Capitolo 5
Lui continua a guardarmi sospettoso. «Mi sentirei in colpa, anche se non vi conosco».
«Colpevole? Per quale motivo?» chiedo dubbiosa.
«Per lasciarvi in questo stato».
«Non credevo di far impietosire così tanto». Era vero. Dopotutto avevo solo fatto un bagno vestita, se tralasciavo i fuochi d'artificio, la lama puntata alla gola da quel pazzo e i guardiani che mi braccavano.
«Ma siete fradicia e senza scarpe, che vi è successo?».
«Credo si possa dedurre da sé» gli rispondo enigmatica. Non voglio sputare in faccia i miei problemi al primo sconosciuto che mi passava davanti. Lo avevo già sperimentato e mi aveva puntato un spada contro.
«E non volete lasciare che io vi aiuti?».
«Apprezzo la vostra gentilezza, ma ho altro a cui pensare adesso». Stavo solo perdendo tempo prezioso per fuggire dai miei molteplici inseguitori, perché devo aggiungere alla lista anche il ragazzo che rivuole il suo pugnale, dal momento che sono convinta che la mia sparizione non lo fermerà dal cercarmi di nuovo. «Anzi, se volete essere d'aiuto, mi sapreste indicare una via d'uscita dalla città, quella più veloce da raggiungere da qui?».
«Anche io avrei altro da fare, sarei in ritardo per una festa».
«Perfetto, allora penso che il nostro incontro possa concludersi qui».
Sto per oltrepassarlo, quando lui decide di fermarmi, prendendomi per il polso.
«Le guardie non vi faranno mai passare i cancelli, conciata in quel modo».
«E perché mai?».
Strattono la mano dalle sue grinfie, voltandomi. Lui mi lascia andare con estrema facilità.
«Non voglio offendervi, ma sembrate una stracciona, una poco di buono» pronuncia con incerta timidezza.
«Li convincerò che non lo sono» ribatto convinta.
«Per favore, permettetemi di aiutarvi».
«Ma io non vi conosco e vi sto facendo fare tardi...».
«Nemmeno io, ma...» mi interrompe e gli rispondo fissandolo duramente.
La sua bocca si serra, facendo perdere nel vuoto le parole che sta per dirmi. Come fossero farfalle le cui ali sono state mozzate da una bufera. «Ho solo bisogno di uscire dalla città, ma non mi serve aiuto» gli rivelo ancora, scocciata. «Non vorrei farvi perdere altro tempo».
Annuisce e mi sento meglio sapendo che l'ho convinto. Un bagliore attira la mia attenzione oltre le sue spalle. Da una via laterale vedo sbucare il ragazzo di prima, sempre con i vestiti macchiati e armato ancora della sua spada.
D'impulso afferro il ragazzo che mi sta davanti per il colletto, per trascinarlo con me contro il muro e farmi coprire dalla sua figura.
«Che state facendo?» mi domanda preoccupato, con la bocca a un soffio dalla mia. Ma io gli faccio segno di stare in silenzio, portandomi l'indice alle labbra.
Sento i passi del ragazzo del veliero avvicinarsi. Mi schiaccio contro la colonna che fa da ornamento a quella casa dove mi sono appoggiata, e infilando le dita tra i ciuffi del giovane, distruggo la poca distanza che ci separa. La mia bocca incontra la sua, che con titubanza e insolita morbidezza risponde a quel finto bacio, dato affinché il mio inseguitore non si fermi a controllarci meglio.
Le mani del giovane mi stringono i fianchi, con una stretta calibrata dalla sorpresa della mia avventatezza. La sua lingua non è invadente, al contrario della mia che cerca di far sembrare quel bacio il più vero e intenso possibile.
Solo quando percepisco che lui si è allontanato, senza badarci, riprendo le distanze dal giovane con gli occhi verdi. Il mio cuore smette di palpitare nervosamente, ma mi sento senza fiato.
«Grazie per avermi assecondata» sussurro.
Un bagliore divertito scintilla nei suoi occhi, carichi di una densa meraviglia.
«Stavate scappando da lui?».
Annuisco, mentre sento le mie guance colorarsi di un leggero imbarazzo.
«Mi è sembrato l'unico modo per nascondermi, vi chiedo scusa se...».
Lui sorride e le parole questa volta muoiono dalla mie di labbra. «Siete davvero particolare, non volete l'aiuto di uno sconosciuto preoccupato, ma un bacio sì».
Spalanco la bocca, confusa. «Vi ho puntualizzato che mi serviva come diversivo».
«Mi chiamo Derrin, mi sembra giusto che sappiate il mio nome ora. Posso conoscere il vostro?» mi chiede e noto la vergogna arrossire anche le sue guance.
