79- Jacob

Quella disgraziata. Robert era livido di rabbia mentre usciva dalla stalla a grandi passi. Sabrina gli aveva teso un agguato: l'aveva seguito e trovato solo, approfittandone per cercare di parlargli della faccenda. Era l'ultima cosa che avrebbe desiderato, e non voleva più starla a sentire.

Già aveva tradito la loro fiducia in maniera plateale: approfittando della loro assenza durante il raid verso Hicksford, era tornata all'ospedale, incurante del fermo divieto. L'aveva vista con i suoi occhi, là in mezzo ai degenti, scambiare parole tenere con un prigioniero a terra e aveva pensato di impazzire dalla rabbia.

D'istinto si era fatto largo tra le brande, deciso ad affrontarla, poi si era frenato e, con grande fatica, era tornato sui suoi passi. Aveva temuto l'intensità della sua collera. Aveva provato un simile sentimento solo davanti alla freddezza del padre al loro ultimo incontro e quando era stato insultato da quel Gore: se l'avesse avuta tra le mani, l'avrebbe fatta a pezzi.

Di colpo, aveva capito cosa aveva provato il genitore quando gli aveva confessato di aver avuto il desiderio di ucciderla...

Lei, sua sorella, la persona che aveva sempre difeso e protetto da tutti contro tutti, l'aveva tradito così, per il primo maschio bianco celibe che probabilmente si era preso il disturbo di corteggiarla. Disinteressandosi del parere della sua famiglia, del suo nome, di tutto. Non poteva sopportarlo.

Ed era andato a chiedere a Jonathan di intervenire.

Lui era meno coinvolto, ma sapeva essere spaventoso. Evidentemente non abbastanza, visto che quella era tornata alla carica... O forse si era lasciato scappare che il primo a opporsi a quella relazione non era lui, ma il dolce fratellino che sempre l'aveva appoggiata. Non sapeva spiegarsi come, ma alla fine quella doveva averlo capito e invece che scontrarsi con Jonathan, degno avversario per la sua testa dura, aveva ben pensato di andare da lui e supplicarlo. 

No. Non avrebbe ascoltato una parola di più. Quando gli aveva rivelato la storia del bacio, aveva dovuto faticare per dominare l'istinto di prenderla a sberle. Non poteva ascoltare altro. Non voleva.

Era geloso. Se ne rendeva conto. Ma quello era un Sudista e non c'era nemmeno da discuterne. Peggio sarebbe stato se gli avesse presentato un ragazzo per bene, alla sua altezza, a cui non avrebbe potuto opporsi sebbene l'idea l'avrebbe altrettanto infastidito... ma con un Sudista, no. Poteva opporsi e l'avrebbe fatto.

Però passavano i giorni e qualcosa gli rosicchiava l'anima, come un tarlo. Cercava di non pensarci, ma incontrava di continuo gli occhi tristi di sua sorella che non aveva più osato recarsi all'ospedale.

"Dimmi che vuoi che non lo riveda mai più e rinuncerò a lui, ma dimmelo solo se sei veramente convinto che io non mi meriti di poter essere felice con un uomo che mi apprezza per quello che sono".

Le sue parole continuavano a risuonargli nel cranio e lui a scacciarle, ma il senso di colpa aveva iniziato a farsi strada.

"Un uomo che mi apprezza per quello che sono".

Lei ne era davvero convinta e lui cominciava a sentirsi male, una sorta di angoscia che gli levava l'appetito. Davvero le stava negando la felicità?

Forse agiva così solo per uno stupido ed egoistico bisogno personale? Lui aveva rinunciato a Emily seguendo i consigli del fratello e del padre, voleva davvero che Sabrina lasciasse perdere il suo pretendente per una sorta di contrappasso? Era tutta lì la questione? La sua gelosia unita al desiderio di non essere l'unico che aveva perso qualcosa in nome dell'onore della famiglia?

"Lui mi ha baciato anche sapendo la verità!" ma al ricordo di questa frase tutte le buone intenzioni venivano meno. Di colpo, gli mancava il terreno sotto i piedi, un nodo gli serrava lo stomaco e sarebbe corso all'ospedale a prendere a pugni quel tizio che si era preso delle libertà. La gelosia lo divorava e cessava di mettere in dubbio le sue vere motivazioni.

Da giorni gironzolava per il campo combattendo con i suoi sentimenti e il lavoro. Questa storia lo stava logorando un po' alla volta ed era stanco.

