33) Cornelia e dove immaginare la sua mela d'oro

Una radura di alberi appena abbattuti, ingombrata dai loro rami protesi, le loro fronde rigogliose non riuscivano più a nascondere un sole splendente. Il resto della foresta cingeva con le ombre quel luogo, lo circondava degli esseri che nascondeva e del loro lamentio.

Lisifilio ripose la spada nella guaina, vi chiuse il laccetto sopra la guardia, di fronte a lui Filomeno addormentato su un ceppo, l'ultimo di tanti, nel quale stava ancora conficcata la sua ascia. Profumo di resina e odore di segatura, quello spiazzo sapeva di segheria.

«Degno di un boscaiolo baciato dagli angeli...» sussurrò il principe mentre posava la propria mano sul pettorale del nano.

«Manico di ferro» bofonchiò quello, prima di tornare a russare, un gorgoglio che assomigliava al russare di una bestia oppure, con un po' d'immaginazione, al sospiro del vento in una caverna, mescolato col frusciare di un torrente sotterraneo e il gocciolare delle stalattiti.

«In un attimo è diventato più pericoloso dei mostri» sussurrò Fedele, seduto su un tronco ancora fresco, tendeva le mani su un fuoco di foglie verdi «Ben tornato, Lisifilio.»

«Mavelina?» vide la ragazza sdraiata lì accanto, coperta dal mantello di Fedele.

«Sta bene. Ha solo sonno: la notte qui non si può dormire.»

«Quante notti sono passate?»

«Alcune. Dicevo: d'un tratto Fil si è messo a girare con l'ascia, a un certo punto gli alberi che cadevano sono diventati più pericolosi dei mostri.»

Lisifilio riconobbe lo sfrigolare di pelle bruciata e il gemere acuto che proveniva, lieve lieve, dalle ombre della foresta «Sono ancora lì?»

«Provano a bruciarsi un pochino, ma al sole non vengono: possiamo riposare fino al tramonto.»

«È una condanna: i mostri vivono dove io proprio non posso esserci, non potrò mai aiutarvi.»

«Sei qui con me, no?» Fedele si fece di lato e gli mostrò uno spazietto sul tronco, lì dove le braccia potevano raggiungere il fuoco «Non me la sentivo proprio di dormire, non con tutta questa luce. È mattino da un po', ma sei apparso solo col sole diretto: ti stavo aspettando.»

Piegate le ginocchia, abbandonato a sedersi sul tronco, Lisifilio non sentiva sonno, né calma, ancora viveva l'ingresso nella foresta, per lui solo pochi attimi prima, ancora viveva quella carica di orrori infernali che correva contro di loro, ancora sentiva lo spirito che pulsava sangue eccitato nelle vene, la sua spada sembrava chiamarlo per la sete e i suo muscoli gonfiarsi di acido per tutti i colpi che non avevano menato.

«È l'ora di riflettere e immaginare, compagno Lisifilio» fece Fedele «Il mattino presto, quando gli altri dormono, quando il mondo non canta ancora nessuna storia, gli uccellini già cantano e chi è sveglio riflette e costruisce le proprie storie.» sogghignò «Gli uccellini già cantano, eccetto per questa foresta.»

«Rifletti sulle storielle? Su qualcosa da raccontare a Mavelina?»

«Riflettiamo su Cornelia la Celeste.»

«Cornelia...» il principe abbassò gli occhi, nella sua memoria lampeggiò il ritratto di quella ragazza, quello sguardo che le aveva dato una delle ultime volte, prima di essere trasformato in uomo mela. Quel ricordo di lei pareva consunto, usurato dal continuo contemplarlo, sgualcita sui bordi quell'immagine, sbiancata da occhi luminosi nel vederla.

«Solo vedere la tua dedizione nel cercarla, la tua speranza, solo questo mi induce a innamorarmene anch'io.»

«Non è solo bella.» Lisifilio prese un respiro per darsi la forza di reggere le palpitazioni «In sé porta un miracolo, una fanciulla tanto genuina nata da una strega tanto terribile. Mafalda è una regina nera. Basta questa foresta a svelare l'indole maligna di quella strega.»