È giusto dirgli il mio nome? Non penso, sono poche lettere che si portano dietro fin troppi guai.
«Lainnyr» mento, utilizzando l'incantesimo che serve a richiamare la luce. Il primo che avevo imparato.
«Bene, a me sembra che voi abbiate bisogno di aiuto. Ma non insisterò ulteriormente, per cui a voi la scelta».
Aveva ragione. Io ho bisogno di aiuto. Da sola non avrei potuto farcela, purtroppo.
«Non voglio avere debiti» dico chiaramente.
«Non li avrai». Derrin fa un passo indietro, lasciandomi libera di staccarmi dal muro.
Lo squadro dubbiosa. Potevo fidarmi di qualcuno? Posso fidarmi di lui? Sarebbe stato davvero bello non sentirsi più da sola, poter sperare di trovare davvero un nuovo posto dove vivere, lontana dalla magia e da tutti i suoi doveri.
«Conosci un posto dove posso nascondermi per un po'?» chiedo, ancora irrequieta per quel pizzico di fiducia che gli sto dando.
«La mia nave sta per salpare, se non lo ha già fatto. Puoi venire con me».
Oh perfetto. Un altro pazzo che possiede una nave.
Roteo gli occhi verso il cielo.
«Lo so. Si tratta di una richiesta affrettata, dopotutto non so cosa lasciate, partendo con uno sconosciuto come me, ma...».
«Non sto lasciando nulla» accetto interrompendolo «Fai strada».
Se quello era l'unico modo per allontanarmi da lì, allora lo avrei sfruttato senza ulteriori indugi.
Sto per seguirlo verso la direzione da cui è spuntato fuori il ragazzo che mi inseguiva. Ma mi blocco improvvisamente. «Toglimi solo una curiosità. Perché mi vuoi aiutare?».
Lui si ferma con me e sembra riflettere un attimo, fissando la ruvida pietra che compone la strada.
«Perché se qualcuno mi trovasse bagnato, con i vestiti lacerati e inseguito da un tizio armato, probabilmente vorrei un aiuto».
Annuisco e lo seguo, portandomi sulle spalle tutte le mie perplessità.
All'inizio mi sembra che lui stia correndo verso una meta indefinita, girovagando casualmente tra quelle vie intricate. Sono sul punto di pensare che sia tutta una trappola e che ho sbagliato a fidarmi di un ragazzo simile. Ho rinnegato il primo presentimento che avevo sentito, quando adagiando il mio sguardo nei suoi occhi, mi erano sembrati così penetranti e misteriosi alla stessa maniera.
Ma poi mi ricredo, mentre raggiungiamo un'ampia piazza affollata da tante persone vestite in abiti eleganti. Sinuose colonne e sontuose torri di vedetta sorvegliano il semicerchio a forma di luna nascente, che da uno sbocco verso la distesa azzurra del mare. Le striature rosee del marmo bianco sembravano quasi una sorta di ramificazione flebile che si avvolge sulla pietra, come venature di foglie disposte in modo confusionario.
Derrin mi conduce verso la folla festosa, intenta a suonare melodie che non so riconoscere su tamburi, mandolini e arpe. Qualcuno anche si destreggia in passi di danza, laddove le persone lasciano piccoli spazi concentrici fatti per muoversi.
Sul fondale della piazza si notano dei mosaici color oro e smeraldo, che serpeggiano a formare dei disegni, ma non riesco a capire cosa raffigurano. I quadratini frammentati si perdono tra le moltitudini di gambe e calzature dall'aspetto costoso. Anche le stoffe delle vesti sembrano elaborate. Mi ricordavano vagamente quelle intrecciate da rune dei Saggi.
Il chiacchiericcio dei presenti si unisce alla musica, come un sottofondo armonioso e io mi avvicino all'orecchio di Derrin per potermi farmi udire sopra tutti quei suoni.
«Dove siamo?» gli chiedo incuriosita, osservando rapita il volteggio delle gonne colorate di alcune dame che ballano di fronte a noi.
«Questa» mi spiega, facendo un ampio gesto con le braccia «È la piazza principale di Landa. Ogni solstizio d'estate il governatore viene qui e getta un anello nelle acque del mare, affinché sia gentile e favorevole ai suoi viaggiatori».
Che strana usanza. La stagione calda, però, era cominciata già da un pezzo. Almeno a Farvel.
«E ora cosa stanno festeggiando?».
«L'inaugurazione dell'Aurea Solas, la nave costruita da me e mio nonno» risponde pieno di orgoglio.
Tutta quella festa per una nave, mi sembrava ancora più strano. Nemmeno quando un nuovo mago entra in Accademia c'è una simile confusione.
