Capitolo 44

Anche la magia ha i suoi limiti. Più la utilizzi e più ti consuma.

Dovevo riposare. Non avevo più le forze: né per arrestare la caduta, né per chiedere all'acqua di non sbattermi contro gli scogli dell'isolotto.

Forse Malia ne aveva ancora. Non lo sapevo. Ma rompere il muro era stata la prima soluzione che mi era venuta in mente.

Cadere, alla fine non è così male. Almeno fin quando il tuo corpo non incontra il terreno con un violento impatto.

La ferita al collo mi bruciava. Le ginocchia mi facevano male.

Eppure se chiudevo gli occhi e mi concentravo sul vento che mi circondava quasi riuscivo a non pensare al dolore.

Mi chiedevo se l'acqua era fredda. Mi chiedevo quanto ci sarebbe voluto.

Mi chiedevo dove era finita Malia, dal momento che non riuscivo più a vederla, da quando avevo mollato la presa su di lei.

Il tempo sembrava scorrere molto più lentamente di quanto avrebbe dovuto realmente fare.

E poi succede. L'impatto è diverso da come lo stavo immaginando. Non ci sono spruzzi d'acqua e e gocce che bagnano il mio corpo prima di toccare la corrente del fiume. Non sento freddo.

Non sento nulla. Se non un peso dietro la schiena e sotto le gambe che all'improvviso mi trattiene.

«Ti ho presa» una voce spaventata sussurra al mio orecchio.

«Sono... Sono già morta?» farfuglio confusa, non sapendo esattamente cosa stesse succedendo. Apro gli occhi lentamente e vedo Derrin che mi sostiene. Nel verde del suo sguardo si rincorrono il terrore e il sollievo come se non avesse idea di cosa scegliere.

Scuote il capo. «Per fortuna ti ho preso in tempo» un lieve sorriso gli solca le labbra. «Ma cerca di non farmi più prendere un infarto del genere, va bene?».

«Come hai fatto?» gli chiedo, mentre lo aiuto aggrappandomi a lui e cingendogli il collo con le mani. «Sai per caso volare?».

«In un certo senso» ridacchia ancora innervosito.

Appoggio il volto alla sua spalla. «Grazie» sussurro, mentre percepisco che ci stiamo spostando verso il foro che ho creato nel muro del castello. 

«Non devi ringraziarmi, mi hai salvato un sacco di volte anche tu» lo sento stringere la presa su di me «Mi dispiace molto per tuo padre».

Ora sono io a scuotere la testa non sapendo cosa dire. Semplicemente non volevo ancora pensare a mio padre.

Appena torniamo al sicuro, lontano dall'acqua del fossato, nel palazzo, Kalen allunga le braccia per aiutarmi a rimanere in equilibro mentre Derrin mi fa scendere da quello che è soltanto un pezzo di tavola fluttuante. Un'anta di un mobile inverniciata di bianco, in cui Derrin ha incastrato la stessa pietra violacea che faceva volare l'Aurea.

Mi ero quasi dimenticata che lui ne aveva una di scorta.

«Bella mossa» commenta Kalen rivolto a Derrin, quasi a denti stretti.

Derrin si spettina dietro la nuca ancora a disagio. «Già» gli risponde, mentre io avevo mille domande che mi pungevano la punta della lingua. «Secondo voi è ancora viva?» si sporge oltre il buco e osserva l'acqua al di là dello strapiombo.

In automatico io faccio due passi in dietro all'interno del corridoio. Avevo ancora le gambe molli e ora che il peggio era passato l'adrenalina era scemata e mi faceva sentire tutta la stanchezza che avevo accumulato.

Kalen lo imita. «L'ho vista precipitare e il suo corpo ha sbattuto violentemente contro le rocce prima di raggiungere l'acqua. Il muro che aveva costruito per bloccarmi si era dissolto e sono certo di quello che ho visto. Non credo si sopravviva ad un salto del genere».

«Ma lei era molto potente» interviene Derrin «Magari...».

Lo interrompo, sedendomi a terra. «No, è impossibile che sia sopravvissuta. Stava comandando troppi incantesimi in un solo momento. Nemmeno il mago più forte e preparato potrebbe riuscirci. La nebbia era una barriera, una sorta di trappola che la tratteneva qui» mi metto a ragionare, notando che si stava diradando per lasciare il posto ai raggi di un tiepido sole. Come se avesse terminato il suo compito.

«E come mai la gente ci vedeva dei soldati all'interno?» mi chiede Derrin, sempre più confuso.

«Questo non lo so» rispondo.

«D'accordo» Derrin monta sulla sua tavola. «Sarà meglio che vada a parlare di quanto accaduto con quelli veri allora. Se è morta l'incantesimo che aveva sul controllo delle menti è svanito e si sentiranno tutti piuttosto svuotati come è successo a me quando l'ho saputo».

Annuisco ancora confusa dalla velocità con cui tutto stava accadendo.

Derrin si ferma soltanto un attimo. Osserva Kalen e gli sussurra qualcosa che capisco essere un "prenditi cura di lei".

