Capitolo 6

Sto per dire cosa ne penso, quando si avvicina a noi una donna bassa e corpulenta, che si tiene all'ombra la testa, coperta da riccioli bruni, sostenendo in mano un parasole di pizzo nero. Nero come il suo vestito dallo strascico lunghissimo, ricamato con merletti rossi sul bordo delle maniche. L'unica macchia di colore insieme ad una collana di perle che le orna il collo. Ha gli occhi azzurri, come il mare, ma il suo naso adunco prorompe a sovrastare anche le sue curve più armoniose.

«Ebbene? Il ragazzo è arrivato. Ora possiamo concludere la cerimonia?» dice visibilmente scocciata, intuisco dal ritardo di Derrin.

Il nonno annuisce. «Mi rincresce molto per l'imprevisto, governatore».

Trattengo una risatina. Quella donna sarebbe il governatore? 

Mi appoggio la mano alle labbra per nascondere la mia espressione. Non ostentava né aria di saggezza né di autorevolezza, quanto voleva far credere con la sua irritazione. 

«Le rincresce? Veda di continuare cosa deve, e che non sia una farsa come l'anno scorso». Si scosta una ciocca di capelli dagli occhi, con la mano ingioiellata di anelli impreziositi da centinaia di piccoli rubini.

Il vecchio annuisce di nuovo, riponendo in tasca il suo fazzolettino. «Su forza ragazzi, salite a bordo» fa cenno a Derrin, esortandoci a salire sul vascello.

Il governatore si gira verso la folla, che all'improvviso smette di chiacchierare, suonare o ballare, come se tutti i presenti la tenessero d'occhio per sapere cosa fare.

Derrin mi afferra di nuovo la mano e mi conduce verso un piccole ponte di legno che collega lo scafo della nave alla piazza, arrestando la corsa del muretto che la delimita dal mare.

Il nonno tossicchia, schiarendosi la voce. «È per me un onore, che i miei concittadini siano riuniti tutti qui presenti per l'inaugurazione di quella che per me è come una figlia» la sua voce sembra quasi amplificata. Forse dalla struttura della piazza.

«Voglio scusarmi con voi per il leggero ritardo, ma adesso è tutto pronto. L'Aurea Solas si prepara finalmente a salpare, e i vostri occhi saranno i fieri spettatori del primo esperimento più grande che può compiere un uomo. Perché non c'è confine che non si possa raggiungere, se davvero si crede nelle proprie capacità» continua il discorso e vorrei avvicinarmi all'orecchio di Derrin per chiedergli di cosa sta parlando.

«Vi sono riconoscente di essere qui oggi e vi prometto che questa volta davvero non sarà solo fumo» si porta una mano al petto, in un gesto solenne. Il governatore applaude sull'asta dell'ombrello parasole e viene seguita da tutti i presenti della piazza. Anche se noto molte espressioni piuttosto divertite.

«Direi che hanno di nuovo fatto scommesse» sussurra Derrin malinconico, a denti stretti. Mentre ormai abbiamo raggiunto l'imbarcazione, oltrepassando il piccolo ponte sospeso.

«Tra pochi minuti assisterete a qualcosa di magico» conclude il nonno, per poi girarsi e seguirci.

Alla parola magico deglutisco un boccone amaro e spero di aver fatto bene ad accettare l'aiuto di Derrin.

Sul pontile della nave ci sono degli uomini allineati in righe, ad eccezione di uno con i capelli laccati all'indietro, quasi lucidi, e una striscia di baffi corti e scuri sotto il naso.

Cammina ad ampi passi avanti e indietro, davanti la prima linea di persone, dalle quali si differenzia per la sua divisa bianca che gli cade alla perfezione sulle spalle larghe, dove irrompe una stampa dorata. Sembrano due leoni visti di profilo. I pantaloni fasciano delle gambe muscolose e sembra superare gli uomini più alti di almeno cinque o sei spanne. La prima sensazione che ho è quella di voler tornare indietro e scendere da quella nave. Un alone di durezza risiede nei suoi occhi scuri come l'inchiostro ed ha l'aria di essere una persona severa. Proprio come lo sono i Saggi del consiglio al palazzo di Farvel.