«Li vedi?» mi domanda, indicandomi col braccio dei pali verticali che sovrastano le teste e i cappelli di piume variopinte e fiori degli spettatori.
«Sì».
«Dobbiamo raggiungerli».
Derrin cerca di farsi largo con garbo tra la fiumana di gente e io sto per seguirlo, quando un brivido lungo la colonna vertebrale mi inchioda sul posto.
Chiudo gli occhi e vedo i loro mantelli scuri. I lembi che svolazzano nella via racchiusa tra case marmoree.
Sono loro. Sono vicini.
Sanno dove mi trovo. Sentono l'odore della mia magia. Arrivano a prendermi.
Vedo Derrin che si è voltato verso di me. Mi fa cenno con la mano di seguirlo.
Provo a muovere dei passi, ma mi sembra che le persone siano statue pesanti che mi cadono addosso e vogliono stritolarmi sotto il loro peso. Sgomitando quando non si spostano, troppo presi dalle loro conversazioni, riesco a raggiungere Derrin. Si è fermato ad aspettarmi.
Sento che mi afferra saldamente la mano, mentre io quasi mi sento improvvisamente soffocare.
«Lainnyr va tutto bene? Ci siamo quasi, non restare indietro».
«Sì» mento in un sussurro, che non credo abbia sentito. La voce di qualche ragazza lo chiama da lontano e di seguito capisco anche alcuni brutti commenti sul mio aspetto.
Ma lui non si ferma e continua a trascinarmi dietro di sé.
Finché finalmente superiamo la calca di persone ammassate su quella striscia curva di marmo e arriviamo sulla sponda del mare, delimitata da un muretto di pietre.
Una nave senza vele è ormeggiata proprio davanti a noi. Troneggia in tutta la sua grandezza con lo scafo di legno chiaro, quasi bianco.
Un vecchio ci viene incontro, con l'aria corrucciata e trafelata allo stesso tempo. Ha le guance rosse sulla pelle chiara. Una barba argentea che gli arriva fino al petto e i capelli schiacciati che gli incorniciano il volto rugoso. Un cappello di cuoio marrone, con legato sopra un monocolo al cinturino, gli lancia un'ombra mesta sugli occhi della stessa sfumatura verde di Derrin.
«Figliolo, sei in ritardo» gli dice nervoso «Ho dovuto inventarmi mille scuse per non far partire il capitano Antares senza di te». Si gratta il mento e sembra tremendamente fragile ed esile nella sua piccola figura. Degli strani aggeggi metallici gli spuntano dalle tasche dei pantaloni.
«Mi dispiace nonno. Ho avuto un contrattempo».
«Hai portato la pietra di scorta?» gli chiede senza notarmi.
«Sì, è al sicuro nelle mie tasche».
«Bene, bene, allora è tutto pronto» afferra dal taschino della giacca un fazzoletto di stoffa e si tampona la fronte. «Mi hai fatto perdere un anno di vita ragazzo mio, dunque sbrighiamoci».
«Nonno» lo blocca Derrin «Lei può venire con noi?».
Il vecchio accigliato mi osserva ed io automaticamente mi stringo nelle spalle. La mano di Derrin è ancora stretta dalla mia e vorrei non la lasciasse più.
Sembra che i suoi occhi stanchi mi possano attraversare l'anima con un solo attento esame. Per un momento penso che riesca a percepire che non sono una ragazza qualunque. Inclina la testa verso destra e poi sorride, di un sorriso a cui mancano ben tre denti. Due molari superiori e un canino inferiore.
«E chi sarebbe questa giovane fanciulla? Non credo che il capitano sarà contento» si tampona di nuovo il sudore che gli imperla la fronte. «No, non mi sembra proprio qualcuno che sopporta gli imprevisti».
«Ti prego nonno» lo supplica Derrin con gentilezza «Non ha un posto dove andare ed è in difficoltà».
Riflette fissando un ponto oltre la mia spalla. «E va bene. Va bene mi inventerò qualcosa» concede infine.
Derrin gli sorride e lascia la mia mano per avvolgerlo in un abbraccio «Grazie».
«Sì, molte grazie» mi aggiungo io, pensando sia la cosa giusta da dire.
Il vecchio mi sorride ancora. «Come ti chiami?».
«Lainnyr» rispondo con sicurezza, cercando di non fargli notare la mia titubanza.
Altro che nave e nave. Derrin non possedeva nessuna nave se doveva chiedere il permesso per farmi salire a bordo.
«Potremmo dire al capitano che siete un'altra mia nipote, essenziale per la squadra dei meccanici. Sai usare un cacciavite?».
«So fare molte cose, ma non ho idea di cosa sia un cacciavite».
«Perfetto» commenta, forse ironico. «Non ci resta da spiegargli perché sei senza scarpe».
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