Capitolo 37

L'aria si stava lentamente scaldando e i miei piedi infreddoliti cantavano di gioia per questo.

La terra era porosa e se mi concentravo potevo sentire come una specie di battito cardiaco provenire da sotto di essa. Come fosse l'involucro di pelle di qualcosa di vivo, che sembrava muoversi e cambiare. Trasformarsi ad ogni passo.

Nella luce della gemma tutto era molto più sinistro e inquietante. Le rocce ne riflettevano il bagliore con strani sbalzi di proiezioni colorate dal viola al rosso.

Un rumore alle mie spalle mi costringe a voltarmi.

Kalen si è posato alla parete, si tiene la testa con le mani e la spada gli è caduta per terra.

«Kalen stai bene?» mi avvicino a lui, che in risposta emette soltanto un ringhio sordo.

«Dagli il pugnale, presto!» mi ricorda Derrin e mi affretto a fargli toccare la piccola gemma blu per calmarlo.

Le sue dita mi scivolano più volte e difficilmente riesco a prendergli una mano, ma alla fine si lascia convincere.

Già soffriva gli effetti della maledizione? Da quanto stavamo camminando là sotto?    

Le sue ginocchia cedono e scende lentamente verso il basso, accucciandosi come un animale inerme. Tremando contro la roccia e accarezzando con l'indice l'elsa del pugnale.

Fa male vederlo così. Eppure il suo respiro si calma.

Derrin approfitta della sosta per bere un sorso d'acqua dall'ampolla nella sacca preparataci dai nani.

Mi chino ad accarezzare la schiena di Kalen, sperando di aiutarlo ma lui in un attimo fulmineo mi spinge lontano.

«Non toccarmi» mi dice aggressivo, mentre resto a guardarlo a bocca aperta.

«Scusami. Non mi ero resa conto di aver tenuto il pugnale per così tanto tempo» mormoro in risposta, mentre Derrin mi aiuta a rialzarmi.

«Da quanto tempo siamo qui sotto, Lain?» mi sussurra all'orecchio. Nella sua voce sento distintamente una nota preoccupata.

«Non lo so» rispondo e un piccolo nodo di paura si aggroviglia nel mio cuore. Forse anche gli altri avevano fatto la nostra stessa fine. Dopo tanti cunicoli in teoria avremmo dovuto incrociare le sontuose costruzioni di terra della città di Luik.

Credevo sarebbe bastato illudere l'illusione per riuscire a trovare una strada e invece ci eravamo persi e non avevamo ancora concluso nulla.

Forse la montagna ci vedeva come ostilità. Forse dovevamo soltanto convincerla che non volevamo farle del male.

Il respiro di Kalen torna regolare, ma lui continua a tenere la testa rivolta verso il basso. I capelli gli fanno una sorta di scudo e non riesco a vedere i suoi occhi.

Sospiro frustrata.

«Guardate!» Derrin indica la fine del corridoio, dove sventola nel nulla un brandello di tessuto nero e poi sparisce nel nulla, come fosse stata uno spettro. Stringendo gli occhi noto che al centro ha un teschio bianco sbarrato da due sciabole.

Una bandiera pirata.

«Sta provando a creare le nostre idee. Cercando di illuderci» commento. «Forse ho sottovalutato questo posto».

«Che vuoi dire?».  

Osservo le pareti di roccia e tutto quello che vorrei fare è buttarle giù e liberarmi. Vedere la luce delle stelle. Respirare dell'aria pulita e non intrisa di umidità. Serro il pugno con l'incantesimo che mi pizzica sulle labbra.

Chiudo gli occhi, ma li riapro subito e questa volta Kalen mi osserva.

Nel buio del suo sguardo si agita qualcosa che mi spaventa.

«Scusami» mormoro piano e lui sembra annuire.

«Due giorni» dice poi rauco. «Posso resistere solo due giorni senza la pietra a contatto con la mia pelle».

«Stiamo camminando da due giorni? Senza dormire, né magiare? Come abbiamo fatto?» Derrin si passa sconvolto una mano tra i capelli.