Non poteva parlarne con Jonathan, per il quale la situazione era morta e sepolta: Sabrina aveva rinunciato alla questione, il fratello era stato accontentato e per tanto lui poteva dedicarsi ad altro. Alla guerra, per esempio. Mentre Robert non riusciva a pensare che alla sorella, alle sue parole, alla gelosia che lo stava distruggendo e a Emily che non avrebbe più rivisto.

Maledizione a te, Robert Becker! Possibile che il suo cuore fosse così tenero? Doveva decidersi e valutare di persona quel ragazzo che tanto tormentava i sogni della sorella. Se fosse stato un tipo ordinario, magari un po' stupido, sarebbe stato più facile rimanere fermo nella sua convinzione e guardare Sabrina in quegli occhi da cucciolo abbandonato con un po' di sano disprezzo. Ma se gli avesse fatto bella impressione? Be', valeva la pena di correre il rischio per togliersi quel dubbio che ormai gli trapanava il cranio, regalandogli dei fastidiosi mal di testa serali.

Si affacciò alla tenda ospedale e rimase per un po' a osservare la scena, indeciso. L'odore nauseabondo di quel posto lo metteva a disagio e non voleva che gli altri se ne accorgessero. Si concentrò per qualche minuto sulle varie sensazioni per ambientarsi: il fetore, la vista di tanti poveretti, alcuni febbricitanti, altri con evidenti fasciature sporche di sangue, altri che tremavano per la scarsità di coperte da dividere, il mormorio continuo e i gemiti. Una quantità di stimoli da gestire, uno più spiacevole dell'altro.

Come era riuscita sua sorella a trovare un pretendente là dentro? Lei doveva sembrare un angelo a quei disgraziati, ma loro come potevano averla conquistata ridotti in quelle condizioni subumane? Va bene che l'aveva conosciuto in precedenza, da quanto gli aveva raccontato, ma lo stesso vederlo in quel modo non aveva raffreddato il sentimento?

Cercando di domare l'angoscia e la nausea, si decise a entrare.

Si recò nella zona dove aveva sorpreso sua sorella pochi giorni prima e vide il possibile pretendente. Era un giovane steso a terra avvolto in una coperta, le catene alle caviglie erano un chiaro segno del suo status.

Doveva essere quel tipo. 

Si fermò davanti a lui e lo osservò, critico. Era biondiccio e aveva la barba lunga, non riusciva a vedere altro in quel groviglio di coperte. Poi il giovane si voltò di scatto e gli occhi verdi di Robert si agganciarono a quelli azzurro chiaro di lui. Rimasero per un lungo istante a fissarsi.

«Buongiorno» si decise infine a pronunciare Robert. Quello lo guardò con sospetto e si limitò a un cenno del capo. Cosa volevano ancora da lui? Era già stato interrogato da altri ufficiali ed era stanco e malato.

Robert si guardò intorno e individuò uno sgabellino, lo prese e tornò da lui, accomodandosi mentre il giovane si tirava a sedere con un certo sforzo. Si intravedeva una fasciatura sporca di sangue: doveva aver ricevuto una brutta ferita se era ancora all'ospedale e non insieme agli altri prigionieri.

«Ho già parlato con un maggiore e un colonnello, cosa volete ancora da me, tenente?» pronunciò con stizza, mettendo una sorta di disprezzo nella parola "tenente" come a sminuirne il grado. Robert alzò appena un sopracciglio all'insulto velato: quel prigioniero era suo pari in grado... come si permetteva di offenderlo?

«Mi chiamo Robert Becker e sono qui perché ho avuto una spiacevole conversazione con mia sorella a cui avrei volentieri rinunciato» disse e, vedendo che il giovane sgranava appena gli occhi, un sorrisetto carico di sarcasmo gli tirò le labbra. Aveva capito. «Posso almeno sapere il vostro nome?» continuò.

«Tenente Jacob Bryant» sospirò. «Se siete venuto qui per l'onore di vostra sorella, posso solo garantirvi che non è stato intaccato.»

Robert rimase zitto a fissarlo, la parola "bacio" che gli ribolliva tra le vene, ma doveva calmarsi: un casto bacio non aveva mai compromesso nessuno. Lui voleva approfondire altro, non quei torbidi particolari.

«Dove avete conosciuto Sabrina?» chiese, cercando di mantenere un tono neutro.

Il giovane sostenne il suo sguardo per un po', sembrava indeciso, poi capitolò.

«L'ho incontrata due volte, la prima un po' di anni fa...» azzardò e, vedendo che Robert lo fissava senza reagire, continuò: «All'inizio della guerra, più o meno. Poi l'ho rincontrata a Richmond.»

