Capitolo 11
Tre, due, uno...
La bottiglia si rompe in mille pezzi, cadendo sul pavimento con un sonoro schianto. Ma attira solamente la mia attenzione. Tutti i presenti sono infatti immersi a osservare due uomini che stanno per litigare, proprio al centro dell'angusta sala. Derrin mi ha spiegato che uno dei due è Ghial, il fabbro più richiesto della città. Un uomo grande e grosso che mi ricordava molto uno di quei tori che ho incontrato in un allevamento, prima di finire sulla via di Landa.
Ghial non aveva fatto altro che urlare a squarciagola quanto fosse fortunato per tutta la sera, senza rivelarne il vero motivo. Mentre l'altro doveva trattarsi di un viaggiatore delle terre del Sud, a giudicare dalla fattura del suo mantello. Riconosco il sole a sette raggi che è l'emblema del regno più lontano degli uomini, mentre i miei pensieri corrono di nuovo alle chiacchierate con Jarleth. Parlare di storia e geografia era il passatempo preferito del guardiano della biblioteca.
Ghial aveva afferrato il suo avversario per il colletto della camicia e quell'altro, col gomito, aveva urtato la bottiglia di birra abbandonata sul massiccio tavolo di legno scuro. Doveva essere stata mezza piena, perché la bevanda chiara si spande a macchia d'olio sulle piastrelle già sporche, tra le schegge di vetro marroni del suo ormai defunto contenitore.
«Come osi ragazzino?» lo aggredisce verbalmente Ghial.
Qualcuno tra gli spettatori rumoreggia in sottofondo, altri fissano la scena increduli.
C'era solo da chiedersi che cosa avesse infastidito il vecchio fabbro in quel modo. La lunga barba riccia e folta unta, i muscoli delle braccia tesi sotto una tunica color acquamarina che li fasciava alla perfezione, e due occhi neri come l'ebano, ma animati dalla danzante fiamma della rabbia. Puntati dritti verso il suo avversario, che non riesco a scorgere in volto. Mi da le spalle ed è coperto con quel mantello verde scuro ricamato da tanti piccoli soli argentati sul bordo, e tanto di cappuccio calato in testa a celare la sua identità. Dall'esitazione dell'uomo mi immagino che lo stesse fronteggiando con lo sguardo.
«Potrei appenderti al muro, ma non lo faccio perché la tua puzza di latte si sente fino al cielo» continua Ghial minaccioso, per poi sputare a terra. Le vene gonfie sul collo lo fanno somigliare vagamente ad una vulcano sotto pressione. Pronto a esplodere da un momento all'altro. «O forse ti piacerebbe se ti schiacciassi la testa sul pavimento, eh?» e lo solleva ancora di più da terra, facendo comparire uno spazio tra le piastrelle e le scarpe di quel povero ragazzo. Nessuno osò più fiatare.
La sua preda non dice nulla, si limita ad incassare l'insulto, senza nemmeno provare a difendersi. Mossa astuta. Non bisogna mai versare olio bollente sul fuoco. Anche se probabilmente fossi stata al posto di quel ragazzo, non gli avrei mai permesso di trattarmi in quel modo. Ghial sembra proprio il tipo di persona che le staffe le perde facilmente.
«Suvvia Ghial, lo sai che non voglio si importunino i miei ospiti» si intromette Fenycia, la locandiera di quel posto incastrato tra delle abitazioni in riva al mare, nonché adorabile zia di Derrin. Appena eravamo entrati nella sua taverna, lei ci aveva accolto a braccia aperte e offerto da bere e da mangiare. Non si era risparmiata dall'abbracciare il nipote così tante volte che se fossi stata nei panni di Derrin avrei inventato una scusa per andare via.
«Il tuo ospite qui» le risponde secco il fabbro, agitandolo come se fosse stato un panno da stendere al sole «Ha cercato di ingannarmi, è un ladro». Gira il volto verso il bancone, dove mi trovo anche io, contraendo la mascella, come a voler sottolineare che non le avrebbe dato retta tanto facilmente. Ma Fenycia si mette le mani sui fianchi appuntiti e lo squadra severa, autoritaria, con i suoi occhi color miele. Si fissano per qualche istante e l'aria della locanda sembra diventare elettrica e soffocante. Ma poi Ghial molla la presa, lasciando andare quello sfortunato che tossicchia appoggiandosi allo spigolo del tavolo. Ghial lo aveva fatto controvoglia, glielo si leggeva in faccia che fremeva di entusiasmo di dare spettacolo.
