Capitolo 42
Percepisco lo sparo amplificarsi nell'aria con un secondo di ritardo e la magia corre da sola in mio aiuto. Senza nemmeno che io la evochi o le chieda di salvarmi.
Però riesco a sentire che è stata la mia volontà a smuoverla.
Un muro d'aria si alza impetuoso, scombinando le scie di nebbia, frapponendosi tra me e quei pirati. I proiettili, violenti come un temporale, cercano di perforare quello scudo invisibile, ma cadono a terra come chicchi di grandine.
E non posso far altro che guardarli sgomenta cadere, mentre l'eco degli spari riverbera ancora nel sibilo del vento, e la rabbia s'impossessa degli occhi di quel ragazzo dai capelli rossi.
Continua a premere il grilletto con ossessione. Digrignando i denti. Perché è tutto inutile.
Al mio fianco Derrin è bianco come un cencio. Assomiglia ad una statua.
Kalen invece tira un sospiro di sollievo.
Ma il mio cuore non riesce a essere allegro. Il danno ormai era fatto e io lo sentivo.
Il suono dei passi dei guardiani. Ora sapevano dove mi trovavo.
«Dobbiamo andare via!» grido sopra il frastuono e per evitare che i pirati ci seguano sbatto a terra i pugni, rompendo la strada e intrappolando i loro piedi nella pietra.
«Subito!» continuo.
Scuoto Derrin ma è troppo tardi. I miei occhi notano quel guizzo scuro. I miei carcerieri sono già arrivati.
Avanzano nella nebbia come figure spettrali, non curandosi dei pirati ancora intenti a liberarsi o a scaricare le loro inutili munizioni.
Loro hanno occhi soltanto per me.
Il marchio brucia. Facendomi chinare e portare la mano al petto. Quella era magia oscura. Una magia che mi avrebbe rintracciata, trattenuta, indebolita, affinché non potessi più sfuggirgli.
Kalen mi chiama, cerca di sostenermi.
«Ormai è troppo tardi» ho solo la forza di dirgli.
Guardo disperata i soldati nebbia, che prendono forma di uomini armati di lance e spade, ma stanno completamente fermi a fissare le tre figure sempre più vicine, lasciandole passare. Forse il loro scopo era combattere solo la regina. L'unico vero obiettivo di tutta la storia.
«Ormai è troppo tardi» ripeto angosciata in un sussurro.
A meno che...
Scambio un ultimo sguardo con Kalen, cerco di fargli capire che cosa sono in procinto di fare. Qualcosa di molto pericoloso, e se lo sapesse probabilmente cercherebbe di fermarmi.
Trovo il coraggio. Lo richiamo a me, come un naufrago che si attacca all'unico pezzo di ramo in grado di farlo galleggiare sulla tempesta. «Tieni stretto il tuo pugnale e preparati a combattere» lo avviso.
Stavo per abbandonarlo. Lui e anche Derrin. La prospettiva non mi piaceva, ma era il solo modo per evitare che i guardini li facessero fuori. Avrebbero messo fuori gioco chiunque avesse tentato di fermarli e lo sapevo per esperienza.
«Cosa vuoi fare?» mi domanda confuso.
Do un'ultima occhiata ai pirati, che hanno consumato le loro munizioni e tentano di liberarsi dalla pietra che si contorce sulle loro scarpe. «Derrin!».
Lui ha ancora gli occhi fissi impalati sul gruppo. Al suono della mia voce sbatte le palpebre e mi fissa incredulo. «Derrin devi combattere» gli dico.
Lui si riscuote ed estrae la spada.
I pirati sarebbero stati liberi nel momento in cui me ne sarei andata. Speravo solo che Kalen e Derrin fossero in grado di respingerli. Due contro tutti loro. Almeno non avevo più lo svantaggio delle pistole.
Se fossero morti li avrei avuti sulla coscienza come con Asso. Non lo avrei sopportato. Ma i pirati in questo momento sono il male minore.
«È me che volete, non è vero?» mi sbraccio per farmi vedere ancora meglio dalle tre figure sul fondo della strada.
