Capitolo 31

Continuo a correre aumentando il passo in prossimità della muraglia. Sento i miei piedi inciampare nel nulla per la velocità, ma la voglia di lasciarmi la battaglia alle spalle è così forte che, una volta raggiunta la mia meta, mi schianto contro il muro verde. Alzo i gomiti per farmi da scudo e proteggermi con le braccia il viso dai rovi graffianti. Le foglie però mi accolgono, si aprono al mio passaggio, evitando di far sbattere il mio corpo contro la solidità dei rami.

In un attimo sono libera, dall'altra parte.

Ansimo per lo sforzo e finisco a terra. Il fiato mi si condensa in nuvolette di vapore biancastre davanti alle labbra. Mi tremano le mani e le lacrime minacciano di venire di nuovo allo scoperto.

Ma mi costringo ad alzare lo sguardo e mi trovo davanti una notte scura e profonda. Qualche fiaccola appare tra gli alberi della radura, dove il bosco si erge silente e scorgo una possente figura scura fatta di tronchi. Un orco ci sta salendo sopra, prendendo posto su una piattaforma alla fine di uno spesso ramo ripiegato all'indietro. Un marchingegno scatta, rumoreggiando come un vento tempestoso che si abbatte su una foresta e il ramo parte come una molla, lanciando l'orco per aria. Seguo la sua scia con lo sguardo e noto che finisce al di là del muro elfico.

Ecco come hanno fatto.

Qualcosa emette un fruscio alle mie spalle e mi metto in piedi, voltando il capo con un ultimo sforzo. Dalla muraglia escono delle liane e dei rami appuntiti, che strisciano verso la radura. Gli stessi rami magici che aiutavano gli elfi nella battaglia.

Ricomincio a correre, anche se così facendo attiro l'attenzione degli orchi. Alcuni di loro dicono qualcosa guardando nella mia direzione.

«Scappate!» mi metto a urlare, sbracciandomi, sperando di farmi capire lo stesso, mentre i rami incantati mi inseguono.

Ma in tutta risposta un orco mi punta la lancia contro. Sembra che la stia per tirare verso di me, quando una creatura più bassa gli poggia una mano sul braccio, fermandolo.

Stringo le palpebre. Un altro che tiene una torcia gli si avvicina e ne illumina meglio la figura.

Sono Derrin e Kalen. Lacrime mute scendono dai miei occhi, per il sollievo nel vedere che loro stanno bene.

Più mi avvicino più noto le loro espressioni allarmate. Gli orchi mi corrono incontro agguerriti per combattere gli alberi incantati. In una frazione di secondo mi raggiungono. I rami si sono raggruppati e hanno dato forma a soldati di legno e foglie. Un orco cade a terra trafitto da un braccio-ramo e Derrin estrae la sua pistola per cercare di colpire i nuovi nemici.

Abbasso la testa per evitare un fendente di un orco che cerca di dare fuoco con la sua torcia a un soldato-albero alto quanto lui. Salto cinque liane spinose che si stanno raggruppando per creare un altro soldato e riprendo la corsa.

«Dobbiamo andare via» dico senza fiato, una volta raggiunti i miei compagni accanto a quella strana macchina di legno.

«Ma sei ferita» mi dice Kalen, posandomi una mano sulla spalla, mentre Derrin ci copre continuando a sparare ponendosi alle mie spalle. Il sibilo dei proiettili mi fa quasi male alle orecchie. Si confonde con lo sbraitare degli orchi e il cigolio dei soldati di legno.

Scuoto la testa. «Non è mio, è di...» le mie parole si perdono, lasciando in sospeso quella frase. Due orchi alle nostre spalle parlano ad alta voce. Uno urla e agita la mano a indicare la foresta, probabilmente sta dando degli ordini agli altri e credo sia il padre di Jorl. Mi sembrava passato così tanto tempo da quando lo avevo visto la prima volta, che nemmeno mi ricordavo cosa lo distingueva dagli altri membri della sua tribù.

«Dobbiamo andarcene subito» ripeto stremata. «Durante la battaglia loro non se ne accorgeranno».

Derrin mi affianca. «Va bene, ma Asso dove è finito?» urla anche lui, cercando di sovrastare il frastuono. La luce della fiaccola che tiene in mano Kalen rivela sotto i suoi occhi delle pesanti occhiaie violacee. Sembravano diversi tutti e due.

Ho la forza solo di scuotere di nuovo il capo, sperando che capisca e non mi faccia dire altro. Kalen lascia cadere la torcia e l'erba comincia subito a prendere fuoco vicino ai nostri piedi. Poi mi da prontamente le spalle e si accuccia leggermente, piegandosi sulle ginocchia. «Non ce la fai a correre ancora, per cui sali» mi ordina e io non me lo faccio ripetere.