«Sembra che ora siamo finalmente pronti a partire. Per i nuovi arrivati io sono il capitano Antares. Capitano di questo equipaggio di sua Maestà Malia, voi siete i miei uomini e mi aspetto che mi seguiate e obbediate ai miei ordini, con disciplina e rispetto» dice in tono autoritario.

Gli uomini fissano tutti un punto oltre le sue spalle, verso le colonne che delimitano la piazza. Come se fossero statue. Con le braccia intrecciate dietro le schiene.

«Potete rompere le righe adesso, e prepararvi per la partenza». Gira i tacchi degli stivali e si avvicina a me e Derrin.

Il nonno di Derrin però sbuca alle nostre spalle, frapponendosi tra noi.

«Signor Percyval Ortix III» continua «Suo nipote è qui. Siamo finalmente pronti?».

«Sì, capitano Antares».

I suoi occhi neri si posano su di me, facendomi sentire fuori posto.

«Chi è la ragazza?» domanda, aggrottando le sopracciglia e noto che quella sinistra è divisa a metà da una cicatrice bianca. Sembra essere sul suo viso da poco.

«Si tratta di mia nipote, vede lei...» cerca di spiegargli il vecchio.

«È troppo giovane per viaggiare con noi» decreta senza nemmeno lasciarlo terminare «Chiederò ai miei uomini di farla scendere immediatamente».

So che devo prendere in mano la situazione, altrimenti finirò nei guai. Il capitano si sta girando verso due uomini che stanno spostando una cassa rettangolare.

«Mi avete chiesto chi sono» rispondo stanca «Posso anche sembrarvi troppo giovane, ma sono certa che i miei occhi hanno visto cose che voi non potrete nemmeno immaginare».

Si blocca di colpo e volta di nuovo il capo verso di me. Sostengo il suo sguardo per quanto la sua imponenza sovrasti la mia.

«Non si risponde in questa maniera al vostro capitano» dice e una nota di indignazione contorce la sua espressione mesta. Probabilmente non è abituato a essere sfidato o contraddetto.

«Sono una ragazza con tanto spirito di osservazione. Un buon ingegno e anche molto fortunata, se si può considerare una dote» continuo senza badarlo, elencando le qualità che penso di possedere.

«Mi dispiace capitano» mi interrompe Derrin «Vede, mia cugina come tutte le donne, non sa quando starsene zitta, ma cucina molto bene, per questo la portiamo con noi».

«Abbiamo già dieci mozzi per cucinare e rassettare la nave».

«Lo sappiamo, ma lei non sa badare a sé stessa ed io e mio nonno non potevamo abbandonarla da sola. Sa bene anche lei quanto durerà il nostro viaggio, se questo primo tragitto andrà bene».

Cosa? Non so badare a me stessa? Stringo i pugni e trattengo la rabbia.

«So perfettamente badare a me stessa, ho affrontato un drago e...».  

«La porto in cambusa» continua Derrin, ma mi sembra quasi di non sentirla più la sua voce. Mi sento afferrare per le spalle, cerco di divincolarmi ma nemmeno la rabbia è abbastanza forte da darmi energia, così lascio che lui mi spinga verso il retro della nave e poi giù per delle scalinate.

Chiudo gli occhi senza replicare, forse è troppo complicato desiderare che vada tutto bene per una volta. E se stessi solo perdendo tempo a stare lì?

«Adesso bevi un po' d'acqua e ti calmi, va bene?» mi dice gentile, appoggiandomi le mani al bordo di un barile aperto.

Guardo il mio riflesso specchiarsi nell'acqua. I capelli rossi tremendamente arruffati e annodati tra loro. Gli occhi grigi, striati da sfumature d'ambra per colpa dell'astinenza dalla magia. Mi sembro un'altra persona. Ho la pelle incrostata dalla salsedine del mare e un'enorme stanchezza che mi appesantisce lo sguardo, come un macigno. Interrompo la mia immagine, riempiendo con quell'acqua fresca le mie mani racchiuse a coppa. Bevo avidamente portandomele alle labbra e poi mi lavo il viso.

«Ti senti meglio?» mi domanda.

Sollevo lo sguardo e annuisco fissandomi le mani umide, per poi asciugarle strofinandomi i palmi sui pantaloni di cuoio.

