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Andrea

<<Andrea, ho comprato il sushi!>> grida Michele dalla cucina, chiudendo la porta in laminato alle sue spalle.
Al suono delle sue parole Diana si allontana velocemente, scontrandosi con l'armadio bianco alle sue spalle. I  capelli rossi le ricadono ancora bagnati sulla schiena, le lentiggini le riempiono il viso donandole quella dolcezza in più: è difficile non rimanere affascinati dalla sua pura bellezza.
<<È meglio che ti cambi la maglietta>> affermo smorzando la tensione e l'imbarazzo venuti a crearsi tra noi. Poggio la fotografia ritraente la mia famiglia ed esco avviandomi verso la cucina, dove mio cugino sta felicemente sistemando la piccola tavola.
Un forte tuono scuote la casa.
Il temporale si è fatto ancora più violento.
<<C'è anche Diana>> esordisco sedendomi, affamato. Lo sguardo sorpreso di Michele si posa su di me, obbligandomi a spiegare la situazione.
Indico il libro di spagnolo poggiato sul divano. <<Guarda, è lì. È venuta solamente per portartelo come avevi chiesto. Non farti strane idee.>>
Diana compare dal corridoio stringendosi nella lunga felpa che le avevo volutamente prestato, sembrando ancora più minuta.
Sposta la sedia al mio fianco e si siede, incrociando i miei occhi.
Lo sguardo le cade sulla tavola.
<<Uuh, sushi!>> esclama gioiosa.
<<Sono cinque euro>> risponde mio cugino poggiando le mani sui fianchi e alzando il mento verso l'alto, in aria di sfida.
Diana inizia a mangiare senza degnarlo di uno sguardo.
Il pranzo prosegue piacevolmente, mentre fuori la pioggia sembra diminuire i suoi scrosci d'acqua.
<<Non mi avevi mai parlato di tuo cugino, Mike.>> esclama Diana spezzando il silenzio.
<<Ci sono molte cose che non sai di me, bellezza>> risponde Michele scherzoso, lanciandole un occhiolino.
La ragazza rotea gli occhi, posandoli poi su di me.
<<Non ci vediamo mai, è normale che non parli di me.>> dichiaro osservando il bicchiere mezzo pieno davanti al piatto, ormai privo di qualsiasi traccia di sushi.
Michele si alza, sparecchiando.
<<Andrea è venuto perché ha recentemente trovato un lavoro qui>> chiarisce mio cugino tossendo.
Non è la verità, non sono qui per questo. E lui lo sa.
Improvvisamente un telefono squilla a massimo volume: Diana si alza frettolosa mentre un espressione cupa si fa strada sul suo volto. I  lunghi capelli - felicemente asciutti- oscillano seguendo ogni suo passo.
<<Devo andare>> dichiara dopo aver riposto il telefono al suo posto.
<<Grazie per il pranzo Mike.>> si avvicina a lui abbracciandolo calorosamente. Poi si volta verso di me salutandomi con un gesto della mano.
Esce di fretta chiudendosi la porta alle spalle, seguita dal mio sguardo.
<<Lei ti piace, non è vero?>> domanda Michele storcendo la bocca.
Mi alzo diretto verso la camera di Mike - che momentaneamente è anche la mia.
<< Non dire stronzate, mi ricordo a malapena come si chiama>> urlo dal corridoio.
Bugia. Enorme, colossale bugia.
Entro nella stanza e i vestiti di Diana attirano la mia attenzione. Li ha dimenticati. Ho un motivo in più per rivederla e la cosa mi rende stranamente felice.
"Che cosa mi sta succedendo?" chiedo nella mia mente.
La dura voce di Mike alle mie spalle mi distrae.
<<Meglio così, anche perché non ti ho permesso di stare qui per trovarti una fidanzata. Sei qui per ben altri motivi.>>
Mi volto verso di lui.
<<Lo so perché sono qui, cazzo! Lo so!>> sbotto contro di lui, serrando la mascella.
<<Bene, allora vedi di muoverti a trovare quello stronzo, se realmente esiste. E vattene da qui.>>
Mio cugino lascia la stanza, abbandonandomi a me stesso.

