40) Il vassoio di mele

«Quando ti ho perso?» Mavelina diede qualche colpo d'anca, la tasca del vestito le sventolava sul fianco, vuota «Torro, da quanto sei lì nell'angolino?» il ragno penzolò, appeso al proprio nido di ragnatele incassato in un angolo del muro, nascosto da una piattaforma di legno «Da quanto tempo sei qui? Hai trovato il tempo per farti la casetta.»

Torro scese sul pavimento della torre, prima di uscire dall'ombra della piattaforma sembrò controllare i fianchi, che quella guardia appena scappata non tornasse all'improvviso

«Sbuchi fuori in modo inquietante.»

Zampettò fin al patibolo, i piedi di Mavelina si sollevarono prima che le zampe del ragno la toccassero «Ah no!» il palo a cui stava legata riusciva a sorreggerla «Non so se fidarmi di te, non ti comporti come un amico.»

Di contro Torro non la ascoltò, d'altronde solo una strega poteva credere di farsi ascoltare da un aracnide, convinta anche quando Filomeno le ripeteva «Anche se ti potesse capire, è sordo.» il nano condivideva con bestie del genere casa propria, le caverne, e sapeva per certo che lo strillo peggiore non avrebbe scacciato un ragno.

Proprio a strillare cominciò Mavelina quando Torro prese a risalire il ceppo al quale si trovava legata.

«...tortura!» sentivano gridare le guardie, dal piano di sotto.

«Finalmente il sole la sta bruciando.» dicevano tra loro, nessuna col coraggio di salire gli scalini e guardare, sicure di quel che si sarebbe visto, le ossa di una strega, con ancora i capelli in testa, che si sbriciolano sotto i raggi solari.

«Legata con gli insetti, è una tortura!» Mavelina risalì il palo con le corde che la stringevano, come i boscaioli con gli alberi, raggiunse la cima perché Torro non arrivasse a toccarle la punta dei piedi.

«Uoh!» sulla cima le corde si sfilarono e lei volò sul pavimento del patibolo, la botta le tolse il fiato tanto quanto la sorpresa. Torro le raggiunse la testa, posata a terra, e si piazzò di fronte al suo viso.

«Amico mio, non avevo capito che volessi liberarmi.» annuì «Ti riammetto nella mia tasca.»

Sulla cima della torre tornò la quiete e tutte le guardie corsero su, per guardare la cenere annerire il patibolo con la sagoma della strega, invece non trovarono nulla

«Il sole l'ha polverizzata.» asserì una di queste «Non doveva andare a fuoco?» domandava un'altra mentre Mavelina in punta di piedi passava alle loro spalle.

Coi polsi legati dietro la schiena scendere i gradini le mise le vertigini, uno più alto uno più basso, si sentii fortunata a raggiungere il piano di sotto senza rotolare.

«Lo fanno apposta» parole di Fedele in bocca a lei «nei castelli è sempre difficile muoversi per gli invasori.» pronunciate quella volta nel castello del re «Bisogna solo usarle a proprio vantaggio.»

«Va bene.» Mavelina rilesse nella propria mente le carte a sua disposizione «Ci sono delle armi.» sfilata una spada dalla propria guaina tagliò le corde dai propri polsi «Non capisco perché non mi abbiano legato i piedi. Dilettanti. Ora le porte.» chiuse l'accesso al suo piano e l'accesso alla cima della torre, un attimo dopo ecco che qualcuno cominciava a bussare

«Capitano?»

«Capitano» lei gli fece il verso «Ora devo trovare il mio cappello.» scoperchiati tre bauli lo trovò solo nell'ultimo, ne dovette sfondare il chiavistello per aprirlo. Posato sul fondo e tenuto da solo, il cappello riluceva agli occhi di Mavelina, come ne vedesse già scaturire magia «Ora il bastone.» ne tirò fuori uno di quelli di riserva, dopo averlo rotto l'ultima volta ne conservava a dozzine lì dentro, ad estrarli sarebbero usciti in ordine di preferenza, dal migliore al peggiore, il secondo posto per quello che ora reggeva in mano, un nodino nero proprio dove lei posava il pollice e quella piega in cima come si trattasse di una testa di serpente «Molto pericolosa.»

«Ferma!» non si accorse della seconda stanza di quel piano e nemmeno che il capitano ci avesse dormito fino a quel momento «Una strega nera ha preso il trono del mio regno» la calzamaglia sollevata a metà sulla vita, il capitano la minacciava con un pugnale «Credi che io non sia preparato a te?»