«Nessuno attacca briga nella mia taverna» commenta compiaciuta, per poi avviarsi a raccogliere i resti della bottiglia caduta per terra.
Guardo il fabbro che si rintana vicino al camino, per giocare a dadi insieme ad altri mercanti che si stavano barattando vari sacchetti colmi di spezie profumate. Ma poi un palmo aperto mi passa davanti agli occhi e mi ostruisce la visuale.
«Lainnyr, come mai è tutta la sera che sembra tu abbia visto un fantasma?» mi domanda Derrin di nuovo preoccupato. «Sei assente».
Si era allarmato anche quando mi aveva visto far ritorno sulla nave. Non avevo idea di che espressione potessi avere, ma il mio cervello faticava ancora a credere a ciò che i miei occhi avevano visto. E se fosse stata un'allucinazione? No, mio padre è vivo. Il mio dubbio era se tutti lo sapevano e me lo avevano tenuto nascosto o lui aveva deciso di abbandonarmi.
Il mio cuore non faceva altro che macchinare supposizioni, mentre invano cercavo di concentrarmi su altro. Perché era lì? Perché sembrava obbedire alla regina degli uomini? Perché aveva quegli occhi?
Quegli occhi... La regina aveva gli occhi di un mago. E se lo avesse sedotto con un incantesimo? Impossibile, non può essere così forte, non così giovane. Sicuramente aveva dodici anni o giù di lì. E allora per quale motivo lui sembrava un burattino? Uno spirito incatenato ai suoi ordini?
Il mago la protegge. Magia oscura. Stanne lontano. Mi si ripetono in testa le parole della venditrice. Tutti ne hanno paura e per questo il governo è nelle mani di quella bambina.
Scuoto la testa, cercando di scacciare quei dubbi. Vorrei che Jarleth fosse con me. Lo avevo desiderato tante volte da quando ero scappata di casa. Lui saprebbe cosa fare.
«Mi dispiace Derrin, ma temo che la tua idea di svagarci un po' non vada bene per me, non sta sera» gli rispondo, passandomi le mani sul volto stanco. Sapevo che me lo aveva chiesto solo perché mi aveva vista sconvolta. Non mi aveva fatto domande e si era diretto dal nonno a dirgli che andavamo a salutare la zia.
L'odore del malto e dell'idromele in quel locale comincia a farmi girare leggermente la testa. Vorrei andar via, ma non so come dirlo a Derrin. Ho il timore che si possa offendere.
«Non preoccuparti. Però non vorrei che tu fossi così misteriosa con me» mi rivela quel suo desiderio e tutto d'un tratto sembra quasi intimidito, come quando l'ho baciato. Sembrava passato un secolo, invece era accaduto a malapena quella mattina.
Sospiro, rassegnata. «La mia vita è un mistero, quindi ne deduco che io non posso fare altrimenti».
«Ma questo non mi aiuta. Adesso devo convincere anche mio nonno a farti viaggiare con noi, e non so nemmeno chi sei». Sospira anche lui.
«Che vuoi dire?» chiedo improvvisamente allarmata. Era successo qualcosa che non sapevo e non ero sicura di poter digerire altre scoperte per oggi.
«Volevo parlartene prima. Quando è tornato dall'udienza era strano. Sembrava come intontito. E dopo aver discusso con il capitano non è andata meglio» comincia a raccontarmi, stringendo i pugni sul legno del bancone. «Si partirà domani all'alba, alla ricerca della polvere di luce» sussurra sottovoce. «Se lo sapesse mia zia mi legherebbe ad una sedia, pur di non farmi andare e direbbe che quel vecchio ha perso il lume della ragione».
«Che cosa sarebbe questa polvere?». Il fatto che non ne avessi mai sentito parlare mi rendeva irrequieta.