«La montagna vuole farci impazzire, credo» rispondo io, cercando di rimanere calma.

«Sarà la nostra tomba. Moriremo qua sotto» continua Kalen e un ghigno divertito gli storce le labbra. «E io che pensavo di morire per mare».

«No, che non moriremo» ribatto decisa, picchiando la roccia con il pugno. «Ci sarà un modo per uscire di qui».

«Avresti dovuto ascoltarmi, piccola mia» la voce di Jarleth risuona dal punto colpito, facendomi fare un passo indietro e finire addosso a Derrin. «Non lo fai mai e ti cacci nei guai».

«Jarleth? Jarleth sei tu? Puoi aiutarci?». I miei occhi cominciano a frugare le rocce in cerca del viso familiare del vecchio mago.

«Ti avevo avvisato che la polvere era pericolosa».

«Ma è l'unico modo per salvare...».

«Chi vorresti salvare? Sei ancora una bambina!».

«Perché sei così duro con me?».

«Perché tu non mi hai avuto ascoltare. Non puoi cambiare un destino».

Le lacrime scendono dai miei occhi senza nemmeno che io me ne accorga.

«Ora piangi? Ti avevo detto di rimanere a Endera e farti una nuova vita. Non c'è più posto per te qui, né a Farvel né da Methara... Oh, lo so che hai in mente di cercarla. Ma come pensi che reagirà quando scoprirà che hai ucciso Asso?».

«Io non l'ho ucciso» commento, nascondendomi il viso tra le ginocchia.

«È morto per colpa tua!» mi accusa di nuovo la voce.

«Smettila! No, non è stata colpa mia... Lui... Io...» comincio a farfugliare, mentre tiro su col naso. «Jarleth, aiutami, ti prego».

«No, non lo farò. Sono un vecchio e sono stanco di riparare ai tuoi danni. Già mi sono subito quelli di tuo padre». Quelle parole mi feriscono come potrebbe fare una spada dritta nel petto.

Mi manca il respiro.

Due mani mi sollevano le guance. Una bocca si posa sulla mia e una mano mi accarezza i capelli.

Assomiglia molto al tocco di Asso. Riesco a vedere nel buio i suoi occhi, i suoi capelli luminosi.

«Sarei diventato un grande mago, un giorno...». La tristezza del suo sguardo mi fa vacillare e desiderare di essere morta al posto suo. 

Due mani mi scuotono le spalle. «Svegliati! Che stai dicendo?».

Apro gli occhi e ritrovo davanti ai miei il verde rassicurante di Derrin. Sono in piedi e lui mi abbraccia forte.

«Che...» comincio a dire ma lui mi interrompe.

«Ci eravamo fermati perché Kalen si era sentito male. Poi abbiamo cominciato a camminare ed a un certo punto e spuntata una figura alla fine della galleria. La stavamo seguendo ma tu ti sei fermata. Hai chiuso gli occhi e ti sei messa a gridare cose senza senso e...» mi passa le mani sulle guance «Stavi piangendo».

«Non riuscivamo a muoverti» continua. «Poi è riapparsa quella figura e Kalen mi ha detto di restare con te».

Mi avvicino a Derrin e lo stringo forte. «Sei vero? Questa è la verità?».

Lui mi abbraccia e mi sussurra all'orecchio. «Certo. Queste illusioni sono una spina nel fianco. Però io sono vero. Giocano con le nostre paure».

Sospiro nell'incavo del suo collo e un brivido mi corre giù lungo la schiena. «Ho paura che tu non sia vero» gli rivelo.

Ma lui mi stringe più forte. «Vuoi che ti baci per fartelo capire?» ridacchia. «Più proseguiamo e più sono convinto che mio nonno sia morto. Non è confortante, ma resisto».

Mi stacco dalla sua presa. Si sta mordendo il labbro inferiore.

«Mi dispiace» sussurro.

«Gentaglia!» la voce di Kalen riecheggia dalla fine del corridoio. Le rocce tornano ad emanare i riflessi di luce che convogliano dal pugnale. «Ho trovato una porta! Lainnyr ha smesso di piangere?».