Zenith mi guarda sgomento, sta per rispondermi. Loro non si sono accorti di nulla. Ma un suo compare gli tira il gomito e gli indica i tre soggetti alle loro spalle.
Qualcuno dei pirati impreca ancora più sonoramente, di quando li avevo bloccati nella strada.
«A che gioco stai giocando strega?» mi urla contro il rosso.
Un guardiano alza la mano destra verso di me. Verso di noi, pirati e amici compresi.
«A nessun gioco, vi salvo la vita» sussurro a quell'ingrato e pronuncio quelle uniche due parole che mi avrebbero teletrasportato al palazzo di Malia. Interrompendo lo scudo d'aria e la paralisi di roccia e scomparendo sotto gli occhi stupefatti di tutti.
Il mio corpo è leggerissimo. Non usavo quell'incantesimo da quando avevo trasportato tutti quanti dalla barchetta in mezzo al mare all'isola di Endera.
I guardiani devono aver intuito il piano, perché il mio viaggio, anziché essere veloce come avrebbe dovuto, è a rallentatore. Li scorgo entrambi alzare le mani verso il cielo, verso di me e comincio a sentire la forza di gravità tentare di riportarmi verso il basso.
Kalen si lancia su Zenith, prendendolo di sorpresa, poi viene seguito da Derrin. Sento il cozzare delle lame sotto di me, e non ho il coraggio di guardare. Cerco di concentrarmi sul mio corpo per resistere alla magia dei guardiani di Farvel. È come se qualcuno mi stesse afferrando per i piedi e tirando verso il basso, mentre sono sospesa nel cielo, a molti metri d'altezza.
Mi costringo a pensare di camminare e stranamente funziona. Mi immagino correre e il mio corpo vola più veloce sopra i tetti.
Lasciando i guardiani e lo scontro lontano.
Supero una piazza che non ho mai visto prima. Un ovale il cui pavimento è interamente fatto di vetro e al di sotto si nota l'acqua dei rami del delta ribollire e schiumare.
Assomiglia molto ad un occhio trasparente incastonato tra gli alti palazzi sontuosi della città.
Il mio corpo viene letteralmente attirato da una forza che questa volta non riesco a contrastare.
Il castello è di fronte a me, con la sua torre nera che troneggia sull'isolotto tra le cascate.
Vedo la barriera luccicare alla luce del sole che cerca di farsi strada tra la nebbia e tento di fermarmi per non andarci a sbattere contro. Ma non ci riesco.
Chiudo gli occhi, imponendo a quella forza di smettere di tirarmi verso il castello, ma è troppo forte e con lo stesso rumore di un vetro che s'infrange il mio corpo rompe la barriera, facendomi poi comparire distesa sul selciato che conduce al portone di ingresso.
Sento un dolore fortissimo sul palmo. Il marchio continua a bruciare.
Gli occhi mi si riempiono di lacrime e mi sforzo di tastare il mio corpo in cerca di possibili ferite. Ma non ne ho. Sono stranamente incolume.
Cosa stava succedendo?
Cerco di rialzarmi facendo leva sulle ginocchia e alzando lo sguardo noto che una figura mi sta venendo incontro.
Mi asciugo le lacrime con la manica della camicia per riuscire a metterla a fuoco.
Ad ogni suo passo il battito del mio cuore accelera.
«Benvenuta figlia mia». Mio padre apre le braccia, come se volesse abbracciarmi a sé o si aspettasse che io mi sollevassi e gli corressi incontro.
Quelle parole suonano così distorte, come se stessi sognando. Avevo atteso così tanto tempo per poterle sentire e invece adesso erano aspre, amare e irreali su quella bocca incorniciata dalla barba rossiccia.
I miei occhi si calamitano nei suoi, bianchi e spenti. Nonostante non volessi guardarlo in faccia, non riesco a farne a meno.
«Che cosa ci fai ancora lì per terra? Non vuoi venire da tuo padre?».
Padre...
Il mio cuore è un guscio vuoto che sta per essere colmato.
Mi alzo in piedi e muovo un passo verso di lui.
«Possiamo ancora essere una famiglia. Noi tre, insieme. Mi dispiace così tanto di averti abbandonata».
