Capitolo 33

Intrusi. 

Quella parola sibila nelle mie orecchie, ferendomi ad ogni passo. Facendo sussultare il mio cuore come un uccellino chiuso in una gabbia, che ha soltanto bisogno di volare lontano.

Quando giungo alla radura, trovo Kalen che sta ancora dormendo beatamente. Mi chino su di lui e lo scuoto, mettendogli le mani sulla spalla, come potrebbe fare un povero mendicante che tenta di raccogliere delle monete sul terreno.

«Kalen svegliati!» lo chiamo.

«Che c'è?» mi risponde con la voce ancora impastata dal sonno. «Devo già darti il cambio?» brontola, offeso come se lo avessi riportato alla realtà da un bel sogno e forse lo avevo fatto davvero.

«Ci sono dei nemici». Le parole sfuggono dalle mie labbra, trattate con un'innaturale sufficienza. Come se gli avessi detto che era sorto il sole e dovevamo ripartire.

Mi poso una mano sulla bocca. Ma cosa mi prendeva? Il mio cuore pulsava impazzito, nel sollievo di averlo trovato addormentato, ma nella trepidante ansia del possibile arrivo di nuovi nemici.

Ma lui per poco non mi sbatte il capo sul mento, alzandosi di scatto. La sua mano vola al pugnale, mentre si libera dalla coperta.

Il fogliame continua a muoversi, ma dai cespugli sbuca la sagoma di Derrin affaticato dalla corsa. Si appoggia le mani alle ginocchia e si curva a recuperare fiato.

I miei occhi girano sui cespugli attorno a noi, aspettandomi di sentire di nuovo quella minaccia. Ma il bosco è quieto. Un silenzio interrotto solo dal respiro di Derrin.

«Sicura di non essertelo immaginato?» mi domanda Kalen, mentre anche lui osserva la radura intorno a noi. Tutto tace, prendendomi miseramente in giro. «Mi state facendo uno scherzo?» solleva il sopracciglio e si gratta con la mano libera la peluria appena nata sulla sua mascella.  

«Derrin era con me» rispondo, aggrottando le sopracciglia per la sua accusa.

«Sì... le voci...» annaspa lui «Ci sono delle voci tra le foglie...».      

Kalen si solleva e io lo imito. «Questo posto ci farà diventare tutti matti» lo sento sussurrare.

Eppure sono sicura che io e Derrin non ce le siamo immaginate. Qualcosa ci ha davvero minacciato e io ne sento ancora il peso incombere sopra le nostre teste.

La mia sensazione non si sbaglia, perché appena abbassiamo la guardia e i nervi cominciano a rilassarsi, dall'intricato fogliame dei cespugli sbucano tre piccoli esseri tozzi. Tutti e tre hanno la barba lunga e crespa. Il volto piccolo e pieno di rughe. Gli occhi scuri e vispi. Le guance arrossate per la corsa e saranno alti quanto il mio ginocchio.

«Intrusi, in guardia!» quello con la barba bionda, legata da uno spago come fosse una coda, mi punta una piccola sciabola acuminata.

Kalen trattiene a stento una risata. «Sarebbero loro i temibili nemici?».

«Non ho puntualizzato che fossero temibili» lo corregge subito Derrin, stranito almeno quanto me che gli esseri minacciosi avessero quelle dimensioni. Ma la voce era la stessa. Quindi la minaccia erano proprio loro tre.

«Le vostre budella saranno pasto per i vermi!» ci punta la sua arma anche il secondo, dalla barba rossiccia, cercando di imitare il suo compare dalla barba bionda. Ma fallendo miseramente, dato che ha una voce profonda, simile al bubbolare di un gufo e la sua ascia sembra troppo pesante da reggere. Come se si stesse sforzando di tenerla alta davanti al suo viso.

Kalen ridacchia ancora.

«Non ci prendere in giro druido o ti affetterò lentamente e soffrirai le pene dell'inferno» continua il biondo, sempre più agguerrito.

«Non mi sembrano druidi» dice il terzo, che era rimasto dietro i due, dalla barba nera e selvaggia e la statura più bassa.