«Immagino che tu sappia che cos'è un mago».
Deglutisco e annuisco. Mi sarebbe piaciuto dirgli che ne aveva uno davanti. Seduto al fianco del suo sgabello.
«Bene, quella polvere può far avverare qualsiasi desiderio. In pratica ti rende un mago».
Impossibile che esistesse qualcosa di simile. Gelosi come sono, i maghi l'avrebbero già fatta sparire dalla circolazione. «E come funziona?» gli domando incuriosita.
«Nessuno lo sa. Nessuno è mai riuscito a trovarla».
Le parole del capitano mi balzano in testa. Aveva detto che tutti sono morti tentandoci.
«La regina vuole farvi cercare una polvere che non si sa se esiste?».
«Esiste, ma a quanto pare nessuno è riuscito a...». Derrin si blocca, perché sua zia ci passa vicino. Ci sorride e dopo essersi scostata la frangia scura dagli occhi, afferra una caraffa e un vassoio da dietro il bancone. Poi se ne torna a girare tra i tavoli. «A tornare indietro. Credo che più della metà della ciurma se ne tirerà fuori» conclude enigmatico.
«E perché tu ci vuoi andare se è tanto pericoloso?».
«Non posso lasciare mio nonno. Lui non voleva, ma io ho insistito. Non può pilotare da solo la nave. Ed è l'unica possibilità per ricevere il denaro che ci serve a costruire altre invenzioni». Si mette a giocherellare con il cucchiaio, come se fosse innervosito da quella novità. «Piuttosto credevo che tu volessi venire, volando riusciremo a sorvolare diversi tratti di mare, dove molte navi hanno fatto perdere le loro tracce. O almeno di questo è convinto il capitano».
«Perché dovrei? Dopo queste informazioni soprattutto».
«Non ti facevo così fifona» si decide a guardarmi negli occhi e noto che mi sta prendendo in giro. Ma anche se cerca di essere spiritoso, qualcosa nel suo sguardo continua ad essere preoccupato.
Il quadro non mi era ancora del tutto chiaro. «Perché la regina vuole quella polvere?» mi sfugge ad alta voce quel pensiero e Derrin pensa che io glielo abbia domandato.
«Mio nonno non me lo ha detto. In realtà non dovrei dirti queste cose». Risponde subito. «Vedi, io non sono misterioso come te» mi punzecchia, immagino per allentare il suo nervosismo.
Sospiro di nuovo. «Non mi fido spesso degli estranei, mi...» la voce quasi mi si spezza «Ho scoperto da poco che quella che credevo una famiglia mi ha tradito, mi ha mentito per anni». Forse, aggiungo mentalmente. Ma per il momento la sensazione che mi prevale dentro è proprio la delusione che segue al tradimento.
«Per questo mi hai detto che non avevi nulla da lasciare?».
«Non ho niente da perdere».
«Allora perché non vieni?».
«Mi vuoi proprio veder morta?» gli chiedo divertita, provocando la sua risata, che poi tutto a un tratto si spegne con la stessa velocità in cui è nata.
«Probabilmente non crederai a cosa ti sto per dire. Ho fatto un sogno la scorsa notte e mia madre mi diceva di tenermi vicino una ragazza senza scarpe, e il giorno dopo ti sono letteralmente inciampato contro».
Ha ragione, non gli credo. «Mi stai prendendo in giro, vero?».
«No, vedi» la sua mano vola alla chiave del baule che tiene appesa al collo «Mia madre è morta quando sono nato, non l'ho mai conosciuta, ma ogni tanto la vedo nei sogni».
«Anche la mia». Probabilmente io e quel ragazzo abbiamo più cose in comune di quanto io immagini. «Ma non mi parla nei sogni» aggiungo, pensando a quanto mi sarebbe piaciuto conoscerla.
«Ciò che dice mia madre si è sempre avverato» continua imperturbabile.
«E se sta volta si sbagliasse?».
«Non credo sia possibile. Quando una persona ti ama vuole proteggerti, sempre». La sua frase mi colpisce al cuore, intristendomi. Chi mi aveva amata se mi ero sempre protetta da sola? Il mio stesso padre, a quanto pare, mi aveva abbandonata. Se gli fossi stata cara mi avrebbe portata con lui.
