22) Parla tanto ma non dice tutto
Una natica sul davanzale, un piede sullo stipite della finestra, la testa posata sull'altro e lo sguardo perso, perso sull'orizzonte coperto di nuvole «Col tramonto verrà a piovere.»
«Solo un fabbro?» sbraitò Filomeno da dentro «Solo un fabbro?»
«Cos'hai Fil?» voltata pian piano la testa trovò un frate col grembiule da fabbro ritirato in un angolino, gli occhi a palla su quel nano che aveva invaso il suo laboratorio.
«Qui non basta un fabbro!» Filomento lanciò un martello sul muro, prese la cassa degli attrezzi e la rovesciò per terra «Qui ci vuole un maniscalco, un esperto in muratura e qualcuno che riprogetti questa fucina a partire dal forno.» lanciò nel forno alcuni attrezzi in legno «C'è pure robaccia da falegname.»
«Io faccio anche falegnameria, maestro nano.» balbettò il frate.
«Falegnameria?» la faccia accigliata del nano abbrustolì il frate con gli occhi, colato contro il muro lo ridusse col sedere a terra.
Filomeno gli salì in piedi sulle ginocchia, l'indice teso «Tu diventerai un vero fabbro, ti picchierò col martello, ti temprerò con l'acqua gelida, dimentica il legno.»
«Maestro nano, qui il legno serve.»
«Avrete porte di ferro, cucchiai di ferro, tavoli di ferro, panche di ferro!»
«E da dove prenderemo tutto quel ferro?»
«Fratello» intervenne Fedele «Non costringere il mio nano a trasformare in minatori tutti i tuoi amici.»
«Il ferro lo abbiamo» si ravvide il frate «Non vi preoccupate.»
«Ci sarà tanto lavoro da fare, Fed.» il nano scese dalle ginocchia del poveretto e col viso imbronciato prese a studiare i mattoni del forno «Dovremo tardare un po' sul viaggio.»
Fedele sollevò le spalle, e tornò col viso al paesaggio melanconico delle nuvole grigie. Il tepore uscito dal forno gli carezzava la schiena, e più quella foschia assomigliava a pioggia più l'indugiare sulla soglia del rifugio lo rilassava.
«Devi stare proprio qui tu?» domandò Filomeno «Qui abbiamo da lavorare davvero, quindi non c'entri niente.»
«Questa è l'unica imposta aperta di tutto il convento.»
«Perché fa caldo.» si giustificò il frate.
«Siamo su un colle» Fedele tese la mano fuori dalla finestra «Alti il giusto per vedere oltre la cinta: sta per piovere, non vorrei che Mavelina tornasse indietro e rimanesse al freddo.»
«Con tutte le notti che abbiamo passato al freddo» Filomeno si batté le mani dalla polvere «Sopravvivrà.»
«Ma!» Fedele saltò giù dal davanzale «Non esista su questa terra che io goda il caldo e il mio amore patisca il gelo.»
«È semplice: vai fuori e patisci il gelo anche tu.»
«Nah. Non è questa la soluzione.»
«Fuori, Fed!» il nano infilò la mano nel forno, tirò fuori dei tizzoni incandescenti e li lanciò su Fedele «Fuori!»
«Ahi!» gridò come una donzella inseguita dai ratti «Ahu!» Fedele scappò fuori dalla fucina, non gli rimaneva che dar fastidio al custode della porta, oppure esplorare le cucine, tuttavia trovò una porta aperta e uscì nel cortile, di nuovo sotto quelle coltri grigie, un brivido, sfregò la pelle d'oca per levarla dal gomito.
«Mavelina.»
«Regola numero uno delle sorelle: fare silenzio» Mavelina sussurrava «Regola numero due: tenere pulito il giaciglio.» rannicchiata sul pagliericcio, stringeva i talloni contro i glutei, le scarpe lasciate dall'altro lato dello stanzino «Regola numero tre: non disturbare le monache, nemmeno se hai paura... o quella era la quattro?» stringeva il pomo d'oro in una mano e fissava la porta e poi la finestra, senza battere le palpebre.
Lo stomaco le brontolò, col polso premuto sotto lo sterno per trattenere la fame, strizzò gli occhi ma le sue orecchie colsero un cigolio dall'imposta.
«È il vento.» si impose di credere «È il vento.»
L'imposta si aprì e un'ombra entrò nella stanza. Mavelina scaraventò il pomo d'oro su di lei.