«Sì, ha smesso» gli grida Derrin in risposta.

«Bene, per di qua!».

Io e Derrin lo raggiungiamo e non ho il coraggio di dire più nulla, soltanto di fissarmi i piedi di tanto in tanto.

«Sei sicuro sia reale?» gli domanda Derrin.

«Sicuro. Quella figura scura si è fermata di fronte a me e mi ha detto...» Kalen si interrompe e fissa Derrin negli occhi. «Mi ha detto che era tua madre» conclude in un soffio.

«Cosa?».

«Sì, in effetti ti somigliava parecchio e siccome io non la conosco tua madre, credo che fosse vero. Non posso immaginarmela... Però mi ha detto che era un fantasma».

«Lo so che è morta» dice drastico Derrin. «Ma come ha fatto a tornare e...?».

«Certe volte è meglio non farsi troppe domande e agire» lo interrompe. «Qui, c'è una porta, così mi ha detto. Lainnyr tocca la roccia. Prima hai fatto comparire il fantasma della madre di Derrin, magari funziona di nuovo».

«Con un pugno, dici?» rispondo cercando di ricordare cosa fosse successo, prima della voce di Jarleth. Le sue parole ancora mi rimbombavano in testa. 

«Quello che vuoi».

«Forse sarà meglio qualcosa di più dolce» commento tra me e me.

Cerco Derrin con lo sguardo, ma è ancora confuso. Forse sperava di poter vedere sua madre e riabbracciarla per davvero.

Sposto lo sguardo sulla parete. Assomiglia a tutte le altre che avevamo visto. Ma forse era solo apparentemente uguale.

Che cosa nascondi? 

Poggio le mani sulla parete e non sembra accadere nulla. Ma poi comincio ad accarezzarla. Ripenso ad Asso, a come mi calmò sulle sponde del lago magico.

Le mie mani cominciano a sfavillare al contatto con la roccia e sono tentata di ritrarle, ma una forza d'attrazione mi tiene incollati i palmi.

La roccia si plasma e forma delle figure. Alcune assomigliano a volti di nani. Altre invece a volti umani. 

Kalen e Derrin dicono qualcosa che non riesco a capire e sotto i miei palmi noto formarsi un viso che ho già visto.

La barbetta sul mento era molto più lunga e gli mancava il capello con la piuma. 

Brens...

Il menestrello era prigioniero della parete di roccia. Faceva parte di essa.

«Nonno!» Derrin si appoggia al mio fianco e sfiora la fronte del suo vecchio, come se fosse la cosa più fragile del mondo. «Sono rinchiusi nella roccia. Dobbiamo tirarli fuori!».

Come una crisalide il manto roccioso faceva riaffiorare molteplici visi stanchi dalle espressioni sorprese e preoccupate.

«Sì» commento sconsolata, senza scansare le mani, con la paura che potrebbero sparire da un momento all'altro se io lo facessi.

«Sono incastrati in una porta» Kalen indica una cornice dorata che si è formata ai lati di tutti i volti e forma una specie di grosso rettangolo che terminava con una volta a punta.

Alla mia destra compare un piccolo buco a forma di serratura e delle scritte aleggiano nell'aria. Si trova proprio sopra l'attaccatura dei capelli del capitano Antares. Bloccato nella pietra non fa più così paura.

Mi concentro sulle scritte che si muovono, animate da una magia strana.

Le rileggo più volte, pensando di aver decifrato male i simboli. Ma più le rileggo e più non credo di sbagliarmi.

Si tratta dell'incantesimo per aprire e per chiudere che aveva inventato un mago strampalato di cui non ricordavo nemmeno il nome. Jarleth aveva detto che i suoi incantesimi non funzionavano mai e che quell'uomo si era ridotto ad essere un animale di taverne e non voleva che mi dedicassi al suo libro. Anche se quel tizio era stato uno dei primi maghi ad aver camminato su questa terra.

Quello di preciso mi era rimasto in mente, perché il suo suono mi faceva sempre ridere.

Izz zin kass dum.

