Capitolo 30
«Non può essere» commenta il vecchio visibilmente sconvolto. «La muraglia non lascia passare gli intrusi».
«Hanno trovato il modo per scavalcarla» spiega ulteriormente il soldato.
«Inviate altre truppe e avvisa mio padre» gli ordina Nyfal preoccupata.
Anche Kalen e Derrin staranno combattendo con gli orchi? O forse sono riusciti a sfuggirgli?
Osservo la guardia che velocemente si dilegua verso l'entrata del palazzo, attirando gli sguardi delle elfe che preparano il banchetto.
«Possiamo aiutarvi? Lei è in grado di manipolare gli elementi e io sono cresciuto in una caserma» domanda Asso avvicinandosi a Nyfal.
Poso lo sguardo su di lui, lasciando trasparire la mia confusione. Veramente voleva combattere al fianco dei candidi?
«Manipoli gli elementi? Fammi vedere» mi chiede Nyfal incuriosita da quell'affermazione e io l'accontento, pensando che sia una buona idea dimostrarle quanto posso essere pericolosa e riprendermi la mia rivincita sul suo modo di pensare.
«Ael lainnyr» pronuncio a bassa voce, prima di dirottare un raggio solare verso gli occhi dell'elfa che rimane abbagliata per qualche istante. Si stropiccia le palpebre dopo aver ripreso la vista e dice «Tutto qui?».
«Ho voluto usare una magia semplice, o vuoi che ti incenerisca la gonna?» le domando sbuffando e appoggiandomi una mano sulla fronte. Asso si avvicina prontamente a me. «Ce la farai col mal di testa?» mi chiede preoccupato a bassa voce.
«Sono da molto tempo lontana dal pugnale, ma credo di sì».
Nyfal guarda il palazzo con aria pensierosa. Seguo la traiettoria dei suoi occhi e penso a Githia. Mi sarebbe piaciuto aiutarla, ma era impossibile. Nella tana del lupo dove ogni passo poteva ritorcersi contro. Capivo la sua rabbia e il suo disappunto, la sua voglia di essere ascoltata era anche la mia quando ero prigioniera del mio stesso popolo. Magari gli orchi riusciranno a liberarla. In cuor mio me lo auguro...
«Avete mai combattuto un orco?» ci chiede il vecchio interrompendo il silenzio.
In realtà avrei voluto soltanto dirgli che volevo andarmene via da quel posto, da quello scontro in cui né io né Asso centravamo qualcosa. «Sì» mente lui anche per me.
«Potrebbero esserci utili» continua a ragionare, cercando di convincere la sua principessa.
«Rischierebbero la vita e non voglio. Prendete i vostri Fherim e andatevene» ci ordina, prima di rivolgersi solo al vecchio elfo «Mostragli la strada verso est». Il vecchio annuisce e lei si incammina a grandi passi verso il palazzo. Le elfe si inchinano di nuovo al suo cospetto e dice loro qualcosa in elfico che le fa smettere di lavorare e correre nel palazzo dietro di lei, come ansiose ancelle.
Poco dopo il suono rumoroso di un corno aleggia nell'aria.
Il vecchio aggrotta la fronte verso il cielo. «Stanno già inviando altre truppe. Sembra che oggi non si festeggerà proprio nulla. Seguitemi». Il suo sangue freddo innaturale non fa altro che aumentare la mia preoccupazione, dopotutto il suo popolo stava finendo nel bel mezzo di uno scontro.
Mentre cerchiamo di tenere il suo passo svelto mi sento stranamente grata a Nyfal per non aver accettato il consiglio di Asso, ma tanto so già che ci butteremo nella mischia per cercare Derrin e Kalen, trattenuti ancora prigionieri dagli orchi. E questo mi spaventava. Il vecchio elfo ci fa perdere nel bosco e sussurra ad ognuna delle nostre strambe cavalcature delle parole, prima di spiegarci come salire.
Mi sento strana ad essere sopra a quel pennuto fuori misura. Lo sento respirare sotto di me, raschia con la zampa destra il terreno e alza il capo fiero. Pronto all'azione. Più pronto di me.
Ti prego, non farmi cadere.
Stringo le redini con entrambe le mani.