Il ragazzo scompare dalla mia vista, usando l'apertura nel muro come se fosse una sorta di porta, volando sopra l'anta. Mi ipnotizzo a osservare la sua figura svoltare dietro l'angolo della torre, probabilmente per raggiungere il cortile. Aveva qualcosa di magico, anche se sapevo che era la pietra a permettergli di volare. 

Prendo un respiro profondo, come se dovessi tuffarmi nell'acqua, e nascondo la testa sulle ginocchia e cerco di trattenere le lacrime.

In un attimo Kalen si china al mio fianco. «Sei stata coraggiosa a venire qui e affrontare due maghi da sola» cerca di consolarmi.

«Non ho fatto nulla, ha interferito Malia con il mio incantesimo. Ma sono davvero contenta che voi state bene» gli spiego.

«Allora perché stai piangendo?».

Le parole scivolano proprio come il fiume in piena dove avevo spinto il corpo di mia sorella. Un altro peso sulla coscienza. «Avevo ritrovato una famiglia, ma non era come la volevo. Non voglio diventare un tiranno come lei».

«Non potrai mai esserlo» mi posa il palmo sulla spalla. «Tu sei buona».

«Come fai a dirlo? Ho usato la magia per far del male alle persone oggi».

«No, l'hai usata per difenderti, difendere me, Derrin, le persone che ami e un popolo che nemmeno ti appartiene».

«Il mago che avete trovato all'ingresso» la voce mi trema. «Lui era mio padre» gli racconto «E Malia, invece era la mia sorellastra. Sono persone che avrei potuto amare se le avessi conosciute meglio, se solo ne avessi avuto la possibilità».

Non sapevo che i pirati sapessero abbracciare così bene, non fino a quel momento. Kalen mi tira a sé, sulle sue ginocchia e mi stringe. «Non fartene una colpa se erano corrotti dalla magia, non potevi fare più niente per loro» mi accarezza la schiena con leggeri movimenti circolari, mentre io osservo il pavimento sotto di noi. «Fidati di me, tu sei diversa e poi non badare soltanto ai legami di sangue» ribatte con calma «Famiglia è dove tu stai bene».

Sfioro le sue dita sul mio ginocchio e alzo lo sguardo nei suoi occhi scuri.

«Sei ferita?» nota il taglio sul mio collo.

Ci appoggio la mano, trattenendo uno sbadiglio, non sarei stata in grado di curarlo per ora, ma almeno aveva smesso di sanguinare. «Va tutto bene».

«Mi dispiace di non essere arrivato prima» sussurra.

«Che fine hanno fatto i pirati?» gli chiedo io contemporaneamente.

Cerca di sorridermi. «Non credo che ti piacerebbe saperlo ora».

Mi stringo nelle spalle, cercando di non immaginarmi la fine che avevano fatto.

Perché mi devo dispiacere sempre per tutti? Anche se sono i cattivi della storia?

«Sarà meglio andare» continua, facendo alzare entrambi. «Sempre se riesci a camminare».

«Ce la faccio» lo rassicuro, ma lascio che mi aiuti sostenendo con il braccio sopra le spalle.

«Scoppieranno delle rivolte per il trono tra i vari capitani adesso» mi dice e mi sembra così strano che sia informato della politica del paese. Forse mi nasconde qualcosa, o forse ancora non lo conosco così bene. «A meno che tu non decida di reclamarlo per te, visto che...».

Lo blocco. «Tutto quello che voglio fare adesso è dormire».

Lui ride alla mia battuta e continuiamo a camminare lentamente per il corridoio verso il portone d'ingresso. «Secondo te dovevo sistemare il muro?» gli chiedo timidamente, ripensando al foro nella parete.

«Potrai farlo anche domani, quando ti sarai ripresa».

Annuisco. Credo che sia un bene che lui sia qui, le sue parole sono state come una panacea per le ferite del mio animo.

Famiglia è dove stai bene.

Continuo a ripetermelo nella mente, ad ogni passo, nel silenzio del castello nero.

«Non guardare» mi avvisa, quando ormai so che siamo arrivati al portone d'ingresso e so esattamente cosa mi aspetta lì nel giardino.

«No, io voglio guardare. Devo fare una cosa» gli dico e lui mi lascia libera di raggiungere il punto in cui è ferma la sagoma di mio padre.

Ha gli occhi aperti, rivolti verso il cielo, la bocca leggermente spalancata e alla luce del sole la sua pelle sembra ancora più vecchia e biancastra.

Kalen rimane al mio fianco. Si china sul mago e gli chiude le palpebre con le dita.

Sento che sussurra qualcosa, ma non capisco cosa dice perché si tratta di una lingua che mi è sconosciuta, forse più tardi gliene chiederò il significato.

«Non posso lasciarlo qui».

Kalen annuisce serio. «Lo so ma ora non te ne puoi occupare, sei stremata. Lo farò io, appena ti avrò portato al sicuro alla locanda» mi promette.

«Davvero?» gli chiedo perplessa. Si trattava pur sempre di occuparsi un morto.