«Izz zin kass dum» ripeto, ragionando ad alta voce e sfiorando quelle lettere, dove le mie dita affondano e la luce le proietta sulla mia mano.

«Ti sei messa a parlare nella lingua degli orchi?» mi domanda Kalen, stranito. Non mi ero accorta che mi aveva affiancata e fissava i raggi luminosi nella mia mano. «Che cosa sono?».

«Che cosa?». Derrin si protende con il viso sopra la mia spalla per scrutarli.

«Una magia, molto antica. Non so perché sia qui».

I simboli ballavano sul mio palmo.

Una formula per aprire e per chiudere.

Riconosco una runa del potere. Assomigliava molto al ghirigori che aveva mio padre tracciato sul dorso della mano.

Come se fossero un uccellino ferito comincio a coccolare i simboli, mentre mi veniva la strana idea in testa di provare a usarli.

Forse avrebbe funzionato. Ma chissà cosa c'è dall'altra parte della porta.

«Cosa ti ha detto la madre di Derrin?» mi informo con Kalen.

«Lenora. Mia madre si chiamava Lenora» puntualizza suo figlio, ancora stordito dal fatto che fosse apparsa per aiutarci. La somiglianza con il nome di mia madre mi stupisce per un attimo.

«Mi ha detto soltanto che qui c'è una porta. Stavo per chiederle dove conducesse ma poi lei è sparita».

«Forse per il luogo dei morti. L'oltretomba» improvvisa Derrin.

«O forse per qualcos'altro». Osservo i volti incastonati nella parete. Potevano essere gli esploratori in cerca della polvere? Potevano essere quelle persone scomparse?

«Comunque è l'unica via che abbiamo per ora» puntualizza Kalen.

«Hai ragione. La aprirò» dico io, convinta. Non volevo stare nelle gallerie un minuto di più. Non dopo che mi stavano cercando di far diventare matta.

«E se dietro ci fosse una brutta sorpresa?» domanda Derrin, sempre più sconvolto. «Dovete essere veramente impazziti voi due. Guardate questi volti» i suoi occhi si abbassano di nuovo verso il volto di pietra del nonno «Se facciamo la stessa fine non potremmo aiutare nessuno».

«Non lo permetterò. Qualunque cosa ci sarà al di là della porta l'affronteremo». Sempre se la formula funziona, aggiungo mentalmente.

Sollevo le mani verso l'alto e la ripeto a voce alta. Con convinzione. Cominciando a sperare con ogni fibra del mio essere che la magia di quel vecchio mago funzioni per davvero.

La roccia ha un lieve tremito ma non si apre e io la guardo di sbieco, pensando di aver sbagliato a credere ancora una volta che potevo farcela.

«Ti serve il mio pugnale?»  mi chiede Kalen.

Ma io scuoto la testa. «Non ho usato una mia magia, ma di qualcun'altro che l'aveva incisa nella parete. Quindi...».

Mentre parlo la faccia del capitano dell'Aurea si spacca perfettamente a metà aprendo un piccolo varco nella roccia.

«Ohhh» esclamo stupita.

Al di là dell'apertura si scuote qualcosa in quella che sembra una tempesta di vento. Forse è un'uscita.

Ma il vento è molto diverso da quello che ci aveva aggrediti fuori dalla montagna, al nostro arrivo. Sembra giallo, non ulula e ha quasi un odore di sale. Come il mare di Landa.

«Cosa credete che sia?» chiede Derrin indietreggiando.

«Tua madre non ci farebbe mai del male» gli ricordo.

«E se fosse un tranello? Perché avrebbe dovuto parlare con Kalen invece che con suo figlio?» risponde risentito.

«Beh... Sono stato io a inseguirla, quindi ero la persona più vicina».

Derrin sembra ragionare, ma un'ombra di risentimento gli forma una piccola ruga in mezzo alla fronte.

«Sarà solo sabbia» dico più a me stessa che agli altri e avanzo, chinando la testa in prossimità della parete, per scoprire dove porta quel passaggio segreto. Sperando soltanto che il mio sesto senso non si sbagli.

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