2. Inedito girone infernale
La musica a tutto volume, il sole che allagava il soggiorno, i fili dell'aspirapolvere a terra e la caffettiera sul fuoco, Walter stava mantenendo la promessa. Aveva iniziato con i pavimenti per poi passare ai mobili, ai vetri e ai balconi. Per ultima aveva lasciato la spesa. Avrebbe avuto ancora un'ora per capare le verdure, affettare il pane e apparecchiare la tavola. Al resto avrebbe pensato Godfried: era lui il mago in cucina. Era andato a prendere i suoi amici in aeroporto e li stava scarrozzando in giro per la città. Sarebbe tornato a casa intorno alle 18:00 per preparare la cena. Gli ospiti sarebbero arrivati più tardi, dopo una rinfrescata in albergo, insieme a Rudolf.
Avevano programmato tutto a tavolino, con i tempi calcolati per bene, eventuali imprevisti compresi, e Walter era in perfetto orario.
S'era lavato e cambiato. Chiuse i sacchi della spazzatura, mise in tasca la lista delle cose da comprare, si assicurò che tutto fosse in ordine, e si concesse una pausa, in piedi, vicino al piano cottura.
Sulle sue labbra screpolate affiorò un lieve sorriso: le acque s'erano rabbonacciate, i sassolini erano stati ammonticchiati a valle e la calma sembrava non essere solo apparente.
Aveva commesso degli errori ed era pronto a rimediare, perché ci teneva, e tanto.
Spendeva molto tempo fuori casa, nel weekend era troppo stanco per un cinema o una serata con gli amici, spesso era distratto e non aveva voglia di parlare: tutto ciò non aveva nulla a che fare con i suoi sentimenti o con l'impegno che aveva preso sei anni prima, quando lui e Godfried avevano acquistato quella casa promettendosi amore eterno, fedeltà e sincerità e tutte quelle belle parole che fanno rima con felicità.
"Rivedere l'agenda. Dire 'No' agli straordinari, come i miei colleghi col pretesto che hanno famiglia: anch'io ho famiglia. Poi le prove con i ragazzi: la mia presenza, spesso è solo... Presenza, più un mio piacere che altro, qualcuna la posso saltare. La domenica: il nostro giorno sacro. Un dvd abbracciati sul divano. Una pizza con quella pizza di Rudolf. Ce la posso fare. Ce la devo fare."
Il caffè iniziò a borbottare; spense il gas.
Splash
Splash
Splash
Le sue elucubrazioni furono interrotte. Guardò il cellulare. Un messaggio lo lasciò attonito, catapultandolo in un'altra dimensione, lontano da incombenze e promesse, in un luogo mentale in cui l'immagine di Godfried sfumava fino a essere soppiantata da un volto che sarebbe diventato un pensiero fisso del giorno e della notte per molti giorni e molte notti a venire.
Avviò la chiamata. Poche frasi e non capì più niente.
Prese il cappotto, il portafogli, il mazzo di chiavi, e corse via, scendendo le scale due a due, rischiando più volte di scivolare e scivolò dove un pezzo di cuore lo trascinava, dove non poteva evitare di essere. Là dove, da quella prima estate a "La Fattoria", si sentiva a casa. Non n'era mai uscito, neanche per Godfried, ch'era refrattario a metterci piede, ma "Chi se ne frega".
Stava varcando la soglia di quello che gli apparve un inedito girone infernale. Tirò fuori il cellulare che aveva cacciato nella tasca del cappotto. Fece per bloccarlo. Niente da fare. Spento. Muto. Morto
Nella baraonda generale, tra estranei che si abbracciavano e baciavano, in un Pronto Soccorso affollato in cui non capiva in quale direzione dovesse andare, provò e riprovò, ma il cellulare non si accendeva. Chiese qua e là:«Per caso ha un caricabatteria compatibile?»
Lo guardarono come fosse uno squalo, ognuno con la stessa espressione di rimprovero:"È questa la tua preoccupazione?"
Attorno a lui, le persone avevano facce deformate. Alcune erano immobili, sedute o appoggiate al muro; altre uscivano ed entravano dalla porta automatica. Una donna con un'enorme massa di capelli ricci color caramello piangeva, e il trucco le chiazzava le guance. Un giovane di trent'anni circa inveiva al telefono, accanto a un signore con gli stessi occhi neri, lo stesso naso a patata e la stessa bocca storta, ma con qualche ruga in più, che prendeva a calci la macchinetta degli snack.
Una bambina vomitò vicino ai suoi mocassini nuovi di zecca; un uomo basso, magro, con radi capelli bianchi, corse dagli infermieri del triage per sollecitare un intervento celere:«Mia nipote sta male! Fate qualcosa!»
Mandarono un addetto alle pulizie, che passò lo straccio sul pavimento. Non ti si fila nessuno, in un posto come quello, se il tuo numero non arriva in cima al tabellone. Se tutto va bene, ciò avviene nel giro di tre o quattro ore; se il tuo codice è verde o bianco, ne possono passare anche molte di più.
Walter cercò di ricordare le istruzioni ricevute. Entrò in ascensore e pigiò il tasto con la sigla P3, sperando che fosse quella giusta. Del cellulare, di Godfried, s'era già dimenticato.
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