«Mi hai fatto venire un'idea bellissima.» Mavelina batté il bastone sul pavimento, le ombre di quel luogo si sollevarono da terra e investirono il capitano come un'onda di piena.

Quando un macigno precipita da un dirupo questo batte il terreno come un martello sul petto di un nano, un forte tonfo, e nulla di rotto, inoltre il macigno si crepa prima della terra e così anche il martello prima delle membra di un nano.

Tuttavia nessuno poteva sapere cosa accadesse quando un nano precipitava dal dirupo di una montagna, il confronto tra terra e nano doveva assomigliare all'urto tra incudine e incudine. Poi, nel caso di Filomeno, nessuna cronaca di questo mondo raccontava di un nano sconfitto in battaglia e, quelle cronache che lo raccontavano, raccontandolo ammettevano la loro falsità.

Non si può dire se Filomeno sarebbe stato il primo nano raggiunto dalla sconfitta, tuttavia per primo sperimentò la durezza di un nano contro la durezza della terra. A mo' di meteora si schiantò sul terreno e questo cedette sotto di lui, al suo cadere si aprì in una profonda voragine, arrestato soltanto dalla superficie di un lago, una fonte nel sottosuolo che lo lasciò sprofondare dentro di sé finché, posati i piedi sul fondo, questi non si arrampicò per risalire fino alla sponda asciutta.

«Puah!» riprese il respiro «Sono in una caverna.» dal buco da cui proveniva volavano nell'acqua i mostri della strega «Quando mi chiederanno se la caverna c'era anche prima che cadessi, risponderò di no.»

I mostri della strega si sollevarono dalle acque e lui li distrusse uno ad uno, l'ombra dava loro un potere ancor più grande, senonché il terreno sconnesso e un soffitto di pietra sulla testa mettevano nel nano la forza di un titano.

Tesa la mano sul volto di un mostro poteva accartocciarlo sotto le dita, battuta la fronte sul petto di un altro glielo poteva rigirare in dentro, colpo dopo colpo la sua forza mise paura all'oscurità e quei mostri si ritrassero, come se riconoscessero qualcuno che appartiene a profondità più oscure delle loro.

«Grotte, caverne e cunicoli, tipico delle falde acquifere, anguste e labirintiche» la morte per chiunque non abitasse le grotte fin da neonato, e per chiunque misurasse più di un metro e mezzo, quell'ambiente però apparteneva al nano «La muffa mi fa sentire a casa.»

Gli apparteneva tanto da lasciargli notare alcuni dettagli fuori posto, in quel buio panorama, qui un cunicolo asciutto, di contro a tutti gli altri, umidi da gocciolare, lì un cunicolo ruvido, senza la levigatura dell'acqua in piena, là invece uno sciamare di insetti, e sul soffitto, Filomeno ci lanciò un sasso, nemmeno un pipistrello.

«È una grotta chiusa al cielo, con acqua, insetti, e una via asciutta.» imboccò proprio quella e la seguì per un lungo cammino, completo di soste, e dove la via si diramava lui sceglieva con sicurezza, giacché vedeva nitide le tracce di qualche artificio sconosciuto. Andò e andò finché non trovò un deposito.

Lui stesso raccontava che un nano, a colpo d'occhio, potesse distinguere il bagliore di un granello d'oro in mezzo a un mare di ghiaia, con orgoglio e contegno l'avrebbe raccolto tra due dita, tutt'altra reazione quando i suoi occhi batterono su un deposito d'oro, manufatti, coppe, candelabri, anelli e collane, si sarebbe dovuto sforzare per vedere un granello di ghiaia in quel mare di gioielli.

Una montagna d'oro, per darle una definizione più piacevole al nano, quel nano che ora ci camminava sopra e la risaliva, col tintinnare acuto delle coppe spostate dai suoi stivali e il rotolare di monetine nelle quali le sue mani affondavano, un piatto dorato posato in equilibrio sul culmine di quelle ricchezze e lassù lui voleva arrivare per agguantare proprio quello che stava in cima.

Sollevato il viso su quel piatto, spalancò le palpebre «La mela d'oro...» in realtà il piatto ne conteneva tante da farne una montagnola «Le mele.»

«Chi sei tu» brontolò una voce «che tra tutte queste ricchezze punti ai miei pomi d'oro?»

«Sono un nano dei più terribili, guardiano del tesoro, se vuoi combattere ti è capitato il tipo giusto.»