«Infatti non lo siamo» commento io in fretta. «Siamo solo dei viaggiatori» cerco di spiegare ai tre nuovi arrivati.

«Dei viaggiatori?» mi domanda sempre quello dalla barba scura, che sembra estremamente incuriosito dal nostro aspetto. Lui è l'unico a non puntarci nessun'arma.

Io annuisco. 

«Luik ha ragione. Sei il solito molliccio. Non farti imbastire dalle loro frottole. Nessuno è il benvenuto nelle terre dei nani» il biondo tira una gomitata al compare, come a incoraggiarlo a combattere.

«Non sono frottole, non vogliamo guai» dice Derrin, ma Kalen estrae il suo pugnale.

«Se vogliono combattere diamogli il ben servito».

Io sollevo lo sguardo al cielo scuro, esasperata. Non volevo immergermi in un altro inutile spargimento di sangue.

«Fermi tutti!» ordino, cercando di assumere un tono autoritario.

Kalen abbassa leggermente la lama, ma non demorde dalle sue intenzioni e fanno altrettanto i nostri nemici.

«Qui nessuno vuole far del male a nessuno». Mi intrometto con le gambe tremolanti fra loro. Aprendo i palmi per dividerli. Il terreno diventa in un attimo pericoloso e so che mi sto esponendo a quel pericolo.

«I druidi ci fanno sempre del male» mi risponde il biondo.

«Siete dei nani?» gli domando nella speranza di avere una conferma, mentre la sua espressione si fa sempre più ostile e nervosa. Se lo erano davvero, significava soltanto una cosa: eravamo vicini alle gallerie. Dall'aspetto mi ricordavano vagamente il compagno di ciurma di Kalen. Soltanto che quei tre avevano un odore di terreno bagnato, reso umido da un forte temporale.

E la loro figura era più burbera. Le unghie rotte, i piedi nudi ricoperti da una peluria scomposta, i vestiti sporchi di fango.

«Che cosa vorrebbe saperne una sciocca druida come te?».

Kalen non si trattiene più e si avventa su quel piccolo ometto tozzo, scartandomi di lato. Il suo colpo viene parato con la sciabola e un clangore metallo si diffonde nell'aria.

Nella mia mente si forma il ricordo della battaglia, degli occhi vitrei di Asso, della lacrima calda che gli scendeva sulla guancia così terribilmente fredda, della vita che si stava trascinando lontano dal suo corpo.

Ancora una volta crollo in ginocchio, incapace di contrastare il senso di colpa. Ma questa volta la magia mi viene in soccorso. Scorre dalle mie mani, senza bisogno di essere richiamata. Come se quel bosco ne fosse impresso, simile a quello degli elfi candidi, dove la magia scorreva libera e a fiumi e correva nell'aria come una serie di bambini sul prato. Rendendo facile il suo possesso di forma anche per qualcuno che non la possedeva, ma la conosceva soltanto. Come Asso. Ma quel bosco non lo era. Si trattava di un bosco comune, come qualunque altro ammasso di freddi pini e castagni. E allora per quale motivo questa volta era così vivida?

La paura che le fosse capitato qualcosa si dissolve per un attimo dalle fibre del mio corpo. Avevo temuto, per la prima volta nella mia vita, che il mio dono si fosse in qualche modo bloccato e per questo motivo non ero riuscita a salvare Asso. Mai come ora lo ambivo, lo desideravo. Invece di reprimerlo come avevo fatto da quando avevo lasciato Farvel.

Rampicanti si muovono dagli alberi, e ascoltando il mio desiderio intrappolano Kalen e i nemici, stroncando quell'attacco sul nascere.

«Lainnyr che stai facendo?» mi domanda la voce di Kalen sconcertata. Ma le mie mani premono sulle mie orecchie, perché un altro suono mi stordisce.

La testa comincia a girare. Il bosco comincia a volteggiare su sé stesso. Derrin si getta su di me. Tenta di alzarmi.

«Che ti succede?». La sua voce sembra così terribilmente lontana. Come se il terreno stesse sprofondando sotto di me e io stessi cadendo nelle sue viscere.

Tutta la stanchezza si riversa nel mio corpo e mi schiaccia come un macigno. 

