2. Alla ricerca di una nuova definizione
Malata. Così l'aveva definita Valerio, quel giorno d'estate d'un anno prima, uscendo dalla camera d'albergo, dal suo cuore e dalla sua vita; non dai suoi pensieri, che talvolta le rispondevano: "Sì, sei malata". Quelle sei lettere le erano rimaste addosso come un ematoma.
Myriam si tolse dalla spalla una foglia verde per metà, che si andò a sommare alle altre, gialle, arancioni, rosse, marroni, attorno ai suoi piedi.
Si stava crogiolando al sole di mezzogiorno d'un autunno appena accennato, seduta scomposta s'una panchina di Parco Nicolò Savarino, lo stesso che per molto tempo fu dedicato ad Agostino Bassi; e su questo, s'era ritrovata a riflettere.
"Come cambiano i luoghi! Oppure restano uguali e a cambiare sono i loro nomi."
Anche il cane che giocava davanti a lei era chiamato Tigna dal suo primo padrone, ed era davvero brutto quando le guardie zoofile l'avevano salvato dall'agonia e portato in canile. Myriam ne aveva visto il video: pelle e ossa, pieno di chiazze, si grattava di continuo. Una spessa catena arrugginita gli impediva di lasciare quel metro quadro di sozzume in cui era nato, tremava e teneva il musino all'ingiù. S'era lasciato sollevare a peso morto, ch'era forse poco più di cinque chili.
A guardarlo mentre correva a cercare una pallina, non sembrava nemmeno lui: zampe nerborute, pelo fulvo uniforme, occhietti arzilli; ancora un cucciolo, ma già con le orecchie tirate su.
«Lucky!»
Il lupetto portò al suo addestratore la pallina scovata in un angolo vicino alla rete, e lui la tirò di nuovo.
Myriam non gli staccava gli occhi di dosso.
"Potrei farlo anche con Sally", pensò, "peccato che lei le palline le fa a pezzi".
L'uomo era atletico e scattante. Indossava pantaloni chiari che arrivavano a metà polpaccio, una t-shirt rosa shocking e un berretto col logo d'un club sportivo.
"Beato lui che non ha mai freddo e ha sempre le mani calde."
Mani sapienti, che avevano curato Mirko e operato Jacopo, e che stavano rimettendo a posto i suoi setti cardiaci.
Si strinse nel vecchio giaccone imbottito, "Blu come la notte buia", che non si decideva a buttare perché non ne aveva trovati altri così caldi. Sistemò la sciarpa e calcò bene il cappello a coprirle tutta la fronte; erano di lana azzurra, lavorati ai ferri, da me, quando ancora lavoravo ai ferri.
Riccardo prese da una tasca il cellulare; guardò lo schermo e scrisse qualcosa. Lucky si accucciò. Myriam sperò non si trattasse d'un'emergenza. Non perché avrebbe ridotto il tempo del loro stare insieme, ma perché in ogni emergenza rivedeva Mirko e Jacopo in quei letti d'ospedale e le prendeva una fitta, una in più, sotto le costole.
Le fitte. Erano forti, frequenti. Non lo diceva a nessuno; le sembrava assurdo lamentarsi, dopo quanto era successo. Eppure, prima o poi avrebbe dovuto parlare dei suoi dolori sempre più presenti, delle sue difficoltà sempre più invalidanti, affinché la gente attorno iniziasse a capirla. Avrebbe cominciato da Riccardo, a pranzo, prendendo spunto dall'insolito invito che aveva ricevuto qualche giorno prima.
Non è poi così sicura di sé, Myriam. Ma quando più ha paura, prende le gambe e va perché, se l'affronta, la maledetta la spaventa di meno.
Si alzò presto, forte d'un incoraggiamento ch'era parso sincero, tra un supplì e una crocchetta, prima che Riccardo corresse in ospedale.
Portò fuori Sally; la riportò a casa; cambiò le scarpe; fece pipì; andò in stazione in tram e prese, al volo, il treno per Brescia, una città che non conosceva. Vi abitava una sua cugina, avrebbe potuto chiederle d'andare con lei. Non l'aveva fatto perché: "Forse è tutta una stronzata" e non voleva darle un motivo in più per sfotterla.
"Ne ho provate tante, provo questa e come va, va; non dovrò renderne conto a nessuno."
Cercava una risposta, lontano da occhi importuni, che, pure se Milano è grande, qualcuno che si conosce lo si trova sempre.
"Soprattutto se conosci tante persone o hai dei fratelli che conoscono tante persone che li hanno visti insieme a te."
Scesa dal treno, seguì le indicazioni riportate sull'invito all'Evento, uno di quelli che si mandano un po' qua e un po' là, nell'intento di fare qualche centro. Era arrivato da Silvia, con cui non aveva amicizia, dal vivo come nel virtuale. "Perché proprio a me? Non aveva altri a cui mandarlo?"
Aveva letto la descrizione:
"Giornata di sensibilizzazione sulle malattie reumatiche. Alcuni specialisti saranno a disposizione per rispondere alle vostre domande".
Non era stato inviato a caso.
Cartina alla mano, s'era avventurata.
"Fosse mai che ci fosse qualcosa d'interessante anche per me!"
Incontrare Silvia non era il primo dei suoi desideri e neanche l'ultimo; avrebbe fatto buon viso a cattivo gioco, come soleva ripetere il mio Vito, per spronare i ragazzi ad adattarsi a situazioni che non erano di loro gradimento.
