Capitolo 22
Non ricordavo nemmeno di essermi addormentata, ed era il mio turno di guardia. So di aver chiuso gli occhi per qualche secondo. So di aver abbassato le palpebre per quello che doveva essere stato un istante di quell'insolita notte lucente. Guardavo due lune sorte nel cielo nero. Una rossa e l'altra bianca. Si muovevano in fretta, parallele, sfiorandosi di tanto in tanto.
Invece adesso mi trovo a fissare un'alba dorata che colora anche il mare di un giallo intenso. L'acqua inizia a sprigionare un odore di sale insopportabile. Mi stuzzica il naso provocandomi uno starnuto. La brezza marina è fredda, quindi scivolo in avanti, per farmi scaldare dai raggi di quel grande sole.
Controllo i miei compagni di viaggio, girando per un attimo la testa di lato. Dormono tutti e tre, circondando le ceneri grigiastre dei resti del falò. Mi passo il dorso degli indici sotto gli occhi, trattenendo a stento uno sbadiglio. Dovevo proprio aver dormito, seduta all'apertura della grotta, o magari nel posto in cui siamo capitati il tempo funziona in modo diverso.
Lo sguardo mi cade sul cappello di Brens, che Asso tiene appoggiato sopra la faccia per coprirsi dalla luce. Derrin glielo aveva lasciato tenere, a patto che non lo rovinasse. I miei ricordi viaggiano alla nave volante. A quando il menestrello me lo aveva appoggiato sulla testa per ripararmi dal sole cocente.
Il mio stomaco rumoreggia e ci appoggio una mano sopra, cercando di non pensarci. Non tocco cibo da giorni, anche se Kalen aveva insistito perché mangiassi anche io un pezzo di quella strana lepre. In compenso però il mal di testa era scomparso, grazie al fatto che ci alternavamo il suo pugnale quando io dovevo usare la magia.
La mia mente si rifiutava di rimuginare sulle rivelazioni che avevo ricevuto e su mio padre. Non volevo e non potevo credere di essere stata cresciuta in una realtà fatta di menzogne. A che scopo? Per farmi restare reclusa dentro la città magica?
"Gli uomini sotto esseri imprevedibili Venya. La loro indole è devota al potere, alla ricchezza. Tu possiedi il potere. Ti farebbero del male. Qui sei al sicuro. Qui vivrai felice". Il monito di Jarleth mi rimbalza in testa, come tuoni di una tempesta.
Non riesco a credere che anche lui facesse parte di questo piano. Eppure mi aveva aiutata a scappare. Era stato lui a procurarmi una delle chiavi per uscire dalla torre. Forse era convinto che non sarei andata lontano, che mi sarei saziata quanto basta di una piccola libertà e sarei tornata indietro. Ciò che si nasconde dietro le sue azioni è un mistero per me.
Mi concedo di chiudere gli occhi per un altro momento e sotto le mie palpebre si forma il ricordo del balconcino della mia stanza all'Accademia. Alle rondini argentate che mi venivano a far visita, appollaiandosi sui davanzali d'ametista delle grandi finestre di vetro rosato. Ne vedevo i contorni delle ali piroettare nell'aria, disegnare cerchi concentrici, risplendere nel riflesso dei raggi crepuscolari. Ricordo la sensazione di calma che il loro volo mi trasmetteva. Mi sarebbe bastato afferrare il pugnale di Kalen, stretto al suo fianco e pronunciare l'incantesimo per poter tornare in quella che era stata la mia stanza per anni e rivederle. Ora so che sono in grado di farlo e il richiamo di casa è sempre più forte, nonostante cerchi di respingerlo.
Non posso tornare dove mi tenevano prigioniera. Non posso tornare dove mi hanno riempito di bugie. Anche se significa avere un letto comodo, del cibo tutti i giorni e un tetto vero sopra le testa.
Un rumore distorce la mia visione e spalanco gli occhi all'improvviso.
Asso ha ripreso a russare sotto il cappello, che ne attutisce il suono ben poco. Roteo gli occhi verso il cielo, sperando che Brens e gli altri stiano bene per l'ennesima volta. Guardo il mare, di nuovo. Le onde che si rompono sulla sabbia. La nave non sarà lì sotto, mi dico, magari sono vicini. Magari sono qui da qualche parte attraccati sulla spiaggia. Quante possibilità c'erano che lo spirito li avesse lasciati in pace?