Un fruscio mi fa capire che i rampicanti che avevo utilizzato per immobilizzare i nemici stanno retrocedendo, tornando al loro posto come se non avessi evocato proprio nulla.

Non ho più controllo sulla mia magia. Proprio quando ne ho bisogno.

La mia bocca è invasa da un sapore amaro, che mi fa venir voglia soltanto di vomitare.

«Kalen, il pugnale!» intuisce Derrin e anche il pirata si accuccia al mio fianco e mi passa la sua arma.

Tocco la pietra sul pomo dell'elsa ma il suo effetto mi sembra così debole. Possibile che la maledizione potesse peggiorare? 

«Può peggiorare?» le parole mi escono a fatica dalle labbra. Mi vergogno di dipendere in quel modo da una stupida arma. Ma stringo l'elsa con tutte le forze sperando che funzioni di nuovo, come ha sempre fatto finora e come ha sempre mantenuto la lucidità di Kalen.

Fisso gli occhi del pirata che mi aveva maledetto. Inermi. Straniti. 

Non lo sapeva.

«Io ho sempre avuto l'effetto che ritenevo peggiore» dice e poi aggiunge «Mi dispiace».

Avrei voluto dirgli di non pentirsi. Alla fine era stata una mia decisione quella di morderlo. Una scelta di difesa avventata che si era rivelata la più sconsiderata.

Tossisco e avverto le dita di Derrin tirarmi dietro le orecchie ciuffi di capelli, per evitare che mi finissero sul viso. Dalla mia bocca sul terreno si sta spargendo della nebbia scura. Il mio corpo comincia a tremare mentre mi domando che cosa sia e perché fuoriesca dal mio corpo.

Appena tocca il terreno, prende la forma di una fanghiglia scura. Mi tocco le labbra con due dita, schifata.

«Per tutte le rocce di Cassidian» la voce del nano bruno ci arriva alle orecchie e ci avverte che i tre nemici sono rimasti a fissare la scena. «Ha mangiato un kolgor».

«Aliden, detesto darti ragione. Non sono druidi. Non sarebbero così stupidi da mangiarsi un kolgor» commenta il nano biondo, che mi fissa ad occhi sgranati. «Ma allora cosa siete?».

«Bisognosi in cerca di un aiuto» gli risponde Derrin. La voce carica di preoccupazione mentre un altro colpo di tosse fa uscire dalla mia bocca quel fumo che mi brucia la gola.

«Che cos'è un kolgor?» chiede Kalen con tono rabbioso. Assomiglia più a un ordine che una richiesta.

Noi tre avevamo cenato ogni giorno procurandoci cibo nel bosco, con quello che ci sembrava commestibile. L'idea che anche Kalen e Derrin potessero sentirsi male mi fece preoccupare ancora di più. Saremo rimasti senza difese contro i nani, o qualunque altro tipo di nemico.

Il bruciore mi fa uscire delle lacrime e vorrei solo gridare aiuto. Ma dalla mia bocca non esce nulla se non quella tosse convulsa.

«Le buone maniere te le sei mangiate a colazione?» gli intima il biondo, ringhiando come un cane da guardia.

«Il kolgor è un fungo velenoso. Se lo si mangia e poi si beve ti cresce nello stomaco... quel fumo è il primo sintomo. Presto, dobbiamo portarla da Makaonia!» interviene il bruno e il terzo ometto comincia ad avvicinarsi a noi. La sua barba castana assomiglia a un tronco di un albero.

«Ditemi che non siete stati tutti e tre così sconsiderati, perché temo che non riusciremo a trascinarvi fino al nostro villaggio» continua a dirci.

«Lei... Lei è andata a bere al fiume, credo» balbetta Derrin, probabilmente schifato quanto me dall'idea che un fungo mi stesse crescendo nello stomaco e stesse producendo quella melma fumante.    

Kalen è restio a spostarsi. Lui e il nano bruno si scambiano delle veloci occhiate. Ma il pirata rimane frapposto tra noi, a farmi da scudo. Cerco di sollevarmi, facendo leva sul braccio di Derrin, che svelto mi aiuta.