Sento Derrin sparare ancora qualche colpo dietro di noi e Kalen si alza con me aggrappata sulla schiena.

«Andiamo Derrin» lo chiama e si mettono a correre verso il bosco, che ci inghiotte immediatamente nella sua oscurità.

Le voci degli orchi si fanno sempre più distanti e così anche la confusione dello scontro.

Le mani di Kalen mi stringono le gambe sempre più saldamente, come se avessi paura che potessi scivolare.

Chiudo gli occhi, cercando di riprendere fiato e ogni tanto li riapro per assicurarmi che Derrin sia ancora davanti Kalen. Corre più veloce perché non porta nessun peso e credo abbia ancora la pistola in pugno. Ogni tanto qualcosa gli scintilla nel pugno quando una lama di luce lunare riesce a penetrare la coltre di chiome.

Il mio sguardo si abitua al buio. Il respiro affannato di Kalen scandisce il tempo che passa, fin quando Derrin si blocca bruscamente, stremato.

«Possiamo fermarci qui» interviene, appoggiandosi con l'avambraccio al tronco di una quercia.

Kalen mi aiuta a scendere e lo ringrazio per avermi trasportato. Ci troviamo in prossimità di un fiume. Riesco a sentire il gorgogliare dell'acqua.

Un rapace che sembra un gufo emette un verso e poi si alza da un ramo e vola in alto, bucando le foglie, assomigliando a una macchia scura con due grandi ali.

Mi tasto dietro la schiena. La mappa è ancora al sicuro.

«Se hai bisogno di lavarti qui vicino c'è un fiume» mi dice Kalen. Abbasso lo sguardo sulle mie mani ancora sporche di sangue e annuisco e insieme a Derrin ci incamminiamo verso la sponda.

«Che cosa è successo Lainnyr?» mi chiede.

Un passo. Silenzio. Un altro passo.

Schiudo le labbra, ma solo quando l'acqua compare alla mia vista trovo il coraggio di parlare. «Mi dispiace, Githia ci aveva promesso di essere di ritorno per l'alba e invece...».

Ma poi mi rendo conto che è ancora notte. Che il tempo scorresse in modo diverso nella foresta bianca?

«Che stai dicendo? Siete spariti per cinque giorni. Gli orchi hanno dato di matto» mi interrompe Derrin.

Cosa? Cinque giorni... Come era possibile?

Mi inginocchio sulla riva e immergo le mani nell'acqua gelida. La corrente pulisce le tracce rossastre sulla mia pelle, facendole diventare quasi una sua innaturale sfumatura e poi le trascina lontano. Anche Asso avrebbe fatto la stessa fine?

«Abbiamo dovuto aiutarli a superare la muraglia e così ho costruito qualcosa che potesse lanciarli sopra il muro. Visto che era impossibile romperlo e bruciarlo. L'ho chiamata catapulta» continua a raccontare.

Fisso l'acqua, le rocce umide, l'erba che si muove nel venticello notturno e il bosco scuro. Mi pizzicano di nuovo gli occhi e ci passo ancora la manica per asciugarli. Il tessuto è ancora umido. «Al di là del muro stanno combattendo e Asso...» comincio cercando le parole più adatte. «Asso non ce l'ha fatta» dico in sussurro, come se pronunciarlo decretasse la sua morte, quando invece potevo ancora salvarlo.

Mi tiro su in piedi, ma è come se avessi le gambe molli e inconsistenti. I piedi mi formicolano. Kalen e Derrin mi guardano silenziosi.

«Non avrei dovuto costruire la catapulta» riflette Derrin, chinando la testa, mostrandosi visibilmente in colpa.

«Se non lo avessi fatto saremo morti noi due» lo consola Kalen. Le sue labbra sono incurvate in un sorriso triste.

Entrambi sono affaticati e innocenti, perché so già che è colpa mia. Se non mi fossi impigliata negli alberi magici. Se avessi corso più veloce. Se non lo avessi chiamato indietro per aiutarmi. Asso ora sarebbe qui con noi. 

«Dammi il tuo pugnale Kalen» gli dico, facendo un passo verso di lui.

«Sei sconvolta, che vuoi farci?» mi chiede, facendo un passo all'indietro, ma un tronco gli sbarra la strada e ci sbatte contro con la schiena.

«Dammelo e basta» non riesco a controllare la rabbia nella mia voce e lo raggiungo. Le lacrime escono di nuovo dai miei occhi. Lui alza le mani per cercare di agguantarmi per le braccia e bloccarmi, ma riesco lo stesso a sottrargli il pugnale sfilandolo dal fodero. La gemma emette il suo solito bagliore bluastro. La lama sembra quasi argentata nella luce lunare. Guardo Kalen dritto negli occhi, mentre con una mano mi afferro i capelli e li raccolgo in una coda dietro la mia testa, prima di tagliarli con la mano che tiene stretta la lama. Lascio scivolare le ciocche recise per terra, alle mie spalle, insieme al pugnale che tentenna sbattendo sul terreno. Sento i ciuffi ricadermi sulle spalle e dietro il collo, più leggeri, molto più corti.