Una settimana fa
Il carcere è una struttura antica, collegata alla strada attraverso un lungo pontile e circondata da un'alta muraglia. Il pessimo odore al suo interno si insinua nelle mie narici costringendomi a storcere la bocca e ad arricciare il naso.
Percorro il corridoio che porta alla sala degli incontri, l'unico luogo che permette ai detenuti di incontrare amici e familiari.
Non ero sicuro di andarla a trovare. Al momento non sono sicuro di niente, ho perso tutte le certezze che caratterizzavano la mia vita.
In fondo, però, è pur sempre sangue del mio sangue e poterla vedere solo attraverso quel vetro è una bastonata al cuore.
Qualsiasi cosa lei abbia fatto.
<<Andrea, ascolta bene le mie parole, ho poco tempo oggi.>> Esordisce mia sorella alla cornetta del telefono, guardandosi attorno.
<<So chi è quell'uomo, so chi ha ucciso mamma e papà>> le sue parole cariche di speranza si scagliano contro il vetro.
Sospiro.
<<Eva, tu..tu non puoi saperlo>> le rispondo carico di rammarico e disperazione.
Il suo sguardo si acciglia: <<Ma che dici? Si che posso!>>
<<Eva, ascoltami bene...>> deglutisco, faticando a continuare.
Poi prendo coraggio.
<<Stai facendo di tutto per nascondere la verità, soprattutto a te stessa.>> abbasso lo sguardo.
<<E quale sarebbe questa verità? Che sono stata io?>> il volume della sua voce si alza, costringendomi ad allontanare il vecchio apparecchio telefonico dal mio orecchio.
Non rispondo. Non riesco a guardarla.
<<Andrea cazzo! Rispondimi.>>
<<È quello che dicono, che sei stata tu>> rispondo stremato, con gli occhi carichi di lacrime.
<< Eva, soffri da molti anni! Avevi già mostrato atteggiamenti aggressivi nei confronti di mamma senza nessun motivo>> concludo.
<<Soffrire di bipolarismo non significa essere assassini>> risponde calma e composta, osservandomi attentamente.
Un secondo dopo il suo sguardo si fa cupo, gli angoli della bocca si accasciano verso il basso.
<<Pensavo che almeno tu mi credessi, pensavo che tu mi volessi bene!>> risponde scagliandosi contro il vetro.
<<Sei uno stronzo come tutti gli altri! Tu non sai niente di me! E nemmeno di nostra madre>> continua urlando in modo disperato.
Una lacrima mi bagna la guancia.
Alzo lo sguardo verso di lei.
<<Cazzo andrea, aveva un'amante!
Ma te eri troppo occupato a goderti la tua stupida vacanza in giro per il modo per accorgerti dei problemi che ruotavano attorno alla tua famiglia. Ho provato a spiegarlo a tutti, ma nessuno mi crede. "Mancano le prove" così dicono e mi considerano troppo pazza per poter dire la verità. >> riesce a pronunciare.
Quelle parole mi distruggono. Mi frammentano l'anima. Non le credo, non è possibile.
<<Sei una bugiarda! Come fai a sapere che nostra madre aveva un altro? Dimmelo!>> rispondo contro il vetro sporco.
Abbassa lo sguardo e i capelli le ricadono fino a coprirle il volto.
<<Cerca quell'uomo Andrea, cercalo e fai in modo che confessi tutto!>> riesce a pronunciare prima che due guardie arrivino a trascinarla via.
Arrivato a casa, preso dalla disperazione, la metto a soqquadro, cerco in ogni angolo polveroso spostando mobili, libri.
Ogni cosa.
Cerco nei cassetti, negli armadi senza sapere bene di che cosa sia alla ricerca. Di un qualcosa, di qualsiasi cosa.
Mi accascio stremato contro il muro del soggiorno.
Poi come se una lampadina si fosse accesa nella mia mente, mi alzo verso la camera dei miei genitori.
Alzo il materasso del loro vecchio letto ed una piccola fotografia esce svolazzando: mia madre ed un uomo sconosciuto si abbracciano amorevolmente. Lei sorride, lui la guarda pieno d'amore.
È tutto vero.
Non so più a cosa credere. Non so più a chi credere.
Osservo la foto ed il Ponte Vecchio sullo sfondo attira la mia attenzione.
/

Mike torna in camera, svegliandomi dai ricordi.
<<Preparati, andiamo a fare un giro. Così ti mostro Firenze.>>

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