10/02/20_ Cosa ne penso di Sanremo 2020

Vorrei che faceste un respiro profondo e che prendiate la seguente affermazione con la neutralità più assoluta, ovvero senza saltare a conclusioni affrettate, senza pretendere di aver capito subito dove starò andando a parare, perché probabilmente cadreste in errore.

Secondo me, Sanremo non è più un festival della musica.

Ecco, l'ho detto. Rimango un minuto in silenzio per lasciar sfogare chi, sentendosi contrariato da una frase del genere, in un incontro dal vivo si lancerebbe in una nenia senza fine al punto da parlarmi sopra e allo stesso tempo rimanere sordo alle mie obiezioni.

Facciamo finta che qualcuno abbia deciso di continuare a leggere questo articolo senza pensare che io sia una hater, una boomer o un'anarchica sfornata dal liceo artistico - mi dispiace, miei cari aspiranti artisti, ma dalle mie parti gli stereotipi ve li meritate tutti. 

Questo festival di Sanremo, dal punto di vista tematico, è ruotato attorno al rispetto della donna, alla violenza sulle donne e all'esaltazione della donna in quanto persona e non mero oggetto di bellezza carnale. Fin qui, credo che nessuno abbia da dibattere: camminiamo di un terreno di totale obiettività. 

Una premessa: i profondi (?) monologhi di Rula Jebreal e Diletta Leotta mi hanno parecchio annoiata. Non perché io non sia sensibile ai temi sopra citati - da donna, se non lo fossi sarei scema - ma perché sono stati di una banalità inaudita. La banalità è una brutta bestia, capace di rovinare anche le parole più belle e le intenzioni più buone. Ad esempio, se un ragazzo anche carino esordisce sul mio ipotetico profilo Instagram con un "ciao bellissima" io non lo cago di striscio. Non per cattiveria, ma perché lui non si è impegnato un minimo per scrivere qualcosa di originale e diverso dal solito, ovvero non ha investito nulla nel suo messaggio e nello stesso tempo pretende di ricevere una risposta, come se la parola "bellissima" basti per scongelarmi.

Va bene? La parola "bellissima" è una bellissima parola, ma è talmente banale che dà fastidio. Allo stesso modo, parlare di violenza sulle donne attraverso un noiosissimo pippone trito e ritrito non mi sensibilizza affatto, anzi, mi irrita.  

Tra l'altro, si parla di violenza sulle donne come di un'emergenza nazionale e internazionale (parole della stessa Rula Jebreal), quando in realtà, scusate se lo dico, non è affatto così. Il riscaldamento globale è un'emergenza. La fame nel mondo è un'emergenza. In un mondo moderno ed evoluto come quello attuale la violenza sulle donne sì esiste, ma è ben lungi dall'essere considerata un'emergenza. Ricordiamoci che per quanto riguarda i crimini commessi in generale viviamo nell'epoca migliore della storia dell'umanità, poiché abbiamo più o meno imparato dagli errori del passato e abbiamo creato delle strutture di legge e di assistenza (Telefono Rosa) che scoraggiano fortemente una vasta gamma di reati, tra cui il femminicidio. 

Il fatto è che a Sanremo occorre inserire un tema, per far sì che l'italiano medio, probabilmente giudicato analfabeta visti i contenuti propinati, sia ancora più propenso ad appiccicarsi al televisore, a commuoversi e a condividere il video di Rula Jebreal su tutte le piattaforme possibili e immaginabili. Non per essere complottista, ma capite da soli che i social network sono fondamentali con cui Sanremo fa parlare maggiormente di sé. Questa non deve essere una critica a Sanremo, il quale può fare quello che vuole per aumentare gli ascolti, ma alla bassezza intellettuale che a quanto pare piace al nostro amato popolino. Ripeto, le cose che sono state dette da Rula Jebreal sono sacrosante, ma a mio parere presentate male, in maniera appunto banale e scontata.

Tuttavia, la cosa che mi dà davvero tanto fastidio è un'altra: non è possibile che nel 2020 le donne debbano utilizzare un colosso mediatico come Sanremo (il quale sarebbe un festival musicale, non una conferenza sui diritti umani) per farsi ascoltare. Così facendo non dimostrano altro che debolezza, come a dire che sono talmente deboli e sfigate che c'è bisogno della manina di Sanremo per dare loro un po' di credito. E infatti Amadeus è stato il primo tra tutti a lanciare qualche bella frecciatina: nel presentare Diletta Leotta, infatti, ha detto "è bellissima", aggiungendo poi un "posso dirlo, vero?" - o qualcosa di simile, non vorrei riguardarmi l'intero festival per dirvi le parole esatte e credo non sia necessario -. In poche parole, Amadeus si è preso brillantemente gioco di questa stramba epopea femminista. Da donna - da donna! - non posso che sentirmi in imbarazzo a pensare che siano proprio le donne stesse che involontariamente si sono date delle deboli nel momento stesso in cui Rula Jebreal ha iniziato a parlare.