«Certo. Non so come trattiate questo argomento tra maghi, ma qui di solito si costruisce una piccola imbarcazione a cui poi si da fuoco. Ovviamente per ora provvederò solo a spostarlo. Per il resto del funerale potrai decidere tu. Non si farà nulla senza di te».

Non avrei mai pensato di dover organizzare un funerale. «Va bene la barca» sospiro. Poi osservo un piccolo tarassaco nato tra i sassolini della ghiaia proprio vicino a me.

Lo strappo e lo posso sopra il dorso della mano di mio padre.

«Riposati, poi penseremo a questo».

Kalen mi aiuta a rialzarmi, ma io ho ancora gli occhi umidi, anche se non credo di avere ancora altre lacrime. Mi sentivo svuotata esattamente come se mi fossi accorta del mondo esterno soltanto adesso. Capisco di essere ancora coi piedi per terra solo perché il peso del braccio del pirata mi cinge ancora le spalle.

«C'è qualcosa che voglio chiederti prima di lasciarti alla locanda» mi sussurra posando la fronte contro la mia.

Sento il suo fiato sul mio volto, proprio come nella notte in cui mi aveva baciato.

«Se vuoi...» tentenna, colto da un improvviso imbarazzo. «Se vuoi posso essere io la tua famiglia».

Spalanco gli occhi sorpresa.

Gli poso le mani sulle guance e osservo il suo viso malconcio, sudato e sporco. Gli avevo fatto rischiare la sua vita. E non solo. Anche Derrin si era messo in pericolo per me.

Mi domandai se il giorno in cui li avessi incontrati entrambi, il destino non stesse programmando qualcosa che andava oltre la mia comprensione.

Se esistesse davvero il destino.

Li avevo condotti io a sfiorare la morte. Soltanto per il mio egoismo di voler provare a salvare un padre che non poteva essere salvato.

Però aveva ragione, insieme, adesso avevamo salvato un regno intero.

Ripenso alle verità svelate, alle informazioni nascoste, alle avventure che avevamo affrontato insieme. Ripenso all'obbligo verso il mio mondo. Verso la magia. Al vincolo che non gli avrebbe mai permesso di essere qualcosa di più che un amico per me.

Però lui non mi aveva chiesto di amarlo, né di sposarlo e un giorno sicuramente gli avrei spiegato come stavano le cose.

Mi aveva soltanto chiesto se volevo considerarlo parte della mia famiglia.

E con lui, al suo fianco, avevo capito piano piano che potevo sentirmi al sicuro.

Ma sopratutto che stavo bene.

I suoi occhi continuavano a fissarmi speranzosi.

Oggi avevo perso una famiglia, ma forse potevo crearmene un'altra. Mi stava dando la speranza e io volevo afferrarla con tutta me stessa.

Gli sorrido felice.

«C'è qualcosa che devi sapere» comincio «Se vuoi essere la mia famiglia». 

Adesso nel suo sguardo compare un lampo dubbioso. Forse aveva capito che gli avevo nascosto qualcosa, o forse Derrin gli aveva già rivelato quello che aveva scoperto sul mio conto.

«Io non mi chiamo Lainnyr...» sussurro, accarezzandogli le guance.

Temevo che sarebbe stato sospettoso, che mi avrebbe accusata di avergli mentito e di non essermi fidata sul serio di lui.

Invece mi circonda i fianchi con le mani e mi stringe a sé senza dire nulla, aspettando che io fossi pronta per dirgli la verità, trattenendomi come se avesse paura che potessi scomparire da un momento all'altro. Come se fossi diventata preziosa per lui.

E non perché ero una maga speciale.

Ma semplicemente per chi ero io.

Non ho mai ricevuto questo tipo di affetto e lo sento riempirmi il cuore, già compromesso e lacerato dagli ultimi avvenimenti. Forse alla fine la mia ricerca aveva portato a qualcosa di buono. Forse alla fine tutto sarebbe ritornato al suo posto, e sarei stata libera e amata, anche se in un modo che non avevo preventivato.

Forse non sentirò mai più sola...

«Il mio vero nome è Venya» completo e le parole escono dalla mia bocca come un abbraccio accogliente. Lo stesso che mi stava dando lui. «Venya Dinasta».

Sembra quasi un sussurro nel vento, eppure per la prima volta nella mia vita mi sento completa. Mi sento contenta di essere chi sono, con tutti i fardelli che comporta essere l'ultima della virtuosa stirpe che ha generato i maghi più forti e brillanti di Farvel.

Sorride. La sua bocca a pochi centimetri dalla mia.

«Venya, è un bel nome... mi piace molto di più. Che cosa significa?» sussurra in risposta, gustandosi il mio vero nome sulle labbra, come se stesse mangiando dello zucchero.

Mi ritrovo a sorridere a mia volta.

«Significa...» ci rifletto un attimo. Alla mente mi balzano le rune e i simboli magici più arcani che conoscevo, sapendo che le mie radici derivano da lì. «Significa perdono».

E come se questo nome fosse scritto per quel momento, io stavo perdonando il mio passato, per iniziare un nuovo presente. Libera da qualunque catena che mi era stata imposta. 

Orgogliosa del mio nome e della mia identità.


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