«Sabrina me lo ha detto che eravate nella banda di Quantrill...» lo accusò senza mezzi termini. 

«Si, all'inizio... ma dopo quella storia ho chiesto il trasferimento» rispose serio, digrignando appena i denti.

«Quale storia?» lo incalzò.

«Come sarebbe "quale storia"? Volete prendermi in giro? È evidente che vostra sorella vi ha raccontato di me in relazione alla sua cattura... E vi avrà detto che l'ho presa io, per di più» si scaldò.

Robert tacque come colpito da un pugno. Questo Sabrina si era guardata bene dal rivelarlo.

«Quindi siete voi che l'avete catturata?» domandò trattenendo a stento la rabbia.

Il giovane capì di aver detto troppo e sospirò: tanto valeva raccontare la verità.

«Sì, sono stato io. Posso solo dire a mia discolpa che era buio, pioveva e vostra sorella sembrava un ragazzo da come era conciata. Aveva tramortito un mio compagno e quando mi sono avvicinato mi ha sparato contro una sfilza di proiettili... Mi ha mancato, per carità, ma voi cosa avreste fatto a quel punto? L'avreste lasciata andare via?»

«Forse no» ammise Robert, cercando di frenare l'impulso di mettere le mani al collo di quell'omuncolo.

«Mi sono reso conto che era una ragazzina spaventata solo quando sono riuscito ad afferrarla. E a quel punto non sapevo come comportarmi... Ero poco più che un ragazzo anch'io, non sapevo nulla della guerra e ho pensato che fosse compito del capitano decidere cosa fare.» Si bloccò di colpo come rivivendo al scena e, sgranando appena gli occhi, continuò in un soffio: «È stato un errore, un terribile errore... avrei dovuto lasciarla andare e basta» e Robert sentì che era sincero.

Cosa avrebbe fatto al suo posto? Probabilmente la stessa cosa... almeno all'inizio del conflitto: ora non avrebbe contato sulla rettitudine dell'esercito e l'onore degli ufficiali, ma all'epoca sì. Sospirò.

«Non penso che riuscirò mai a perdonarmelo. Lo sguardo d'odio che mi ha lanciato quando hanno preso a picchiarla mi tormenta ancora. Mi spiace per quanto le è successo e spero che voi possiate se non perdonare, almeno capire che ero in una posizione falsa.»

«Cristo santo! Ha rischiato di morire e voi osate chiedere di capirvi?» Robert era turbato.

«Lo so bene cosa ha rischiato... ma io non avrei mai picchiato una ragazzina, non credevo che il mio capitano e la sua banda fossero capaci di tanto» si schermì.

Robert si alzò di scatto dallo sgabello in preda alla rabbia: come poteva sua sorella essersi invaghita di un individuo del genere? Di uno che aveva portato tanto dolore nella sua vita?

«Aspettate! Io ho cercato di proteggerla dopo... dopo l'interrogatorio... So che non basta per farmi perdonare, ma ho tentato di tenerla al sicuro. Altri uomini avrebbero potuto approfittarsene...»

Robert inspirò forte, trattenendo l'istinto di mettersi a spaccare qualche oggetto lì intorno, e si sforzò di tornare a sedersi.

«So che non mi credete... eppure, anche quando l'ho incontrata a Richmond, avrei potuto denunciarla come spia: io sapevo chi fosse anche se lei si spacciava per una fervente Confederata al servizio dei malati. Ma non ho ripetuto il mio errore... L'ho coperta e poi l'ho aiutata a raggiungervi.»

Robert rimaneva zitto, lottando contro l'antipatia viscerale che l'avrebbe spinto a sputargli addosso e la ragione che gli suggeriva che quel giovane non era animato da cattive intenzioni.

«E alla fine l'avete baciata e fatta innamorare di voi» concluse per lui.

«Innamorare? Be', non speravo tanto, in realtà... Pensavo che non l'avrei mai più vista e mi dispiaceva lasciare andare una bella donna senza almeno un bacio d'addio. Avevamo condiviso così tante spiacevoli avventure insieme che l'idea di separarmi da lei mi stringeva il cuore.»

«Bella donna?» Robert alzò appena un sopracciglio, divertito. «Penso che molti preferirebbero cavarsi un occhio piuttosto che fare la corte a mia sorella... è una peste.»

«Sì, lo è» rise il giovane, poi fu scosso da un violento colpo di tosse che lo lasciò senza fiato.

Robert si rese conto in quel preciso istante di quanto in realtà stesse ancora male, la ferita doveva essere stata brutta se faticava a rimettersi. Forse l'aveva fatto stancare troppo...