Cado anche io e prontamente Kalen si abbassa e mi tiene per le spalle, mentre non riesco a far altro che sfogare il dolore in piccole gocce che mi accarezzano e mi bagnano le guance. Il mio pianto si trasforma rapidamente in singhiozzi che cerco di strozzare senza successo.

Non riesco a pensare ad altro che ad Asso, steso sotto il cespuglio e al suo sangue che mi macchia le mani e si espande sul suo mantello verde. I suoi occhi neri compaiono nella mia mente, la prima volta che li ho visti sull'Aurea e quando mi ha chiesto di sfogarmi sul lago.

Kalen tenta di stringermi in una morsa imbarazza e confusa, ma io mi distacco e mi vado a sedere accanto al fiume. Lasciando lui e Derrin ad aspettarmi sotto gli alberi, mentre il senso di colpa mi logora dentro e mi fa uscire tutte le lacrime fino all'ultima.

Nessuno di loro viene a disturbarmi, rispettando il mio desiderio di essere lasciata in pace.

Ogni tanto lancio qualche occhiata ai miei capelli recisi, poco lontano. Sono una striscia rossa sul terreno scuro.

Mi stringo le gambe al petto, imbarazzata di farmi vedere così fragile da Kalen e Derrin, ma sono del tutto incapace di trattenerlo dentro.

«Sarà meglio andare, gli orchi potrebbero mettersi a cercarci se la battaglia è finita» Kalen spezza il silenzio. «Lainnyr te la senti?».

Mi alzo frettolosamente e mi pulisco il dietro dei pantaloni dal terriccio umido. «Io... sì» pronuncio asciugandomi gli occhi gonfi, prima di girarmi completamente verso di loro.

Afferro la mappa da dietro la schiena e un'espressione tirata mi compare sul volto vedendo le macchie del sangue di Asso impregnate sulla carta.

Ma la srotolo e racconto a Derrin e Kalen che cosa è accaduto. Rivelare ora che la principessa di Zenevia è in realtà una tiranna e la mia sorellastra non mi fa più così tanto timore, ma mi crea soltanto un denso senso di delusione. Avrei sperato di avere una famiglia migliore con cui vivere, una volta fuori da Farvel. Invece mi ritrovavo con un padre e una sorella resi burattini dalla magia.

Se solo potessi modificare la realtà lo farei, eppure parlando ora con loro non sento più nulla. Forse perché il tempo, anche se non lenisce del tutto le ferite, aiuta ad aumentare la consapevolezza del presente che non puoi cambiare o forse perché mi sono completamente svuotata con il pianto di poco fa.

Mostro loro le indicazioni dell'elfa su dove trovare i cosiddetti nani che dovrebbero avere in pugno il resto dell'equipaggio e concludo con un «Dobbiamo trovarli e fermare mia sorella».

Derrin mi osserva accigliato. «Non è possibile» commenta ancora incredulo al fatto che la sua regina sia dominata da forze oscure letali.

«Nemmeno io ci credevo, ma è così e se non la fermiamo ora la magia crescerà e divorerà tutto ciò che ha intorno a lei. Per questo motivo vuole la polvere, per aumentare la sua forza».

Derrin scuote il capo e i suoi occhi si abbassano sulla punta delle scarpe.

«Dirigiamoci verso queste gallerie» cambia discorso Kalen deciso, affrettandoci per la partenza. Non eravamo ancora del tutto al sicuro. «Passami la mappa».

Appena me la toglie dalle mani sento come se mi stesse liberando da un peso e mi lascio sfuggire un sospiro frustrato.

Ci incamminiamo lungo il fiume che dovrebbe affluire dentro il grande Saiph e la notte lentamente fa spazio a un cielo verdastro e arancione. Una fusione di colori così bella da togliere il fiato, punteggiata da qualche bianca stella e rischiarata da una dolce luce calda che sembra volerci annunciare un buon auspicio. Fisso il cielo cercando di non pensare ad Asso.

Saliamo su delle colline erbose al limitare di quel bosco che sono felice di lasciarmi alle spalle. «Guardate» Derrin ci indica un punto, voltandosi indietro. Delle pire di fumo grigio salgono dagli alberi fino al cielo in lontananza per poi confondersi con le nuvole colorate.

Devono essere i resti della battaglia. Sono così distanti che li vedo sfocati a causa della stanchezza, come se avessimo camminato tutta la notte per miglia intere. Eppure l'odore di carne bruciata mi arriva alle narici come se li avessi avuti di fronte.

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