«Tac!» Fedele lo prese al volo «Non me lo aspettavo, ed ero al buio, questo è un dono.»
«Fedele, fa silenzio!» saltò in piedi e lo strinse al collo «Mi hai spaventata.»
«Introdursi in un convento di clausura è la cosa più eccitante e sbagliata che abbia mai fatto.»
«Perché lo hai fatto?»
«Volevo vederti.»
Mavelina nascose gli occhi sul suo petto, il buio dentro un abbraccio è quello che preferiva «Sei un furfante buono.»
«Hai mangiato?»
«Pane inzuppato in acqua fredda e avessi visto come mangiavano volentieri quelle suorine.»
«Ho fatto una visita alla cucina dei frati prima di venire» tirò fuori dalla manica una caciotta, un tozzo di pane e un barattolo di miele «I frati si trattano meglio allora.»
Le unghie nere di Fedele spiccarono sulla crosta lattiginosa della caciotta, le nuvole lasciavano filtrare in chiarore della luna, strappò al formaggio un boccone, ne inzuppò il bordo frastagliato nel miele, dal barattolo appena scoperchiato da Mavelina
«Tieni» glielo porse,
Lei lo afferrò tra due croste di pane «Grazie.»
«Vuoi sapere una cosa divertente? Non ho azzeccato la tua finestra al primo tentativo.»
Mavelina diede dei colpi di tosse «Il miele pizzica la gola» deglutì e si strappò un altro pezzo di formaggio «Ti prego continua.»
«Ho aperto una imposta e ho sentito "Fredrick sei tu?"»
«Fredrick? E chi sarà questo Fredrick?» nascosta la bocca dietro il dorso della mano, rise coi denti impiastricciati di cibo.
«Alla seconda finestra mi ha beccato subito una vecchia.»
«Uh! Mica con la punta del naso bassa e le labbra all'ingiù?»
«Sì.»
«Era il capo del convento!»
«Ahahah!» Fedele si ribaltò sul giaciglio.
«Cosa le hai detto?»
«Innanzitutto si dice priora.»
Gli tirò un pugno sulla gamba «Cosa le hai detto?»
«Le ho detto: Salve sorella, sono san Fedele di Gambagamba emissario dall'alto...» notò la ragazza paralizzarsi con la bocca aperta «Mavelina sto scherzando, calmati. Le ho detto che cercavo te e lei mi ha indicato la finestra giusta: "Ma non andarci assolutamente, altrimenti ti scomunico, ti faccio cacciare e ti faccio arrestare, questo è un ricovero per signore e tu... e altre cose. Nulla che un baciamano non possa risolvere.»
«E glielo hai dato?»
«Vuoi sapere proprio tutto, tesoro.» sospirò e assunse quella posa nella quale l'ispirazione fluiva attraverso di lui e il suo corpo sembrava aprire le ali «Le ho declamato una poesia.» con una gamba tesa e una piegata, il gomito sul ginocchio, le spalle e la testa contro la parete e gli occhi rivolti in alto, di nuovo gli parve di vedere il cielo stellato, oltre il soffitto e oltre le nuvole «Le ho detto: Una donna bianca riversa sul... aspetta non me la ricordo bene. Più che una poesia era un aneddoto:
Vidi una donna di nivea pelle vestita a nozze al suo funerale. La vidi rigida sul suo ultimo letto, bella che ne invidiai il marito, graziosa che mi volli sdraiare accanto.»
«Chi era?» lo interruppe Mavelina.
Lui le sorrise a denti stretti «Era una suora. Provai a baciarla, la gente al funerale mi fermò, mi mise ai ceppi e mi bastonò per sette giorni.»
«La stessa cosa che ti farebbe la priora se ti sapesse nella mia stanza.»
«Alla priora ho detto: Mi perdoni, ma se Dio stesso aveva ammirato tanta bellezza in quella suora, tanto da portarla a sé, come potevo io misero uomo rimanere indenne a tanta bellezza. Anzi: solo io ho guardato quella suora con gli occhi di Dio, mentre gli altri vedevano soltanto un velo e una tonaca».
«Fed! Più parli più riesco a immaginarmi la priora con un randello in mano.»
«Sì, infatti sono dovuto scappare. Ma...»
Qualcuno bussò alla porta. Mavelina lanciò la caciotta a Fedele e si precipitò con le mani sulla maniglia, poi ci voltò la schiena e premette per tenerla chiusa. Sibilò «Vai!» mentre sventagliava una mano verso la finestra.