«Sì, siamo dei nani. Io sono Aliden e loro sono Sabeth e Rhao» comincia, con una voce calma e inflessibile, probabilmente per tentare di guadagnarsi quel briciolo di fiducia di Kalen e convincerlo di avere delle buone intenzioni. L'altezza del pirata gli permette di troneggiare su di lui, ma il nano non si lascia intimorire.

Vorrei parlare ma la mia gola è in fiamme. Stringo gli occhi, mentre mi aggrappo più forte a Derrin che mi sostiene con fermezza.

«La femmina puzza di elfo!» il nano con la barba albero fa un passo all'indietro, come se si fosse scottato.    

Riesco a notare gli occhi del nano bruno incupirsi. Ma tutto è sfocato dall'acqua delle lacrime incastrate tra le mie ciglia. «Ora capisco...» tenta di dire, posandosi una mano sulla barba selvatica, o meglio sul petto coperto dalla sua barba. «Vedete gli elfi amano raccontare tante brutte storielle su di noi. Ma non siamo cattivi. Soltanto beh... bassi. Forse Rhao ogni tanto è un po' brusco, ma lui è fatto così».

Il nano biondo, rimasto alle sue spalle, incrocia le braccia al petto prima di infoderare la sua piccola spada.

«Permetteteci di aiutarla... Makaonia può salvarla finché non si presenta il sintomo più brutto» continua indicandomi con le dita grassocce.

«In cambio di che cosa?» interviene Derrin, allarmato quanto me.

Comincio a tremare, come se mi avessero versato un secchio di acqua gelida giù nei vestiti.

«In cambio di nulla. Certe buone azioni vanno fatte senza secondi scopi».

Kalen si volta verso di me e Derrin.

«Noi non sapremmo cosa fare» ragiona il mio amico dagli occhi verdi.

Il pirata emette un sospiro esasperato, molto simile a quello che avevo fatto io quando aveva cominciato a fronteggiare i nani. «Va bene. Ma se le torcete un capello vi giuro che vi taglio tutte le dita» minaccia Kalen, girandosi di nuovo all'insegna dei nani «Ci avete minacciato e per questo sappiate che io vi tengo d'occhio».

Il nano bruno annuisce «Perdonaci. Pensavamo che foste dei druidi, loro non devono sconfinare nel nostro terreno. Ma a volte trasgrediscono le regole». L'altro nano, Rhao, invece lo sfida. «Provaci e ti ritroverai senza le mani, sicuramente sei bravo soltanto a usare la lingua».

«Basta fratello! Più tempo perdiamo, peggio sarà per la femmina» interviene Sabeth, il nano con l'ascia, che dopo averla ancorata dietro la sua schiena, si affretta a prendere un mucchio di foglie e gettarle sulla melma che ho appena vomitato per terra. 

La copre, ma dal mucchietto continua a ribollire lo stesso fumo nero che usciva dalla mia bocca, come se sotto ci fosse rimasto acceso un minuscolo falò.

Dopo il mio terzo colpo di tosse, Derrin mi aiuta a salire sulla schiena di Kalen e inseguiamo quei tre nani verso questa Makaonia che poteva aiutarmi e in cuor mio speravo fosse davvero così.

«Qual'è il sintomo più brutto?» sento domandare Derrin ad Aliden, mentre trattengo un colpo di tosse per non vomitare sulla giubba di Kalen.

Improvvisamente mi sento ancor più sfinita. Dopotutto aveva nominato quel vomito come primo sintomo, quindi dovevano sicuramente essercene altri.

«La morte» risponde sommessamente, forse per non farmelo udire.

Ed io faccio finta di non averle udite quelle due parole, mentre mi accoccolo alla schiena di Kalen e cerco di non pensare a quanto la gola mi facesse male e di calmare la frenetica paura che si sta insinuando nel vorace ritmo del mio cuore. Ma una domanda mi percuote la mente.

Se in quel momento tutto fosse finito per me, che avrei fatto? Non mi preoccupava il dove sarei potuta andare, una volta chiusi i miei occhi per sempre. Forse avrei rivisto Asso o avrei conosciuto mia madre. Ma avrei lasciato il mondo verso una sconfitta inesorabile... senza nemmeno aver tentato di fermarla.

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