Capitolo 14
Spalanco gli occhi in un gesto quasi automatico.
Il fumo, la nave, lo spettro, il mare. I ricordi mi corrono in testa e si inseguono con una violenza che mi fa vacillare. Ma respiro e sento ancora tutti i miei arti intatti. Non riesco a credere di essere ancora viva.
Se chiudo gli occhi, sotto le palpebre mi appaiono in visione i bulbi fiammeggianti di quel mostro.
Ho in bocca la sabbia. I granelli sono attaccati al mio viso e alle mie labbra. Hanno un sapore aspro e fastidioso. Onde placide mi cingono i fianchi e mi bagnano i vestiti. Il rumore della risacca è così dolce, come se avesse l'intenzione di cullarmi.
Cerco di alzarmi. Ma riesco soltanto a mettermi in ginocchio.
Mi passo una mano sul viso, cercando di pulirmi dalla sabbia, come meglio riesco a fare. Mi guardo attorno. È notte fonda.
I raggi lunari illuminano una larga spiaggia bianca che si trasforma in una foresta al limitare delle basse dune di sabbia. I rami sono scossi dal vento. Sembrano tutti uguali. Gemelli scuri, dai fusti lunghi che creano un bosco intricato. Si confonde con lo stesso colore di quel cielo privo di stelle.
Derrin. Asso. Loro dove sono finiti?
Li cerco. Ma i miei occhi non riescono a scorgere altre sagome, al di fuori di quella della mia ombra. Provo a chiamarli, ma dalla mia gola esce soltanto una tosse convulsa che mi costringe a chinarmi.
Appoggio le mani su quel tappetto di sabbia morbido e gattonando mi tiro lontano dalla portata delle onde. Quando raggiungo un posto abbastanza riparato mi metto seduta. Il braccio mi fa male. Ho ancora le schegge conficcate nella pelle. Le ginocchia cominciano a bruciare, dopo averle strusciate su conchiglie e sassolini acuminati.
Respiro quel vento fresco e notturno e comincio a curarmi le ferite. Più si lenisce il dolore fisico, più aumenta la preoccupazione. A quanto pare sono naufragata su quest'isola da sola. Ma gli altri staranno bene? E la nave sarà sfuggita da quello spirito malvagio?
Quello spirito... Chi era quell'entità e perché ci aveva attaccati?
Non riuscivo a ricordare cosa fosse accaduto da quando ero riuscita ad avvolgere me, Derrin e Asso nell'incantesimo protettivo.
Il mal di testa era passato, ma non riuscivo a smettere di tremare per il freddo. Mi abbraccio le ginocchia al petto, mentre la consapevolezza della situazione si fa largo nel mio animo. Ero sola. In un posto che non conosco, forse sperduto. Avevo sempre saputo che non sarebbe stato facile fuggire di casa, ma non avrei mai pensato di trovarmi delle vite sulla coscienza.
Sentivo il peso di quello che era successo, assumendomene le colpe. Io potevo salvarli, avrei dovuto salvare tutti quanti.
Se solo non fossi così ostinata ad odiare il mio dono. Se usassi la magia più spesso sarebbero stati più forti i miei incantesimi e avrei potuto tenere testa a quel fantasma.
Ma rimpiangere ciò che ho sbagliato non mi sarebbe servito a nulla. Non in questo momento.
Fisso le onde che continuano a infrangersi sulla spiaggia, immutabili. Il mare si sfuma tra il grigio e il blu, con riflessi di luce bianca laddove la luna si specchia al suo interno. Il vento porta con sé un profumo innaturale. L'odore acre di qualcosa che è stato carbonizzato sovrasta qualsiasi altra fragranza.
«Derrin dove sei?» penso ad alta voce, massaggiandomi le ginocchia. Il battito del mio cuore non vuole saperne di calmarsi. Vorrei essere forte, ma per la prima volta mi sento crollare.
«Derrin» lo chiamo gridando. «Asso». «Derrin» tento di nuovo. Tossicchio per poi coprirmi con il palmo, stretto in un pugno, davanti alla bocca.