Fedele saltò sul davanzale «Addio, graziosa signorina.»
«Non bloccate la porta!» la priora spingeva con la forza di un toro «Dov'è?» cacciò dentro il braccio teso col lume, lo passò due volte sotto il naso della ragazza prima di avviarsi alla finestra. Sporta fuori, la tonaca le scopriva le caviglie, morbidi e rugosi quei talloni che conoscevano solo le solette dei sandali e le lunghe passeggiate nel chiostro.
«Non cadete di sotto, madre!» due consorelle la seguivano, preoccupate che a stento trattenevano la voce «C'era davvero?» una si rivolse a Mavelina «Davvero c'era un uomo?»
«Tacete!» la priora batté il tallone «Sorelle, ritiratevi nelle celle, veglierò io sul ricovero stanotte.»
«Sì, madre.»
La priora posò il lume e serrò le imposte, poi uscì dalla stanza e chiuse la porta, un attimo dopo la aprì Fedele ed entrò.
«Ci sono due signore di sopra che viaggiano verso nord e una ragazza che non ha casa. Questo posto è enorme.»
«È uscita ora la priora!»
«L'ho vista.» tirò fuori una pera da sotto la camicia «Le anziane non guardano mai in alto quando cercano qualcuno» tolse il picciolo per addentare la punta del frutto «Sarà per i dolori alla schiena.»
«Fedele, perché sei qui?»
«Dio ha lasciato sulla terra una sua creatura, bella come le sue spose» alzò gli occhi su di lei «io penso l'abbia lasciata per me, per il mio rammarico di quella volta .»
«Queste cose di Dio funzionano con le suore, Fed, io sono un'incantatrice.»
«Ti sbagli, non è con le suore che funzionano.»
«Fed...» Mavelina coprì il viso con le mani, le guance così calde temeva si vedessero rosse anche al buio «Perché sei qui?»
«Per te, non si capiva?»
«Voglio dire perché sei qui con noi, perché viaggi? Sei un esule, come il nano? Sei un dannato, come il principe? Sei un orfano dall'arte inutile, come me?»
Strette le labbra e voltati gli occhi, Fedele tirò indietro la schiena, si separò da lei e si prodigò in un inchino «Sono Fedele di Gambagamba, un po' ricercato, un po' giullare, un po' fifone.»
«E poi?»
«Cos'altro c'è da sapere?»
«Ti descrivi ma non ti riesco a vedere, mi manca qualcosa di te che non vedo.»
Aperte un'ultima volta le imposte, si sporse per adocchiare gli appigli per la discesa. Chissà perché quel convento si poteva permettere di alloggiare i viandanti al terzo piano, forse si trattava del piano più freddo. Con la poca luce non si poteva fidare di nessuno di quegli appigli, conveniva tastarli prima di posarci il peso.
«Fedele» Mavelina lo chiamò di nuovo a sé «da dove esce il tuo spirito, la tua personalità, da dove esce quella stravagante vena poetica?» gli vide le guance tirare le redini ai muscoli, gli occhi fuggire, le narici contrarsi «Serve per nascondere qualcosa?»
Lui tirò un sorriso «Continua a pensarlo, mi fa misterioso, vero?» issato sul parapetto sporse il sedere in fuori, con la mano sull'architrave «Saluti a voi, donzella.» le lanciò quel che restava della pera «Per voi, la prossima volta sarà una rosa.»
Mavelina storse il naso e sogghignò, nell'aria aleggiava della paura, lei ne raccolse il potere e tramutò l'immagine della pera in quella di una rosa pallida. Risa e sollievo ricevette da quella visita clandestina, ora lei non provava paura.
«Ma allora chi...» alzò lo sguardo e trovò la finestra vuota, ancora aperta, guardò giù e lo vide, un'ombra che scavalca il muro di cinta «Avevi paura delle mie domande.» bisbigliò.
Fedele camminava spedito su per la collina, coi passi sugli arbusti, non gli interessava il rischio di inciampare, solo sulla cima si volse indietro. Guardò il convento, là dove immaginava la finestra di Mavelina, là dove lei ancora osservava le ombre del colle immaginando di vederlo.
A quella distanza le domande non arrivavano, Fedele immaginò di non allontanarsi più di così e passarci la notte. Poi si mise a piovere, Fedele tornò al ricovero dei frati, Mavelina chiuse le imposte.
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