«Oh no.» sul fondo della montagna d'oro un anziano chino sotto il peso del mantello, si reggeva a malapena su un bastone che picchiò per terra «Questo tesoro si difende da solo» a quel colpo tutto l'oro divenne una montagna di pietre e ghiaia «Chi venisse qui a rubare porterebbe via pietre. Tutti tranne coloro che prendano il piatto di mele.»

Filomeno notò che solo quello ancora rimaneva oro, di come non avesse distinto l'illusione su tutte quelle pietre gli venne presto la risposta «Usate la stessa magia di una mia amica strega.»

«Amica?» gracchiò l'anziano «Non la Regina Nera spero.»

«No.» Filomeno afferrò il piatto di mele e scese giù «Questo me lo porto via, perché è importante per me.»

«Non puoi.»

«So benissimo che la tua magia è solo illusoria e pure so che i mostri dell'oscurità devono solo temere i nani. Quindi...»

«E come farai a distinguere la mela giusta?»

Il nano corrugò la fronte «Se anche ne stessi cercando solo una, per quanto tu ne sappia, so come distinguerla.»

«La metterai alla luce della luna» confermò il mago «E Cornelia la Celeste apparirà a te. Lo so.»

«Non mi spaventare, anziano signore di questa grotta, potrei dare di matto e levarti le ossa dal corpo con un pugno.»

«Ti chiedo solo di pazientare.»

«Ho degli amici che devono gioire per la mia formidabile scoperta» Filomeno sollevò il piatto «Quindi addio.»

L'anziano tuttavia insistette «E quando quegli amici ti chiederanno come potreste levare la maledizione a Cornelia? Il tuo merito sparirebbe presto.»

«E tu sapresti come, anziano?»

«Chiamami Ero» il riflesso di un sorriso luccicò nel buio sotto al cappuccio, Ero, la terza persona coi poteri dell'ombra che Filomeno venisse a conoscere e la seconda che era tentato dal lasciare in vita.

«Ero» il nano gorgogliò quel nome come ringhiasse «Ho già sconfitto uno stregone delle ombre e della paura, un maestro si diceva, prova a giocarmi un tranello soltanto se vuoi morire.»

«Il tranello lo giocherò alla Regina Nera e voi mi aiuterete. Lei infatti è l'unica a poter sciogliere la maledizione della mela d'oro. Vi aiuterò a spodestarla, lei ha con questo regno, e con me, un grosso debito.»

«Come lo faresti tu?»

Ero prese a raccontare «La regina cerca la mela d'oro da anni, coi suoi poteri setaccia questa terra e soprattutto ne setaccia le parti più luminose, come quando si perde qualcosa e lo si cerca innanzitutto dove non puoi vedere. In realtà ho raccolto io quella mela, da diverso tempo la nascondo qui. Riesci a distinguerla tra quelle?»

«Questa.» puntò il dito su una.

«L'occhio di un nano.» sogghignò Ero «Però anche la Regina ne sarebbe in grado. Io so che tu hai per amico il principe...» il nano annuì «E anche lui porta la stessa maledizione.»

«Esatto.»

«Bene, dovrai forgiare una mela d'oro identica a quella di Cornelia. Sei un nano, sei l'unico ad esserne capace.»

«Perché dovrei?»

«La Regina non toglierebbe mai la maledizione a Cornelia tuttavia sarebbe disposta a toglierla al principe se in cambio le restituissimo la figlia.»

«Principe Lisifilio non ammetterebbe mai di restituire Cornelia e liberarsi lui, è un principe.»

«Infatti noi metteremo alla prova la Regina, le diremo di togliere la maledizione solo a una delle due mele, gliele porgeremo assieme, lei dovrà scegliere quale e l'altra se la potrà riprendere.»

«E se scegliesse quella sbagliata?»

«È qui che il nostro nano entra in ballo.» la voce del vecchio si fece dolce, sempre più conturbante, sempre più amichevole accompagnata da quel famigliare rimbombo di caverna.

«Nella mia banda chi ha le idee è un mio amico.» Filomeno pensò a Fedele e quanto lontano fosse in quel momento, può darsi lontanissimo visto quanti mostri c'erano e quanto veloce sapeva correre «C'è qualcosa che non mi quadra in questa idea. Vorrei discuterne con lui prima di fidarmi.»

«Vedrai, sarete tutti d'accordo con me. Si tratta solo di far togliere la maledizione dall'unica mela dalla quale la Regina non vorrebbe toglierla, quella di Cornelia.»

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