Nessuna risposta. Come è possibile che loro non sono qui con me? L'incantesimo avrebbe dovuto salvarci dalle onde, trattenendoci vicini.
L'incantesimo sarebbe durato finché avrei voluto.
L'incantesimo...
Lo sguardo mi cade sulle dita bianche. Le unghie rovinate. Forse non aveva funzionato? Ma alla fine la magia mi ascoltava sempre, non mi aveva mai davvero disobbedito.
Affondo i piedi nella sabbia. Vorrei prendere a pugni il terreno. Mi arrabbierei volentieri con quella spiaggia invece che con me stessa.
Appoggio le mani ai lati della mia bocca. «Derrin» riprovo, senza darmi per vinta. Sicuramente se è ancora vivo mi risponderà. Ma lo è? Quella possibilità mi spaventa.
Scuoto la testa, cercando di non pensarci. Forse invece sono morta io ed è qui che vanno le anime, una volta compiuto il loro ciclo di vita. Me lo ero chiesta tante volte dove sarei finita una volta morta. Ma non credevo avrei provato così tante sensazioni negative.
Ma che cosa sto pensando? È ovvio che sono ancora viva.
«Derrin» continuo a chiamarlo, lasciando da parte la fitta ai polmoni per lo sforzo. Chissà quanta acqua di mare mi ero bevuta. Vorrei alzarmi a cercarlo ma non credo sia una buona idea. Dovevo prima riprendermi.
«De...». Qualcosa mi tappa la bocca all'improvviso, bloccando le mie parole a attutendole attraverso una striscia morbida che ha la stessa fattezza del tessuto.
«Una sirena! Ho catturato una sirena» si mette a urlare una voce maschile alle mie spalle. «Presto dammi una mano, altrimenti potrebbe scappare».
Cerco di divincolarmi da quella presa, ma a quanto pare la persona che mi ha catturata è davvero molto forte. Perché non riesco ad ottenere nulla. «Sbrigatevi» continua a sbraitare.
Provo a parlare ma la mia voce è attutita da quel pezzo di stoffa. «Eh no, non mi stordirai col tuo canto».
Ma che stava insinuando?
Lo sento far leva coi piedi per sollevarmi da terra. Dei passi si avvicinano.
«Idiota, non vedi che ha le gambe?» un'altra voce rimprovera chi mi sta trattenendo, che prontamente mi tocca una coscia. «Ah, sai che non vedo bene. Potremmo comunque venderla al mercato» risponde di rimando. Continua a tastarmi la gamba con la sua mano sudata. «O magari prima ce la spassiamo un po'. È bella?».
Davanti alla mia faccia ne spunta un'altra. Nel pallore della luna riesco a distinguere un pizzetto che scende sul mento, dei baffi neri e dei capelli ricci dello stesso colore, un paio di occhi azzurri su un volto bronzeo. Mi prende il mento tra due dita e lo gira prima a destra e poi a sinistra. Mentre chi ha catturata mi stringe per le braccia, premendo più forte. «Accidenti se lo è» emette un fischio di approvazione.
L'altro alle mie spalle ride. «Allora direi che alla fine non ci è andata male. Meglio una con le gambe che una senza».
L'uomo davanti a me si affretta a togliermi il fazzoletto dalla bocca.
«Come ti chiami?» mi domanda, fissandomi con un sorrisetto che gli solca le labbra.
Mossa sbagliata. «Clai dolmen» pronuncio e la magia richiama la terra, facendola vibrare sotto ai nostri piedi. Si spacca, crepandosi dietro i miei talloni. Le pietre si alzano, levitando nell'aria. L'uomo che mi trattiene mi da una spinta mandandomi tra le braccia di quello che mi sta davanti, per evitare di cadere nella fossa che sta inghiottendo la sabbia.
«Che mi venga un colpo, una strega» dice il nuovo carceriere, e il suo tono mi sembra compiaciuto da quella scoperta.