Il suo tono è così dolce, tradisce quei suoi occhi innaturali e mutevoli.
«Perché lo hai fatto? Perché mi hai abbandonata?».
Lo vedo leggermente sussultare. «Loro... Mi hanno costretto. Ho provato a portarti con me, ma ti hanno preso e portata via da me. Quanto ho sofferto... Prima tua madre, poi tu... era come se mi avessero strappato il cuore. Ma ora sei qui. Siamo qui. Insieme di nuovo».
Le lacrime cominciano a scorrere di nuovo dai miei occhi, pesanti come macigni.
Lui allarga di nuovo le braccia. «Vieni con me sistemeremo tutto quanto».
La soluzione sembrava così semplice, così a portata di mano.
Muovo un altro passo. Le labbra di mio padre si increspano in un sorriso accogliente.
I miei piedi tremano.
«Mi hai salvato tu dai guardiani?» gli domando, mentre il piede sinistro si mette davanti al destro e mi fa ridurre la distanza che mi separa da lui.
«Certo» risponde, con il sorriso che ancora gli aleggia sulle labbra. «Nessuno ti farà più del male, potrai essere felice».
Ancora tre passi e sarei tra le sue braccia.
«Venya sei tu? Venya non farlo! Lui non è tuo padre» una voce femminile nelle mia testa mi blocca dove sono.
Lui nota il cambiamento del mio sguardo e la confusione che mi assale.
«Padre?».
«Non li ascoltare, figlia mia. Vogliono soltanto riportarti indietro».
Ma quel sussurro non demorde. «Venya ti prego! Fidati di me».
Mi afferro le tempie con le mani. «Chi sei?» domando ad alta voce.
Mio padre fa un passo verso di me. Ma i suoi occhi sono sempre così vitrei e vuoti, vuoti come il mio cuore e i tasselli della mia vita.
«Sono tuo padre» risponde, mentre pensa che abbia rivolto a lui quella domanda. «Non mi riconosci più?».
«Io non ti ho mai conosciuto...».
Il sorriso si cancella dalla sua espressione e il suo corpo comincia a mutare. Le spalle si abbassano, i capelli si allungano, il viso diventa più giovane e femminile, il vestito si modifica e dalla tunica blu compare una veste lunga color azzurro ghiaccio.
«Non intralcerai la mia strada» dice con una voce da bambina. Una corona le orna la testa e attorno a la sua figura minuta l'aria assomiglia a pieghe nere che disperdono nel vuoto, per rinascere accanto alla sua pelle.
«Malia?».
«Non ho più quel nome».
Muove un braccio e una sferzata di vento mi fa cadere di nuovo per terra. Ma sollevo le mani. «Clai dolmen» sussurro e la terra mi accoglie dolcemente, prima di farmi sbattere sul terreno del giardino.
La regina mi guarda con odio. «Prima quella sciocca e ora tu, quante seccature dovrò ancora sopportare?».
Quella sciocca? «Che hai fatto a Methara?» le domando preoccupata.
Lei mi risponde con una risata divertita e apre le braccia come a indicare la nebbia attorno a noi. «La fine che spetta a tutti quelli che cercheranno di fermarmi».
«Malia non dobbiamo per forza lottare» cerco di convincerla, mentre mi alzo da terra.
«Leggo nei tuoi pensieri, so che cosa vuoi fare».
Due sfere di fuoco le compaiono sui palmi e me le lancia contro. Con la terra mi faccio da scudo, innalzando un piccolo muro.
Un fruscio mi fa voltare e noto che dei tentacoli d'acqua si sono formati alle mie spalle e si dirigono verso la mia direzione. «Clai azerat» li congelo e gli ordino di rompersi in mille schegge luccicanti che si sbriciolano sul prato.
«Non puoi fermarmi» continua a minacciarmi. «La mia magia è inesauribile».
«La magia non è fatta per questo! La magia è conoscenza, non conquista» cerco di farla ragionare, sapendo che non mi ascolterà ma mi serve tempo.
Devo trovare il modo di avvicinarmi a lei. I suoi incantesimi non posso contrastarli in eterno.