Mi sento così inutile. Ci deve pur essere un modo per ritrovarli e per capire dove ci troviamo.
Abbasso lo sguardo sui miei palmi, studiandoli. Prima di andare a dormire avevo curato ogni ferita con la magia e anche la spalla lussata di Asso, ma nonostante avessi dormito cullata dal dolce suono dell'acqua, continuavo a sentire dentro di me sensazioni negative che non mi facevano riposare sul serio.
Un secondo rumore mi fa sussultare e interrompe i miei pensieri.
«Rimani tranquilla» mi sussurra Kalen debolmente, sedendosi al mio fianco. Non mi ero accorta che si era svegliato. Devo stare più attenta a cosa mi accade attorno.
Sospiro di sollievo e i nostri occhi si incrociano per un attimo. «Stai bene?» gli chiedo per spezzare il silenzio che si è creato.
Lui annuisce in quella conversazione sussurrata. Sento i suoi occhi su di me, così mi concentro a fissare la sabbia tra le dita dei miei piedi. Mi stringo nelle spalle quando sento i suoi polpastrelli spostarmi una ciocca di capelli dietro l'orecchio. «Che stai facendo?» mi irrigidisco.
«Nulla di male. Non ti ho ancora ringraziato per il pugnale. Sareste potuti scappare, andare via, e invece hai pensato a me, nonostante il nostro primo incontro non sia stato dei migliori».
Si stava scusando o mi stava ringranziando?
«Tu ci avresti lasciato andare?» gli domando, affondando i piedi nella sabbia, formando una piccola collinetta scura sopra le mie dita.
Lui ritira la mano verso di sé. «Non lo so» risponde sincero. «Quando la maledizione prende il possesso di me stesso non capisco più nulla. Un po' come quando sei sotto l'effetto di una dose di oppio».
«Oppio?» continuo i miei interrogativi, non conoscendo il significato del paragone che ha utilizzato.
Ma lui scuote la testa e io torno a guardarlo negli occhi. «Lascia stare. A volte mi dimentico che sei...» sembra cercare la parola nell'aria e dopo un attimo di sospensione la trova. «Che sei speciale».
«Speciale» ripeto e un sorriso amaro mi contorce le labbra. «Io vorrei soltanto essere una persona qualunque. Tu non sai cosa significa stare rinchiusi, non avere nessuna libertà, senza nemmeno accorgersene» comincio a capitolare, ma poi mi fermo bruscamente. Probabilmente lui lo sapeva meglio di me.
«Certe sostanze non girano a Farvel comunque» mi spiega, tornando sull'argomento precedente. «L'oppio è una droga».
Ci guardiamo, ma lui ora sta fissando qualcosa oltre la mia spalla.
«Che cos'è?». La sua voce non è più un sussurro. Il suo pomo d'Adamo fa su e giù una, due, tre volte e io mi volto nella direzione in cui sta guardando.
Qualcosa viene verso di noi. Distinguo solo delle piccole figure scure scendere dalle rocce sulla sabbia.
Kalen con il braccio mi tira dentro la grotta e urto i piedi di Asso, che smette di russare.
Dei tonfi si avvicinano e sembra quasi che qualcuno stia gettando dei sacchi pesanti sulla spiaggia. Il terreno si mette a vibrare.
«Ma è già mattina?» ci chiede Derrin, mettendosi seduto e stropicciandosi gli occhi.
«Fate silenzio» risponde Kalen, mentre anche Asso si sveglia di soprassalto e sta per dire qualcosa con la bocca ancora impastata dal sonno. Ma Kalen fulmineo gliela tappa con la mano.
Porto l'indice alle labbra in segno di rimanere zitto e Asso annuisce.
Kalen molla la presa e quelli che sembrano dei passi si fanno sempre più vicini. Ci stringiamo tutti e quattro sulla parete di fondo della grotta, verso l'oscurità, lontano dai raggi del sole mattutino.
«Ylush erim bansala» pronuncia una voce cavernosa.
«Sigdu bansala» ne dice un'altra in una lingua sconosciuta. «Ergosa».
Bansala. Mi sembra di aver letto questo termine da qualche parte, ma ora non mi viene in mente di cosa si tratta.