«Asdhe» ordina il vecchio ai Fherim. Trattengo il fiato e il pennuto giallo parte, correndo velocemente, molto più in fretta di quanto mi aspettassi. Trattengo un urlo. Sembra quasi che le sue zampe non tocchino il terreno.
Al mio fianco c'è Asso chino sul suo Fherim per evitare di sbattere su un ramo con la testa.
«Come si fermano questi cosi?» grida rivolto verso di me. Si è completamente steso sulla groppa del pennuto e gli abbraccia il collo.
Mi volto indietro di scatto, il vecchio ci sta salutando con la mano e sembra un piccolo punto lontano in mezzo al candore degli alberi.
«Portateci alla muraglia» ordino, ricordando che possono capire anche la nostra lingua. «Alla muraglia dove stanno combattendo gli orchi e gli elfi». Sputo una ciocca di capelli che mi è finita in bocca.
Il mio Fherim si ferma bruscamente e dopo qualche passo anche quello di Asso. Si guardano e quello su cui è montato l'illusionista ha proprio l'aria di qualcuno che non sa più cosa deve fare.
«Santa magia, sto per vomitare» commenta il mio compagno di cavalcata.
«Secondo te ha capito cosa gli ho detto?» chiedo perplessa ad Asso, che con una mano si tocca il ventre.
«E che ne so. Non so nemmeno se hanno le orecchie».
Così riprovo. «Portateci...» ma il Fherim mi blocca ed emette un verso stridulo simile al cinguettio di un uccellino.
«Forse non vogliono perché sentono che sarebbe pericoloso per loro» ammetto tra me e me.
«O forse devi solo chiedere per favore» dice Asso. «Per favore vogliamo andare alla battaglia, ma per favore correte più piano» sottolinea.
Poco dopo il suo Fherim procede deviando direzione e viene seguito a ruota dal mio. «Visto?» Asso sorride trionfante, ma il suo sorriso ha breve durata, perché i Fherim cominciano di nuovo a correre velocemente. Anzi, più velocemente di prima.
Il vento prodotto dalla corsa mi schiaffeggia il volto e mi costringe a tenere gli occhi semichiusi per buona parte del tragitto, finché lo sbattere delle zampe dei Fherim sul terreno viene sovrastato dal clangore di armi, metalli che sbattono tra loro e rumore di voci che urlano.
I Fherim si fermano, ma gli alberi coprono la nostra visuale. «Credo che da qui dovremmo proseguire a piedi» dico ad Asso che annuisce. Mentre scendo dalla sella, noto alcune lepri dalla lunga coda che saltellano nella direzione in cui siamo venuti. Scappano dalla battaglia.
Asso è destabilizzato dalla corsa, così mi avvicino a lui per aiutarlo. Non sono mai stata così felice di avere i piedi per terra.
«Ce la fai?» gli chiedo preoccupata, mentre si raddrizza e mi avvolge un braccio intorno alle spalle.
«Non mangerò mai più un tacchino in vita mia» commenta sarcastico.
Un frastuono improvviso ci costringe ad alzare gli occhi verso gli alberi di fronte a noi e i Fherim scappano via. Guardo le loro code allontanarsi, prima di chiedere ad Asso se riesce a camminare e lui annuisce di nuovo.
«Restami vicino» gli dico, ma lui sorride. «No restami vicino tu». Estrae da sotto il mantello una pistola. «L'ho presa a quel pirata piccoletto» mi informa, notando il mio sguardo dubbioso verso quell'arma che mi incuteva tanto timore.
«Va bene. Cerchiamo Kalen e Derrin e andiamocene». Mi sudano le mani e sento l'incombenza della battaglia. A pochi metri, tra quei tronchi. Il cuore mi martella nel petto. Non avevo mai combattuto. Non avevo idea di che cosa ci avrebbe aspettato, ma speravo finisse in fretta.
«E se non ci sono?» mi domanda.
«Se non li vediamo attraversiamo la muraglia e li cerchiamo fuori».
È Asso a muovere il primo passo e a stimolare me a seguirlo. Usiamo i tronchi come scudi e ci muoviamo fermandoci ogni tanto a controllare se ci sono nemici in vista.