«Lasciami andare» lo avviso, mostrandomi agguerrita nonostante la fatica immane che sto facendo per reggermi in piedi.
«Non credo proprio».
«Tael ruam» ordino alla sua ombra di staccarsi dalla sabbia e catturarlo. Lui mi lascia andare, per poter divincolarsi dal buio che gli si sta attorcigliando attorno alle caviglie.
Faccio un passo indietro, soddisfatta. «È una strega» grida verso il compare dall'altra parte del fossato magico. Ha una benda a coprirgli l'occhio sinistro. «Prendila» gli ordina, mentre cerca invano di muovere un passo verso di me e riacciuffarmi.
Comincio a correre, mentre il crepaccio si muove con me, allargandosi e allungandosi, a sbarrare la strada all'uomo bendato che cerca di inseguirmi.
Sento uno scoppio e qualcosa sibila accanto al mio orecchio. Vedo un piccolo rettangolo scuro impiantarsi nella sabbia, poco più avanti di me, nella direzione in cui sto correndo.
Mi fermo. «Clai elan». Dal mare si alza una colonna d'acqua che mi fa da scudo trasformandosi in una muraglia, che scorre a pochi centimetri dalla sabbia e che crea un muro tra me e i miei inseguitori. La schiuma prodotta dalle onde al suo interno quasi me li nasconde alla vista.
Continuo a correre, lasciandomeli alle spalle. Pensando che forse sarebbe meglio entrare nel bosco. Guardo i tronchi scuri molto vicini tra loro. Ha l'aria di essere impenetrabile, ma viro verso quella direzione, sperando di far seminare le mie tracce.
Ma nella corsa mi sento appiccicare i piedi da qualcosa di strano. Guardo sotto la sabbia e noto una strana rete composta da svariati fili, ricoperta da qualcosa di giallognolo. La luna la illumina debolmente. Tento di alzare la pianta del piede destro ma è come incollata a terra. Mi chino tentando di scavare e liberarmi, ma anche le mani rimangono attaccate al contatto con quella strana sostanza.
Impreco tra i denti. Lo stesso odore di bruciato che avevo sentito prima si fa più intenso e comincio a sentire le palpebre pesanti.
Più mi muovo, più resto invischiata in quella trappola, come una mosca nella ragnatela.
Cerco di fare una magia per liberarmi, ma il mio corpo non mi risponde e non riesco a far altro che cadere a terra distesa. Continuo a dimenarmi come un bruco, ma non riesco a ottenere nulla.
La sabbia attutisce il mio urto con il terreno e prima che i miei occhi si chiudano del tutto, riesco a intravedere la muraglia d'acqua dissolversi e bagnare la spiaggia con una linea, compattando la sabbia sotto di sé.
Quando mi risveglio sono ancora stesa a terra, ma il suolo ha cambiato consistenza. Ora è duro e fatto da un terriccio marrone e umido.
Il mio sguardo mette a fuoco delle sbarre di ferro nero.
Giro la testa, cercando di capire dove mi trovo. Sono in una gabbia. Quei briganti alla fine mi avevano catturata. Ma sarei scappata, dovevo solo recuperare le forze.
C'è un'altra persona nella cella accanto alla mia. Una figura. Una schiena nuda appoggiata alle sbarre. La testa china, nascosta tra le ginocchia. I polsi legati da delle corde strette e spesse.
Delle corde simili legano anche i miei polsi.
Cerco di alzarmi puntando il gomito per terra e di sciogliere i nodi. Mi sento così debole che ogni movimento mi fa sussultare. Anche respirare mi sembra faticoso.
Ma che mi succede? Ripenso a quella strana sostanza che odorava di bruciato, cercando di capire come avevano fatto a stordirmi. Ma poi mi sento osservata.
Il ragazzo al di là delle sbarre alza il volto e io riconosco subito i suoi occhi.
«Non sprecare energie, tanto non ti servirà a nulla» mi consiglia e la sua voce mi conferma chiaramente che non mi sto sbagliando.
È il ragazzo a cui ho rubato il pugnale.
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