Sollevo un'onda dal terreno che arriva fino ai suoi piedi, cercando di farla cadere per terra, ma lei all'ultimo secondo si solleva, librandosi a qualche centimetro d'aria dal giardino.
Poi mi scarica contro una tempesta di tuoni scesi da chissà dove, visto che il cielo è completamente bianco, ma riesco a crearmi un riparo appena in tempo.
Il terreno comincia a vibrare sotto i miei piedi. Malia approfitta della mia distrazione per scagliarmi contro altre due sfere di fuoco, di cui mi impossesso e respingo contro di lei. Ma a pochi centimetri dal suo ghigno si spengono come se fossero state due candele su cui ha appena soffiato.
«Non puoi proteggerti in eterno» dice per poi sfociare in una risata di vittoria.
So che ha ragione. Ho il fiato corto, le gambe che mi tremano per lo sforzo di contrastare i suoi incantesimi.
«Hai solo una possibilità di salvezza» continua «Unisci a me, regalami il tuo corpo, la tua volontà. Sarai libera e inarrestabile e potrai restare vicina a tuo padre, come hai sempre voluto. Non era forse questo lo scopo del tuo viaggio? Riguadagnarti una famiglia felice?».
«Sì, lo era» le rispondo in un soffio, mentre cerco di distrarla. Mi siedo sul terreno, con le mani premute contro la ghiaia per evitare di distendermici sopra.
«Sei patetica, guardati. Non riesci nemmeno a stare in piedi e pensavi davvero di potermi sconfiggere?».
A questo punto del piano, Kalen sarebbe dovuto saltare fuori alle spalle e pugnalarla.
Ma Kalen non c'era. Probabilmente stava ancora lottando con Derrin contro i pirati.
«Sei patetica, proprio come l'altra maga. Sai, ha tentato di usurpare il mio trono. Ha creato questa nebbia, direttamente dal suo spirito, cercando di spaventarmi, ma non sa che io posso fuggire dal mio palazzo e non mi interessa nulla di questa città o di questo governo».
Spalanco gli occhi. Quella nebbia era Methara? Si era sacrificata per intrappolare Malia in città?
«Lei sapeva che stavi arrivando, era così convinta che mi avresti sconfitta».
Chiudo le dita in un pugno, scavando tra i sassolini bianchi.
«Avrebbe fatto meglio a non pensarlo, così ti ha tolto l'effetto sorpresa. Non sono ancora scappata perché ti ho aspettato. Volevo proprio vederla la figlia del mio caro Lucis».
Osservo gli occhi del contenitore di quella magia oscura, so che sta parlando lei e non davvero Malia.
«Malia ascoltami» tento, ignorando l'oscurità dentro i suoi occhi. «Tu puoi farcela, puoi mandarla via».
Ma la sua bocca si piega in un sorriso. «No, non può farlo. Ormai sono diventata troppo potente per chiunque, anche per te. E quando ti avrò levato dai piedi, anche se mi dispiace, me ne andrò a Farvel e assorbirò ogni traccia di magia lì presente».
«A Farvel ci sono tanti maghi, ti fermeranno» l'avviso.
«Eppure tu dovresti essere la loro gemma migliore, ma sei qui, al mio cospetto che strisci come un verme» alza le mani verso il cielo. «E ora basta temporeggiare. Sei pronta per la chiusura del tuo ultimo capitolo?».
«Sono pronta» alzo il mento, trattengo il suo sguardo, ma senza vederlo. Una lacrima mi sfugge, scivolandomi lungo la guancia.
Tengo gli occhi chiusi. Uno strano buio mi avvolge, mentre la mia mente sta viaggiando verso i ricordi più belli che ho: il bacio di Kalen, la mano di Derrin stretta alla mia, l'abbraccio di Asso, il sorriso di Jarleth, e per ultimo, il volto di mio padre, quello disegnato sull'arazzo che copre interamente una parete della mia stanza nel palazzo dei Saggi a Farvel.
I suoi occhi non sono bianchi, ma sono caldi, colorati, sicuri e fieri. Come sarebbero dovuti essere anche adesso.
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