All'imboccatura della piccola grotta fanno capolino delle strane figure. Sono in sette. Hanno tutti la pelle verdastra, tranne due dove è tendente al grigio, corpulenti e muscolosi, completamente calvi, con le piccole orecchie dalla punta acuminata e due zanne aguzze che spuntano ricurve dal labbro superiore e finiscono verso il basso a sfiorare il mento. Un drappo di tessuto marrone li copre tra le gambe, scendendo verso le ginocchia, e delle spade dalla lama larga e delle lunghe lance spuntano dietro la loro schiena. Sono enormi e devono trattarsi di orchi, perché non sono pelosi come i troll.
Non avrei mai pensato di vederne dal vivo. Visto che erano stati cacciati in terre lontane dai maghi.
Il più basso di loro sembra annusare l'aria come farebbe un segugio. «Bansala en ergosa» ripete quasi in conferma.
La roccia ruvida mi graffia la schiena oltre la camicia, mentre il cuore mi sussulta nel petto così forte che temo loro possano sentirne il rumore.
Una goccia di sudore mi scende lungo la tempia e abbassando lo sguardo noto la mano di Derrin volare verso la custodia della pistola.
«Ard viro escat» pronuncia un altro e indica con il dito a terra le impronte che abbiamo lasciato sulla sabbia e che conducono verso la grotta.
Trattengo il respiro. Kalen estrae il suo pugnale senza emettere nessun suono. Asso deglutisce alla mia sinistra. Apro i palmi, pronta a lanciare un qualsiasi incantesimo.
Ma in un attimo mi ritrovo ferma. Incollata sul posto, incapace anche di aprire la bocca per richiamare la magia. I miei muscoli non si muovono, come se non potessi più averne controllo.
La magia degli orchi. Sono molto potenti ma stupidi. Non devi fargli capire che sei un mago, altrimenti loro bloccheranno l'afflusso del tuo potere. Lo domineranno per te e tu non potrai proteggerti. Tutte le nozioni che avevo letto nella biblioteca di Farvel compaiono nella mia testa.
Il loro punto debole sono gli occhi. Bisogna accecarli.
Maledico il fatto di essermi curata dalle ferite. Probabilmente avevano sentito l'odore della magia addosso a me e Asso.
«Ergosa en ret bansala». L'orco più basso entra nella grotta e sembra sorridere soddisfatto sotto le zanne scheggiate. La testa per pochi centimetri non colpisce il soffitto roccioso. Gli occhi prima rosso acceso diventano verdi e un guizzo malefico contraddistingue una scintilla di pura curiosità nel suo sguardo. Incrocia le braccia al petto. Chiudo gli occhi provando a divincolarmi, ma non ci riesco.
«Dannati» pronuncia a stento Kalen, lottando contro l'incantesimo.
L'orco gli risponde con una grossa risata di scherno e al suo seguito ne arrivano altri quattro. Uno è così alto che deve piegarsi per non dover urtare la roccia. Tutti loro hanno gli stessi occhi verde scuro. Sarebbe impossibile distinguerli se non per la statura e le armi diverse legate a mo' di tracolla dietro le spalle possenti.
Ognuno dei quattro si carica uno di noi, prendendolo di peso. Come se fossimo delle statue di marmo non possiamo far altro che rimanere fermi e lasciarci inevitabilmente catturare.
La schiena grigia di quello che mi sostiene sulla spalla è bagnata di sudore e lo sento macchiarmi la camicia sul ventre. Le mani mi cadono a penzoloni dietro di lui e smetto di cercare di muovermi, anche se vorrei soltanto poter far qualcosa.
La processione di quel gruppo di orchi continua in assoluto silenzio. Mentre io continuo a sbatacchiare contro la schiena muscolosa di quell'orco, che con mal grazia mi porta dietro di sé. Non vedo dove ci stanno conducendo, ma almeno Derrin, Asso e Kalen sono ancora con me. L'unica cosa che riesco a sentire sono il vento scandagliato dai passi dei grandi piedi di quelle creature e il tanfo marcio proveniente dalla loro pelle.
Ogni tanto piego il collo, leggermente, per quanto la magia mi permetta di muovermi. Guardo a terra, cercando di capire dove ci stanno portano.
La sabbia diventa roccia. Il sole si offusca dietro l'ombra di spessi rami e la roccia lascia il posto all'erba.
Un'erba molto verde e umida. Quasi del colore degli smeraldi.
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