«Bene, vedrai che nonno Ox convincerà il capitano a farti restare qui. Anche se sicuramente non gli vai a genio perché sei una ragazza».

«Perché hai detto quelle cose?» lo osservo. Lui si scompiglia i capelli con la mano.

«Dovevo inventarmi qualcosa».

«Se sapevi che andavi incontro a tutto questo, come mai mi hai chiesto di seguirti?» commento la sua poca fantasia e intelligenza.

«A dire la verità non credevo che avrebbero fatto tanti problemi, infine anche mio nonno ha voce in capitolo».

Scuoto la testa scettica. «A me non sembra».

Una voce dal timbro metallico che riconoscono essere quella del vecchio, ci interrompe. «A tutto l'equipaggio, l'Aurea Solas sta per partire, vi prego di sedervi a terra o di tenervi saldamente a qualcosa» ci avvisa e sembra provenire direttamente dalle pareti della nave.

Appoggio il palmo sul legno spoglio del corridoio, eppure sembra normale. Del legno qualsiasi. Da dove sarà venuta la sua voce?

«Va a sbirciare cosa succede. Ti garantisco che sarà spettacolare» mi suggerisce Derrin, facendo un cenno alle scale da dove siamo venuti.

Seguo il suo consiglio e torno al pontile. Il vecchio ha detto di tenersi a qualcosa, così imitando alcuni uomini dell'equipaggio, mi dirigo verso una sartia e l'afferro con entrambe le mani.

Non so cosa dovrebbe succedere. I miei occhi sono fissi sulla piazza al di sotto del vascello. Le persone si distinguono come puntini colorati. Il rumore di una scossa mi fa alzare lo sguardo verso il cielo.

Degli strani fili sono legati agli alberi della nave e li noto soltanto perché dei piccoli lampi violacei ci corrono intorno.

La folla esplode in esclamazioni di stupore.

Mentre la nave sembra sollevarsi e vibrare sotto i miei piedi, accompagnata dallo stesso sciabordio di quando si toglie il tappo ad una vasca d'acqua. Il legno si scalda. Torno a guardare le persone, che dal basso sventolano delle stoffe colorate o saltano gioiose. Riesco a notare la figura nera del governatore, ancora coperta dal suo ombrellino, concentrata a fissare la nave. Lo scafo getta sugli spettatori un'ombra scura che ne delinea la forma allungata. Sembra una nuvola, che come una macchia, oscura per diversi attimi il sole al suo passaggio.

Ci stiamo sollevando verso il cielo. Le persone rimpiccioliscono, fin quasi a diventare un indistinto mosaico di colori ammassati l'uno sull'altro.

 «La prima nave volante della storia e io sono nel suo equipaggio» esclama esaltato un uomo calvo, poco lontano da me, passandosi il palmo sulla testa pelata. 

Stavamo volando... Nemmeno la magia può farmi fare una cosa simile.

Torno a guardare verso il basso entusiasta.

Si vedono la piazza diventare piccola, come un'unghia tagliata, le case intricate sollevate a diversi livelli dalle colline, i tetti spioventi, il porto con le sue bancarelle ed anche la nave a cui ho dato fuoco. Aguzzando la vista riesco a vederne le vele recise e lo scafo ustionato dalle fiamme.

Mi schermo gli occhi dal sole con la mano, mentre con la destra mi tengo ancora alla corda. Mi sento osservata. Mi volto. Il capitano Antares mi studia seduto sulla scalinata che conduce al cassero, la parte sopraelevata del pontile.

Il suo sguardo sembra ancora contrario dall'accettare la mia permanenza sul veliero.

Per ora potevo definire quell'uomo il mio unico problema.

Torno ad osservare gli alberi che abbracciano la città verso nord, comparire lentamente nella mia visuale, man mano che il veliero prende quota.

Probabilmente i miei inseguitori avevano raggiunto il muro che avevo attraversato con la magia.

Ma un senso di tranquillità mi rende rilassata. 

I guardiani di Farvel non possono seguirmi in cielo, a meno che non fossero riusciti ad ammaestrare un drago, e sicuramente quel capitano non sarebbe stato peggio di loro.

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