Annuito a fondo, Fedele ravvivò la fiamma del fuoco, vi aggiunse due fasci di sterpaglie e due tronchi, spessi che potevano bruciare fino a pranzo, tratteneva tra le labbra un discorso importante e sapeva gli sarebbe servito tempo per darlo al principe.

«Lisifilio, in questa compagnia sono quello che si fa venire le idee.»

«Lo so.»

«Sono quello che riflette, sono quello che immagina. Non dico che io sia l'unico capace, ma so di doverlo fare, so che gli altri contano che io lo faccia.»

«Anche io ci conto, Fedele. Cosa vuoi dirmi?»

«Ho immaginato molti risvolti di questa storia, molte vie per la sorte di Cornelia. Molte di queste sono oscure, molte di queste devi saperle.»

Una stretta alla gola, il principe prese in mano un rametto e cominciò a levarne le foglie «Credo...» una a una le posava nel fuoco «Credo che molte di queste le abbia immaginate anch'io. Raccontami.»

«Per prima la vostra maledizione: tu non sai quanto tempo sia passato da allora, ma questa enorme foresta è cresciuta senza di te, ne deve essere passato molto, la trasformazione in mela vi fa saltare distante nel tempo ma non vi fa saltare assieme.»

«Quindi?»

«Quindi se Cornelia fosse rimasta umana più a lungo di te, ora potrebbe essere già anziana.»

«Potrebbe essere già scomparsa.» scandì il principe «Tranquillo, ti aiuto io a lanciare questi macigni. Conosco già quanto è maledetta la sorte del nostro amore.» deglutì «Hai altre ipotesi? Dimmele senza paura.»

«D'accordo.» Fedele gli strinse la spalla «Mafalda, la regina nera deve essere ancora in vita, questo lo dimostrano i suoi mostri sparsi per la foresta oscura, forse è vecchissima e sopravvive grazie a qualche fattura, ma c'è una cosa che abbiamo notato io e Mavelina: la FFO, questa foresta, sembra una barriera perfetta a tenere lontano te. Pensaci, una cinta d'ombra che ti impedisce di passare e un'orda di mostri che uccida chiunque ti ci accompagni.»

«Dite?»

«Potrebbe significare che la regina ti odia ancora, e soprattutto che ti teme ancora. E se ti teme ancora, significa che ancora potrebbe non aver trovato la mela di Cornelia.»

«Cornelia è ancora perduta?»

«Di questo sono certo: andare al castello nero non ce la farà ritrovare.»

Uno scoppiettio nel tronchetto umido di linfa, il grido roco di un mostro ossuto, laggiù dietro quell'albero, e gli occhi dei due ragazzi corsero al cielo, a quella nuvola intenta a far rotta proprio sul sole, per coprire la radura con la sua ombra.

Lisifilio toccò l'elsa, prima di ricordarsi di essere destinato a scomparire, Fedele si preparò a scrollare Mavelina e tenne d'occhio la schiera di mostri, pronta ai confini della radura.

Inerme, Lisifilio si alzò per posare i piedi nella sacca del nano, lì dove sarebbe caduta la mela al suo scomparire, poi sollevò il naso e attese. Quella nuvola lambì il disco del sole, lo carezzò sfilacciandosi su di lui, ancora non lo coprì, ci danzò attorno si spezzò e poi si dissolse, senza togliere loro alcuna luce.

Il principe guardò i propri piedi infilati nel sacco e sentì quella goccia di sudore dalla tempia raggiungergli il collo «Come sono ridicolo. Non pensavo che una nuvola mi avrebbe mai fatto tanta paura.»

«È perché non hai mai viaggiato per mare.» fece Fedele.

«E invece ti dico che molte storie ci giungevano dai mari del nord, di quanto facessero paura le tempeste. Al castello giungeva molta cultura, un tempo.»

«Allora» riprese Fedele «se Cornelia è perduta sotto forma di mela, vuol dire che la luce delle stelle non la riesce a toccare, allo stesso tempo significa che nessuno dei servi della regina nera l'ha ancora trovata. Mi immagino una grotta molto nascosta, le falde sotterranee di un fiume, oppure le mani di qualcuno di molto consapevole, perché sa cos'è la mela, e molto potente, perché sfugge ai mostri.»

«Qualcuno al pari della strega magari, un druido, un mistico, con magari un covo in un luogo dove gli alberi non arrivano fitti: il picco di un monte scosceso?»

