il balcone della  camera accanto. Che non resti un solo movente insondato, un solo ricordo non scandagliato. Giacomo è stato ucciso, vi ripeto; qualcuno ha da sapere per mano di chi s'è consumata una sì tal crudeltà; se non altri, chi quella mano possiede congiunta al braccio". S'esprimeva con frasi non prive di senso, il rampollo. Il destinatario di quel bombardamento cercava d'introdursi tra i meandri d'accuse e raccomandazioni, nel vano tentativo di disquisire sull'impossibilità di dar seguito alle sue richieste. O almeno di concludere la conversazione senza apparire villano, la fronte sudata, sua moglie che lo strattonava per la manica della giacchetta, ché stavano tardando a teatro. Luigi, con la faccia rossa come un San Marzano maturo, gridava a perdifiato: "Sei un incapace!" La signora Maria giunse in tempo per avvedersi di ciò che stava combinando. Con estrema lentezza e altrettanta decisione, gli tolse di mano la cornetta del telefono, manifestò il proprio rincrescimento al medico di famiglia e spedì Luigi a prepararsi:"M'accompagnerai a far la radiografia alla mia povera caviglia martoriata", gli disse, per sviarne l'attenzione.»



Riempio i polmoni di tutta l'aria che possono contenere, poi la tiro fuori gradualmente, contando fino a dieci.

"Uffa! Stammi vicino, amore mio. Cominciamo questo infelice elenco."

Radiografia. Guardare dal di dentro, per comprendere il fuori; non è una metafora. In genere la si fa per vedere se le ossa sono infiammate, degenerate, fratturate.

Myriam aveva dieci anni. Si svegliava con un forte dolore alle ginocchia. La condussero in una stanza di ghiaccio, con tende petrolio e un lettino alluminio, su cui la fecero sdraiare. Macchinari strani su di sé; assenza di cordialità; desiderio di correre via.

«Abbiamo finito.»

Balzò giù; e se ne pentì: "No! Ora non ci crederanno più che mi fanno male le ginocchia!" Perché le passava, dopo un po' che stava alzata, e quella mattina s'era alzata già da un bel po'.

Dissero che la cartilagine non s'era formata bene e la cosa finì lì. Col tempo, il dolore passò, per qualche anno. Di radiografie ne fece altre: alla schiena, al collo, alle mani, alle caviglie, al coccige.

A dodici anni aveva la gastrite. A quattordici soffriva di tachicardia.

La mattina, dopo latte e orzo solubile, vedeva il mondo come composto da pixel colorati; neanche questa è una metafora. Li chiamava luccichini. Gli occhi si riempivano di puntini verdi, bianchi, rossi e si sentiva cadere giù. Comparvero insieme ai dolori alle ginocchia; sparirono qualche anno più tardi. Non ricorda esami specifici; fu ingozzata di pasta e fagioli, pasta e ceci, pasta e lenticchie, ogni sorta d'alimento vegetale e vitamine ricostituenti. Però Lia e Rocco se la prendevano con lei, che "Ti sei arrotondata un po'"; a riguardare le fotografie di quegli anni, non era neppure vero. 

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