Veniamo ora a Diletta Leotta. A me non frega assolutamente nulla se si è ritoccata o no, e anzi, aggiungerei una piccola postilla sull'argomento: ognuno del proprio corpo può fare quel cazzo che vuole; non è concepibile che una ragazza rifatta venga criticata mentre una che si fa crescere i peli sulle gambe (sì, succede) elogiata perché si accetta così com'è. Questo, signore mie e signori miei, è un ragionamento distorto e appannato dall'approvazione sociale, che in un modo o nell'altro detta le regole della nostra etica e ci dice cosa è giusto e cosa sbagliato. Se Diletta Leotta ha voluto rifarsi gli zigomi buon per lei. Quello che mi ha disturbata è stato il suo discorso sulla bellezza, costantemente infarcito di una mortificante e assolutamente non richiesta autoironia. Già, perché la battuta sul fatto che una Diletta Leotta brutta non avrebbe mai avuto successo, pronunciata dalla Leotta stessa, è stata costruita male e sembrava più il capriccio di una bambina che crede di essere inferiore al bambino in quanto femmina. 

Ciliegina sulla torta: diverse donne hanno preso parte al festival, ma nessuna di queste ha avuto veramente un ruolo nella conduzione. Forse, hanno tutte imparato dalla compagna di Valentino Rossi e hanno saputo mettersi in secondo piano? Chissà.

Seconda parte di questo grandioso e criticabilissimo articolo. Dedicato a te, caro lettore, che hai saputo mettere il senso critico davanti allo sdegno emotivo. Grazie infinite. 

Le canzoni proposte hanno avuto, a mio modesto parere, lo stesso problema del discorso della Jebreal: la banalità. Non è che se parli di amore e dici cose mielose al limite dello stucchevole allora hai scritto una bella canzone. A casa mia, una canzone si compone sia di un testo che di una melodia, quindi si presume che una bella canzone debba avere anche una bella melodia oltre che un bel testo. Giusto? No, per Sanremo è sbagliato. Me ne sono accorta dopo poco l'inizio della prima puntata, quando gli Eugenio in Via di Gioia sono stati eliminati nello scontro con Tecla. Ho dovuto ammettere, infatti, che la canzone Tsunami dei primi fosse davvero una grande canzone: parole intelligenti e irriverenti che tessono una melodia di rara originalità e nello stesso tempo davvero orecchiabile; un genere musicale unico e assolutamente fuori dal coro del classico pop lento e melodico che ormai in Italia si produce come uno standard industriale. 

Scartata. Sconfitta da Otto Marzo di Tecla, una canzone orrenda e schifosamente banale -provate a cantare il motivetto senza risentirvela, se ci riuscite. Vi ritroverete a fare un medley di tutti i pezzi in gara - ma che, guarda caso, parla della festa della donna. Ha vinto solo perché parla della festa della donna, porca di una maledetta troia puttana Eva. Una conferma potrebbe essere data dal seguente fatto: Tsunami ha ottenuto ben quaranta voti dalla critica della sala stampa, andando così a vincere il premio della critica Mia Martini, mentre Otto Marzo solo 18. Io non commento. 

Devo però dire di aver apprezzato le canzoni di Francesco Gabbani e Piero Pelù (due uomini, tra l'altro). Quella di Diodato, invece, non me la ricordo proprio; deve essermi colata fuori da un orecchio in seguito a un'esplosione cerebrale dovuta allo sdegno più assoluto. Banale come altre mille, uno stormtrooper dalla mira di merda come milioni di altri, il cui solo scopo è di far risaltare quei due o tre cavalieri jedi che sono realmente degni di protagonismo: Pelù, Gabbani, gli Eugenio, Al Bano. Ah, giusto per la cronaca: anche Diodato è maschio. 

Infine, i conduttori del programma. Sia Amadeus che Fiorello sono stati molto simpatici e professionali. Certo, in alcuni momenti non proprio al massimo della forma, ma non sono loro a scrivere i copioni. Complimenti ad Amadeus per la frecciatina velata, ci ho riso su davvero tanto. Forse non l'ha fatta apposta, o forse sì, ma lo ringrazio ugualmente. Fiorello, dal canto suo, mi ha fatto spaccare quando ha cercato di capire cosa fosse successo tra Morgan e Bugo per poi uscirsene con un "allora, non ho capito niente di quello che è successo!", nonché quando ha fatto finta di rimproverare Amadeus per l'accaduto. Davvero bravo.

Ringraziamenti speciali a Morgan per aver aggiunto una punta di pepe trash a questa baraonda, anche perché sembra che Sanremo d'ora in poi solo di questo camperà: pepe e trash. Le canzoni sono degli standard pop banali e preconfezionati, le scenette comiche barcollano e gli ospiti sono più o meno sempre gli stessi. Ecco perché dicevo che Sanremo non è più un festival della musica. L'avvento dei social network ha amplificato l'importanza dell'immagine affogando completamente l'idea di mettere su un vinile e lasciarsi andare al cieco mondo di un bel brano senza badare alle fattezze o al comportamento di chi lo canta. Perché la musica, cari miei, non si guarda, o meglio, non solo: mi piacciono i videoclip, le chiome selvagge dei Guns 'n Roses, i vestiti alienati di David Bowie e le curve di Shakira, ma tutto questo è nulla se la colonna sonora non regge. 

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