Impugna la pistola come se ne avesse usate tante, con disinvoltura. Non è la prima volta che si muove così. I rumori della battaglia si fanno sempre più forti. I rami degli alberi si muovono animati di una propria volontà e strisciano a terra, allungandosi come ombre. Cerchiamo di non calpestarli. Il mio sguardo va dalle spalle di Asso alle radici tra i miei piedi nudi.
Il sole è oscurato da una nuvola di passaggio, riflettendo un grigiore cupo e sinistro tra gli spazi delle ampie chiome bianche.
Una sagoma viene scaraventata contro il tronco al nostro fianco, facendomi tremare. Si tratta di un elfo candido. L'elmo spaccato a metà da grande un'ascia che lo inchioda al tronco, gli occhi chiusi oltre la visiera abbassata e della strana linfa trasparente che gli cola dalla ferita aperta sulla testa. Il corpo si affloscia sul terreno senza vita, lasciando l'elmo sospeso a metà, trattenuto dalla lama sull'albero.
Mi tappo la bocca con la mano, mentre Asso sgattaiola affianco all'elfo e gli ruba la spada che ancora stringe in un pugno, ormai debole.
Sporgo lo sguardo oltre la corteccia e alla mia vista compare la muraglia verdeggiante, incastrata tra il bosco e un ammasso di orchi verdi e giallastri, che superano gli alberi più bassi in altezza e combattono con clave e asce contro gli elfi, che al loro confronto sembrano delle piccole formiche grigie. I rami degli alberi cercano di intrappolare le gambe e i grossi piedi degli orchi, avviluppandosi su qualsiasi corpo incontrassero.
Un elfo appollaiato sopra un ramo scaglia una freccia nell'occhio di un orco che lancia un urlo e viene subito infilzato alle gambe da una moltitudine di spade elfiche.
Un boato mi costringe a guardare verso il cielo e vedo che un orco sta atterrando sulla battaglia, schiacciando i rami col suo peso, come se qualcosa lo avesse tirato al di sopra della muraglia. Finisce contro un altro orco e per poco non lo fa cadere di faccia sopra gli elfi.
Lo guardo bene e noto che si tratta di Jorl. Recupera velocemente l'equilibrio e sfodera una lancia da dietro la schiena. Ha un ghigno sul volto. Si passa la lingua sulle labbra prima di urlare qualcosa ai suoi alleati.
I rami incantati gli si avvolgono veloci attorno ai piedi e lui cerca subito di tagliarli.
«Dobbiamo superare la muraglia» mi avvisa Asso, cercando di sovrastare il caos dello scontro.
Restiamo a distanza di sicurezza, nascondendoci dietro i tronchi. Un orco lancia la sua ascia che saettando e sibilando nell'aria crea un arco e mozza la testa a un elfo di spalle, che non fa in tempo ad abbassarsi.
La paura scorre insieme al mio sangue e deglutisco mentre passiamo da un tronco all'altro. Mi sento troppo vicina al combattimento. Cerco di non guardare gli elfi che cadono a terra morti, di non pensare alle vite che si spengono poco lontano da me.
Il suono di un corno provoca un senso di smarrimento agli orchi. Arrivano le truppe che ha chiamato Nyfal.
«Corri» mi grida Asso nell'orecchio e io lo faccio. Corro più veloce che posso verso la muraglia.
Corro senza curarmi di cosa succede al mio fianco.
Ma qualcosa mi trattiene improvvisamente per i capelli, tirandomeli e provocandomi un dolore acuto. I rami incantati si stanno intrecciando intorno alla mia chioma bloccandomi sul posto.
«Asso!» lo chiamo, vedendo che è avanzato molto più di me. Lui si gira, sgrana gli occhi e torna indietro. Appena mi raggiunge tenta di liberarmi, di districare i rami che si muovono anche attorno ai miei piedi, mentre io cerco di comandarli con la magia, ma non sembra funzionare.
«Tagliali» gli dico, mentre quei rami tirano le mie ciocche sempre di più.
«No» mi risponde e lascia cadere a terra la spada per usare entrambe le mani. Sento le sue dita frenetiche muoversi dietro la mia testa.
Chiudo gli occhi, il dolore è insopportabile.
Qualcosa sibila accanto al mio orecchio e qualcosa mi colpisce il piede. Mi costringo ad aprire gli occhi e trovo Asso steso a terra. La sua mano mi tocca il piede destro.
