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Diana
Mi sveglio sbattendo ripetutamente le palpebre per destarmi da quel sonno pesante. I ricordi della sera precedente si fanno confusi: due lunghe braccia si alzano davanti a me, poi il buio. Buio totale, nero come l'ala di un corvo.
Con i piedi sfilo via le coperte da sopra il mio corpo, mi alzo traballando ancora intorpidita dal sonno e mi vesto in fretta per non incrociare mio padre che, da un momento all'altro, dovrebbe svegliarsi.
Uscita di casa un forte vento mi solleva i capelli che cerco di tener fermi all'interno della sciarpa arrotolata al mio collo. Il parka mi riscalda il corpo fin sopra le ginocchia, mentre le vecchie converse - ormai rovinate dal tempo - lasciano entrare l'aria fredda e mattutina che mi ghiaccia i piedi. Cammino più velocemente, con l'intento di riscaldarmi. Percorro il lungo e solitario viale alberato che mi attende ogni mattina da quando frequento l'Accademia delle Belle Arti.
In questa mattina di inizio febbraio il sole si prepara a splendere alto mentre il forte vento - che dannandolo sento ridere di me - soffia ancora più potente agitando i secchi rami degli alberi, pronti a spezzarsi.
"Odio l'inverno" penso, mentre con una mano mi proteggo il viso vittima dell'assalto della piccola ghiaia sollevata dal turbinio del vento.
Arrivata in piazza, l'antica Università si staglia davanti ai miei occhi sorretta da grigie colonne portanti mentre nel corpo superiore dell'edificio, le semplici ed allineate finestre - d'estate felicemente spalancate - adesso si ritrovano volutamente serrate per contrastare la forza del cattivo tempo.
Mentre entro nel cortile interno il mio sguardo si posa sulle famose sculture - riprodotte con calchi in gesso - che si presentano nella loro bellezza, fiere di essere osservate.
Mi guardo intorno: due ragazze catturano la mia attenzione ridendo fragorosamente, raccontandosi chissà quali osceni segreti. Il professore del mio corso, volutamente in anticipo, si dirige spedito verso l'atrio dell'ateneo salutando cortesemente i volti conosciuti.
Mi siedo su un basso e bianco gradino; un appiccicoso chewing-gum buttato a terra davanti ai miei piedi mi fa compagnia. Sollevo poi lo sguardo in cerca di volti familiari e vedo Nicholas, troppo occupato a fumarsi una canna circondato dai suoi stupidi amici per accorgersi di me.
"Per fortuna" penso.
La debole luce del sole appena sorto gli illumina il viso, facendo risaltare maggiormente i suoi ondulati capelli biondi e il mento leggermente sporgente. I suoi occhi verdi, un secondo prima posati sul sottile spinello, adesso incontrano i miei. La rabbia inizia a montarmi dentro. Rimaniamo ad osservarci per qualche secondo: io seduta, lui in piedi, poggiato alla forte colonna. Mi alzo velocemente e, dopo aver compiuto tre passi, due braccia esili mi cingono da dietro. Le labbra di Nicholas si avvicinano al mio orecchio:
<<Perché non mi saluti?>> chiede, stringendomi forte.
Mi volto verso di lui allontanandolo con uno spintone. L'amore che provavo nei suoi confronti si è subito tramutato in odio dopo averlo sorpreso, una settimana fa, a letto con un'altra ragazza: in quel momento l'umiliazione regnava in me più di ogni altra emozione. Da quel giorno non ho più voluto sapere niente di lui.
<<Non mi devi toccare Nicholas!>> riesco a dire prima che una sua mano mi trascini ancora più vicina al suo bianco volto. La rabbia ed il desiderio di tirargli un pugno in faccia crescono sempre di più dentro me, ma mi trattengo ricordando le buone maniere.
Le sue mani mi prendono il viso:
<<Dai Diana, sei ancora arrabbiata?>> sussurra vicino alla mia bocca sfiorandomi le labbra mentre un ghigno soddisfatto viene a crearsi sul suo volto.
<< Ero ubriaco, te l'ho già detto. Non so nemmeno chi sia quella ragazza. Io solo voglio te.>> Sembra sincero.
Lo guardo intensamente negli occhi, alla ricerca del ragazzo gentile di cui mi ero innamorata, ma tutto ciò che scorgo nel suo sguardo è un velo di strafottenza e menefreghismo. Un senso di malinconia inizia a montare dentro di me.
Mi ritraggo velocemente, cercando di divincolarmi da quella forte stretta ma il ragazzo non sembra intenzionato a lasciarmi andare.
Il vento continua a soffiare forte mentre il sole, uscito definitivamente allo scoperto, viene nascosto da qualche candida nuvola.
<< Dove pensi di andare?>> chiede ridendo mentre una sua mano cinge la mia intenta a portarmi via con lei. Mi lascio trascinare per qualche metro, indecisa sul da farsi, poi improvvisamente inizio ad urlare cercando di divincolarmi dalla sua stretta: <<Ti ho detto di lasciarmi stare, mi fai schifo!>>. Un gruppetto di amici, attirati dalle grida, si volta a guardarci.
<<Lasciala subito!>> la ferrea voce di Mike si leva alle sue spalle, spingendolo violentemente a terra e liberandomi dalla sua presa.
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Ciao a tutti!!
Ringrazio chiunque stia leggendo questa storia: consigli - o critiche, purché costruttive - sono sempre ben accetti.
So di non scrivere benissimo, ma cerco di migliorare giorno per giorno, passo dopo passo.
Fatemi sapere che cosa ne pensate della storia. Ci tengo molto.
Vi abbraccio.
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