«Oppure» Fedele annuiva e ancora le sue idee non smettevano di fluire «Se Cornelia non è rimasta solo mela, allora per qualche motivo non è tornata dalla madre: potrebbero averla rapita, qualcuno capace di imprigionare lei e al contempo difendere la prigione dalle forze della strega, oppure potrebbe non voler tornare dalla strega.»

«No.» intervenne Lisifilio «Lei ama Mafalda, per lei è sua madre, nemmeno conosce la sua identità da strega. E comunque hai mancato un'ipotesi: potrebbe essere tornata umana ed esserle capitato qualcosa... essere morta.»

«Questa ipotesi l'ho scartata di proposito, Lisifilio.» gli posò le mani sulle spalle e lo guardò negli occhi «Io credo che l'amore e il romanticismo siano sacri, sono un poeta, perciò non posso credere che per un amante come te non possa esistere soddisfazione, non è possibile per me.»

«Solo perché amo tanto? Solo quello dovrebbe bastare a sperare nel miracolo di ritrovarla?»

«Perché no? Se l'amore proviene da sopra ai più alti seggi degli angeli, se quell'amore è cantato al tuo cuore con la voce più dolce, se quell'amore ti conferma, fermo e chiaro, un solo nome... »

«Cornelia. »

«...allora non può essere tutta una menzogna.»

«Che parole solenni.»

«Parole solenni? Se non per l'Amore allora per cosa vorresti spenderle?» con un sorrisetto in viso, Fedele cominciò a giocherellare con un bastoncino sui tizzoni, i propri discorsi parevano dare sollievo a lui stesso, tanto che gli suscitavano altri aneddoti e altre storie «Ti ho raccontato quella dell'illuso che si illudeva di essere un illuso?»

«No.»

«Praticamente un innamorato che non aveva voglia di sperare. Parla di una carota, un mulo e una seggiola vuota. La vuoi sentire?»

Lisifilio acconsentì e Fedele tirò fuori dalla propria biblioteca interiore, tanti racconti, tanti aneddoti da riempire la giornata e addirittura indurlo al sonno, sul far del pomeriggio Fedele si addormentò. Rimasto solo il principe vegliò sui tre compagni, attento che i raggi del sole non mancassero, attento che il suo tramontare dietro agli alberi non venisse senza che lui se ne accorgesse, li avrebbe svegliati di lì a poco, li avrebbe svegliati per lasciarli viaggiare da soli, un'altra volta nella notte della Fitta Foresta Oscura, inseguiti da mostri e lupi, per portarlo in contro a Cornelia La Celeste.

«Celeste» come la volta di quelle stelle che le permettevano di comparire «Cornelia» dapprima dal suono ruvido, come il nome di una strega, poi tintinnante nelle orecchie che lo sanno ascoltare, dolce in quelle di Lisifilio, che ne conoscono l'origine e la proprietaria.

Pensando queste cose odiò Mafalda, la madre di lei, ancor più del solito. Si chiese perché costringere tutto il regno a questo, perché dividere, perché rompere, perché nascondere Cornelia.

«Perché nascondere Cornelia?» sussurrò tra sé «Aspetta...» una domanda ben più importante si compose nella sua mente, qualcosa che gli sembrò assurdo non aver pensato prima «È Mafalda ad avermi maledetto, lei mi ha trasformato in una mela d'oro, perciò potrà anche togliermi la maledizione. Ma allora perché non l'ha tolta a sua figlia?» gli rimase la bocca aperta «Non poteva?» non ci credette «Molto più probabile che non volesse.» spalancò anche le palpebre «Se non vuole sarà perché è stata lei stessa a lanciarle la maledizione.»

Una congettura che pareva posare tutti i tasselli al proprio posto, meno quelli mancanti, quelli che potessero spiegare le ragioni di Mafalda «Una strega pazza» troppo facile da dire, poco sensato, ma lì per lì ci volle credere. Il tramonto si avvicinava e il groviglio dietro le ragioni di Mafalda era un pensiero che non voleva aggiungere, non poteva aggiungere quel peso all'incubo della foresta.

«Ragazzi» li scrollò «Sta venendo buio. Buona fortuna.»

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