Ma poteva anche darsi che fosse sotto qualche incantesimo.
Avrei voluto correre di nuovo nella sala del trono e domandargli quello che mi fremeva nell'animo. Dirgli che sono sua figlia e tutto quello che mi passava per la testa, ma non sarebbe stato un buon piano.
E forse la verità mi avrebbe spezzata per sempre.
«Non volevo offenderti» si affretta a scusarsi. «So che ti sembrerò un pazzo, ma vorrei che tu venissi con noi. Non moriremo solo se tu verrai. O almeno mia madre mi ha detto così, quando mi sono appisolato mentre tu eri in giro a vagabondare» continua a raccontarmi. «Chissà dove» sottolinea poi, con enfasi.
«E come convincerai tuo nonno e il capitano Antares?» gli chiedo prima che lui possa domandarmi dove sono stata e perché non mi sono comprata delle scarpe.
«Mio nonno mi ha raccomandato più volte di salutarti sta sera, per questo ci ha lasciati andare» mi spiega triste. «Ha detto che non possiamo rischiare troppe vite».
«Quindi è irremovibile?». Mi sento sempre più preoccupata al riguardo.
«Già» la sua voce è quasi un sibilo. «Ma se tu sei già sulla nave quando ormai siamo partiti, non credo che ti butteranno di sotto».
Quindi lui aveva già un piano. Rimugino sulle sue parole e mi sembra l'unica possibilità.
«Abbiamo un accordo signor Derrin Ortix» gli porgo la mano, fissandolo di nuovo negli occhi.
«Sai che non te lo chiederei, se non fosse per ciò che ti ho raccontato».
Annuisco. «Ti guarderò le spalle» dico, mentre lui mi stringe la mano a suggellare il nostro patto.
Quando ormai usciamo dalla taverna il tramonto è passato, lasciando del suo passaggio soltanto delle scie color caramello e verde acqua, all'orizzonte di cielo trapuntato di stelle bianche e luminose.
Un uomo ubriaco oscilla pericolosamente all'angolo della taverna. Ha una bottiglia stretta in mano e le guance infiammate. «Uno, otto, nove, cinque» conta, indicando con la bottiglia verso l'alto, dove sull'insegna in legno della locanda sono raffigurati nove pavoni. Le code variopinte disposte a semicerchio e l'aria elegante. «Ci sono ancora tutti». La sua voce è distorta dall'alcool che ha ingerito. Frana a terra, con un tonfo, finendo col sedere sulla pietra della strada. «Moglie mia, ma quanto sei prosperosa sta sera» commenta fissando nella direzione dove ci troviamo io e Derrin. Ma forse sta solo osservando la sua ombra riflessa sul terreno e proiettata dalle lanterne alle finestre della taverna.
«Andiamocene, prima che si faccia strane idee» riflette Derrin e dal tono mi sembra quasi divertito dalle condizioni di quell'uomo.
Partire e lasciarsi tutto alle spalle era la cosa migliore da fare. Quella che mi riusciva meglio.
Il mare ondeggia allegro, mentre io mi preparo mentalmente a passare le mie giornate rinchiusa in una cassa nella cambusa dell'Aurea Solas, come da piano.
Ad intraprendere un viaggio sgangherato e avvolto in mortali leggende. Per trovare una stupida polvere che magari può realizzare i desideri. E se fosse stato così, a me venivano già in mente così tante cose da poter chiedere ad una polvere mistica.
Derrin e la gente comune non lo sapevano. Ma un mago, per quanto forte e abile sia con i suoi incantesimi, ha pur sempre dei limiti.
Forse quella polvere, ammesso che l'avremmo davvero trovata, poteva aiutarmi ad essere una persona comune, come le altre. Come Derrin. Così i guardiani di Farvel mi avrebbero lasciata in pace.
E avrei potuto cominciare una nuova vita. Sul serio. Lontana da tutti i problemi e i doveri di un mago.
Se il buon vecchio Jarleth fosse davvero qui, mi direbbe che questa volta sono proprio impazzita.
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