Giunse in Piazza del Mercato, allestita con tendoni e stand informativi. Sedute a tavolinetti da pic-nic, tre "teste canute" si piegavano e ruotavano in ascolto, per prendere appunti.
In fila c'erano sette persone; Myriam si accodò ad esse, "Tanto per; ormai sono qui», spostando il peso da un fianco all'altro.
Quando fu il suo turno, si presentò, rispose alle domande su età, peso, eventuali malattie ereditarie, e sciorinò le parole chiave che s'era stampata in mente per essere rapida, precisa e arrivare subito al punto senza perdere altro tempo.
Il medico che aveva di fronte, un reumatologo, l'ascoltò. Con attenzione. Senza interromperla. Scrivendo i suoi sintomi, le analisi per escludere "altro" e la possibile diagnosi, riportata in rosso con doppia sottolineatura.
Myriam si congedò con una punta di delusione e un pizzico di speranza. Fissò quella parola mai letta né sentita prima, una patologia, una sindrome che nessun medico le aveva menzionato ancora. Le sembrò un contentino, come a dire:"Se non hai questo, non hai quello, non resta che quest'altro". Un po' come i sintomi psicosomatici che andavano tanto quando era bambina.
Di positivo c'era che non era stata data la risposta che più temeva:"Sta tutto nella tua testa", e aveva da fare esami clinici che nessuno le aveva prescritto prima.
Si guardò intorno, per cortesia. Silvia la intercettò e le rivolse un sorriso smagliante su labbra volumizzate da balsamo magnolia bouquet e negli occhi azzurri contornati da ciglia nere di mascara.
Non si vedevano da sette anni. Myriam la ricordava più tonda e più bassa, antipatica come la madre, vestita con abiti da boutique e lunghi capelli biondi legati in una treccia. Si trovò di fronte una venticinquenne alta quanto lei, magra ma non troppo, in abiti sportivi; i capelli erano come li ricordava.
«Sono contenta di vederti qui. Papà m'ha parlato tanto di te, non sempre bene, ma quando mi è stata fatta la diagnosi, ho pensato che magari sei una di noi e non lo sai. Ci prendiamo un tè?»
«Il tè no, che mi fa fare pipì e devo stare un'ora in treno.»
Da che n'aveva memoria, Myriam era l'imbranata, con le mani di ricotta. Laureata con centosei su centodieci, pareva sempre con la testa tra le nuvole. Le sue gambe, poi, si facevano sempre più pesanti, anche se era dimagrita, come consigliato dai medici, da sua madre, dai suoi fratelli e da Lucilla, e persino da me, quando ancora potevo parlare. Da suo padre no; è l'unico che ha sempre pensato fosse inutile accanirsi su di lei: "Ha sempre frignato, sin da bambina. È il suo modo d'attirare l'attenzione". La sua, di certo, non l'hai mai ottenuta.
Non sfruttava le sue capacità, il suo corpo non glielo consentiva e questo le creava un'ansia che la bloccava, anche più dei dolori fisici. Evitava ansiolitici e antidepressivi, perché:"Non è questo il problema". Era solo stanca, arrabbiata, stanca di essere stanca. Le dicevano di fare sport, senza prescrivere alcun farmaco mirato a toglierle il dolore, e lei non riusciva perché:"Ognivolta è una contrattura nuova". Silvia le stava tendendo una mano e offrendo una possibilità.
«Magari uno yogurt.»
Ritrovò una sorella, con cui aveva molto di più in comune d'un padre assente, e scoprì un mondo di persone come lei, una categoria in cui riconoscersi e con cui confrontarsi; migliaia di uomini e donne, persino bambini, che non sono depressi, anche se le liti e le incomprensioni non sono d'aiuto all'umore, e non sono pigre, ma i movimenti causano loro tanto dolore e, meno si muovono, più i muscoli ne risentono, e meno si muovono, come Sally quando corre intorno a se stessa per mordersi la coda.
Cercò nei gruppi social esperienze simili alle sue; fece la spunta dei sintomi, come facevamo da piccoli con le figurine:
«Acufeni: mi manca.»
«Bocca secca: mi manca.»
«Brividi e sensazione d'avere la febbre: ce l'ho.»
«Bruciore agli occhi e alla pelle: ce l'ho.»
«Bruxismo: ce l'ho.»
«Colon e vescica irritabili: ce l'ho.»
«Crampi e spasmi muscolari: ce l'ho.»
«Difficoltà a scendere o a salire le scale: ce l'ho.»
«Dolori spontanei, diffusi e lancinanti: ce l'ho.»
«Fatica cronica: ce l'ho.»
«Fotofobia: ce l'ho.»
«Goffaggine: ce l'ho.»
«Ipersensibilità: ce l'ho.»
«Mani bianche e fredde: mi manca.»
«Masticazione difficile: mi manca»
«Mialgie: ce l'ho.»
«Sudori abbondanti: mi manca.»
Ma questo non era un gioco e, tutto sommato, si ritenne fortunata, perché ancora riusciva ad alzarsi dal letto e avere, tra virgolette, una vita normale.
Myriam non ha mai sopportato le etichette; l'ha sempre rifiutate, per se stessa, Linda, i suoi fratelli, la famiglia tutta. Se n'è trovate stampigliate tante. Quest'ultima se la tiene stretta, perché esclude tutte le altre e le ha ridonato serenità; come un distintivo, come i nastri viola che ha legato alle borse, non la toglie più.
Ora, può rispondere: «No, non sono strana, ipocondriaca, scema, depressa, ansiosa. Sono fibromialgica».
Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top