«Vi lascio riposare» disse alzandosi, deciso. Quel confronto era durato già troppo per il suo cuore geloso.

«Aspettate! So che avete impedito a Sabrina di venire a trovarmi e lo capisco: qui dentro i miei vicini di letto non fanno che commentare la nostra romantica storia d'amore ed è piuttosto imbarazzante. Però, se voleste portarle i miei saluti, vi sarei grato. Avrei voluto poterla corteggiare come si deve...»

Robert annuì, un po' rigido. Non pareva un cattivo ragazzo e sotto quella barba incolta si celavano dei bei lineamenti, ma non bastava. Doveva darsi il tempo di riflettere e digerire quanto gli aveva raccontato. Sembrava davvero interessato a lei e forse capiva meglio adesso cosa intendeva la sorella quando gli aveva rivelato "lui mi ha baciato pur sapendo la verità".

Chi meglio di quel ragazzo poteva affermare di aver conosciuto Sabrina davvero? Non si era invaghito della bella infermiera dai modi gentili, i bei capelli o il corpicino delicato... no... lui aveva visto la ragazza per com'era in realtà e non era scappato a gambe levate. Forse doveva concedergli un'opportunità... ma non era ancora pronto.

«Tra qualche giorno trasferiranno i prigionieri nel carcere di Elmira, al Nord» comunicò Jonathan distrattamente mentre dava un'occhiata ai turni di guardia del giorno.

Robert alzò gli occhi dalla lista di provviste che stava stilando e si guardò intorno: la sorella non era nei paraggi.

«Intendi dire che il pretendente di Sabrina se ne andrà?» lo interrogò.

«Esatto. Così ce lo leviamo di torno definitivamente, contento? Guarda qui: soldato semplice Steven, non l'abbiamo messo di guardia anche due giorni fa?» disse Jonathan indicando un nome sulla lista.

«Insubordinazione. Si è beccato un altro turno dal sergente... ma parliamo un attimo di quel ragazzo.»

«Chi, Steven? Hai detto che è un piantagrane...»

«Ma no, chissenefrega di Steven... Intendevo il pretendente di Sabrina»

Jonathan alzò gli occhi dalla lista e lo guardò, sorpreso.

«Cosa succede, adesso?»

«Niente, è che gli ho parlato qualche giorno fa e... non lo so... forse non è un cattivo ragazzo» sussurrò Robert.

Jonathan alzò appena un sopracciglio.

«Ascolta, ci ho pensato molto in questi giorni: Sabrina sembra essersi innamorata di quel tipo e lui pare ricambiare nonostante l'abbia conosciuta in pantaloni e con tutti i suoi difetti! Magari è davvero quello giusto per lei...»

Jonathan sospirò.

«È un Confederato... non può trovarsi un altro uomo tra i nostri?»

«È quello che credevo anch'io... Però con l'ultimo pretendente presentato da nostra madre non è finita per niente bene: non so davvero chi potrebbe sposarsela una così... In fondo, quando tutto questo finirà, sarà un uomo come tanti. Almeno lui è stato leale con lei, non come Emily.»

Jonathan rimase zitto a quell'osservazione, capendo improvvisamente il perché suo fratello si fosse infastidito tanto per quella storia. Sapeva che teneva alla sorella e che ne era geloso, ma aveva preso il tutto un po' troppo sul personale, un po' come quando lui da ragazzino non aveva potuto sopportare che McEnzie fosse amico di Sabrina. Forse non odiava il Confederato in quanto tale, ma più l'idea che sua sorella potesse infischiarsene di tutto, come sempre, mentre lui aveva dovuto rinunciare alla sua bella una volta scoperto che si trattava di una spia.

«E hai pensato a cosa direbbe nostro padre?» disse dopo un lungo silenzio, ricacciando nell'oscurità della mente i pensieri su Emily.

«Lui deve avere l'ultima parola, non c'è dubbio. Ma pensa al suo amico, il maggiore Turner... non si è schierato con il Sud? E non credo che nostro padre lo stimi di meno anche se non l'approva. E poi, come potremmo evitare che nostra sorella si metta in testa qualche idea stupida da rinnegata e pensi magari di fuggire con quell'uomo? Sarebbe la fine...»

«E tu che soluzione hai escogitato, re degli intrighi?» lo canzonò Jonathan.

«Be'... se andassi a parlare di nuovo con lui e gli dessi la nostra benedizione? Gli potrei dire che ha il permesso di raggiungere nostra sorella a Fort Leavenworth quando tutto sarà finito» prese a dire.