Lo chiamo ma lui rantola qualcosa che non capisco. Riprovo a liberarmi con la magia. «Clai dolmen» sussurro all'infinito. Le lacrime mi pungono gli occhi e finalmente gli alberi mi lasciano andare.
Mi getto su Asso e cerco di trascinarlo lontano, in un posto più riparato, e finiamo sotto a un grosso cespuglio.
L'illusione del mantello nero svanisce dalle mie spalle, facendomi sentire improvvisamente scoperta e il mantello di Asso torna del suo verde consueto. I muscoli delle mie braccia mi avvisano dello sforzo e mi chiedono una tregua, ma mi chino di nuovo sul mio amico e gli poggio la testa sul mio grembo.
«Mi fa male lo stomaco» pronuncia con un filo di voce. «È tanto grave?». Tossisce.
Gli accarezzo i capelli. «No» mento «Solo un graffio. Ora ti curo con la magia, resta fermo». La voce mi trema. Una freccia è conficcata nel suo petto.
La afferro con entrambe le mani e la tolgo, sfilandola di colpo. Un rivolo cremisi comincia a sgorgare dalle ferita e Asso stringe i denti.
Tampono subito il foro con un lembo del suo mantello, schiacciandola con tutto il mio peso.
Asso tossisce di nuovo.
«Vaseryl». Richiamo la magia come non ho mai fatto, cercandola disperatamente. Mi avvolge le mani illuminandone di una calda luce dorata. Funziona, ti prego.
Una fitta alla testa mi fa barcollare, ma cerco di rimanere concentrata e assestare quel dolore. Lo reprimo dentro una parte di me e mi faccio coraggio.
«Prendi la mappa e scappa» rantola Asso, boccheggiando. Mi afferra un polso con una mano.
«Asso ti prego...» comincio a dirgli ma lui mi interrompe. «Fai come ti dico. Prendi la mappa e salva Magnolia».
Tossisce ancora e una convulsione fa fremere tutto il suo corpo. Le mie lacrime diventano pesanti e scendono a bagnare il suo corpo. Ne vedo la sagoma a forma di cerchio sul colletto della sua camicia.
«Resisti» gli chiedo. «Per favore, resisti».
La sua mano si apre e scivola dal mio polso, cadendo sul terreno.
Intravedo la sagoma del rotolo di pergamena in una tasca del suo mantello.
L'afferro con le mani macchiate di sangue.
Asso chiude gli occhi e a stento pronuncia «Vai».
Un altro tremito lo scuote e una goccia trasparente gli scende dall'occhio sinistro scivolando nel suo orecchio.
Non lo ascolto. Premo di nuovo le mani sulla ferita e recito l'incantesimo.
Perché non funziona?
Anche la pergamena sta assorbendo il sangue di Asso come fosse una spugna.
Lo sforzo mi fa tremare. Un fruscio mi costringe a guardare oltre il fogliame e noto una guardia elfica che incrocia il mio sguardo a pochi passi da dove ho trovato riparo.
Non riesco a decifrare quale motivazione lo spinge a guardarmi così tristemente, forse la compassione.
Non venire da questa parte. Lo imploro e sembra ascoltare il mio pensiero. Raccoglie la spada che Asso ha mollato a terra e fissa perplesso la pistola, la scalcia lontano col piede e poi torna verso il campo di battaglia.
Infilo la pergamena tra il bordo delle braghe e la pelle della mia schiena.
L'odore del sangue mi fa girare la testa.
Mi asciugo le lacrime che mi offuscano la vista, passandomi la manica della camicia sugli occhi e adagio piano la testa di Asso sul terreno.
Sembra addormentato. Gli prendo le mani, sporcandole col suo stesso sangue e gliele poso sulla ferita. Il suo petto si alza e si abbassa lievemente. Le sue labbra si muovono di nuovo, ma non esce nessuna voce. Non capisco cosa mi vuole dire. Se mi sta ringraziando, sta pregando o mi sta di nuovo ribadendo di andarmene. La sua pelle si è fatta più chiara. Prendo il suo mantello e lo copro come fosse una coperta. Poi mi alzo e gli lancio un'ultima occhiata, prima di uscire da sotto il grande bosso bianco e correre di nuovo verso la muraglia, cercando di non guardarmi indietro.
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