«Fort Leavenworth? Chi ti dice che Sabrina ci andrà?» Jonathan lo interruppe. Suo fratello stava farneticando!

«Se davvero Sabrina tiene a quel tipo, si farà trovare là...»

«Ma nostro padre...»

«Appunto! Non capisci? Se Sabrina vuole stare a Fort Leavenworth deve riconciliarsi con nostro padre!»

Jonathan scoppiò a ridere.

«Tu sei pazzo...»

«Perché no? L'hai detto tu che una riconciliazione sarebbe stata possibile...»

«Sì, ma non so quanto la sua recente fuga da Boston possa averlo indispettito... Nostra madre l'avrà avvertito: Sabrina ha detto che si scrivevano regolarmente.»

Robert rimase un attimo a riflettere stropicciandosi i capelli.

«Be'... se davvero tiene a quel giovane, troverà un modo di far pace con nostro padre. A guerra finita sarà tutto più semplice, spero.»

Jonathan restò zitto per un po', rimuginando, poi annuì.

«È un buon piano... davvero. Potrebbe aiutare a spingere Sabrina a comportarsi bene e allo stesso tempo noi avremmo il modo di accertarci che quel tipo abbia intenzioni serie. Bravo Robert!» esclamò strappando un sorriso al fratello. «Anche se mai avrei pensato che ti potessi ricredere sul ragazzo... mi hai talmente tormentato con questa storia!»

«Sarà l'aria del Natale che mi rende più buono!» e scoppiò a ridere insieme al fratello.

Sabrina stava contrattando con i vivandieri per ottenere un po' di quello che passava per caffè. Una mistura non ben identificata a base di cicoria, amara come il fiele a meno di non avere un po' di zucchero.

Era quasi Natale, Jack era stato mandato al Nord e le giornate si trascinavano lente nell'inerzia dell'accampamento. Unico pensiero a sostenerla, la speranza di poterlo rivedere se fosse sopravvissuto. Nelle carceri militari i prigionieri morivano come mosche, non era un segreto, al Nord come al Sud, per mancanza di cure, cibo di qualità, calore e le malattie non risparmiavano nemmeno i più forti. Il timore che potesse non farcela la tormentava quasi quanto il pensiero di dover riconciliarsi con il padre, cosa che desiderava intensamente e che riteneva molto improbabile.

Ma non doveva abbattersi.

Robert la stava aspettando in disparte, masticando del tabacco e godendosi la pausa.

La vista di sua sorella che faceva acquisti gli donò un inaspettato senso di pace: in mezzo a quell'accampamento, tra il fango e il freddo, vedere una giovane donna impegnata in un'operazione così banale come comprare del caffè faceva uno strano effetto. Era come se la guerra fosse sospesa per un istante, un istante di pace e normalità in cui si poteva perdere tempo a discutere sul prezzo come in passato, tra le vetrine dei negozi e le strade affollate.

Sua sorella era una fonte di luce in quella giornata uggiosa. La sua gonna logora, la giacca troppo grande in cui si avvolgeva e i giornali che si infilava nel corpetto del vestito per tenersi al caldo, non ne sminuivano la bellezza né la vitalità. Se si guardava oltre i pizzi e nastri che non possedeva, si poteva scorgere la perla. Peccato che pochi se ne rendessero conto: lei era speciale, forte di carattere, impertinente, ribelle ma piena di vita è un po' invidiò Jack che era riuscito a fare breccia nel suo cuore. Sospirando, pensò che avrebbe almeno voluto comprarle qualche indumento più caldo, ma in quel posto non era possibile trovare abbigliamento femminile.

Sabrina si avvicinò sorridendo soddisfatta, mostrando il sacchettino di caffè come un trofeo. Lui rispose al sorriso. Era felice di aver ritrovato la sua sorellina: forse non aveva sbagliato a cedere sulla storia del pretendente, sebbene sudista.

«Ehi, bellezza, sei già impegnata?» la apostrofò un soldato facendo ridere il gruppetto intorno a lui.

Robert si staccò dalla botte cui si era appoggiato, con i nervi tesi, ma Sabrina gli posò una mano sul braccio per fermarlo.

«Ci penso io» disse solo.

Poi infilò nella tasca della giacca il sacchettino di caffè e prese da terra un po' di neve, facendo una palla. Robert alzò un sopracciglio divertito, pregustando la scena.

La ragazza si avvicinò di un passo al gruppetto e lanciò la palla dritto nel petto del soldato.

«Sì, sono impegnata. E potresti esserlo pure tu se non fossi un gran maleducato» sputò fuori con insolenza.

«Ma che...» fece appena a tempo a ribattere che Sabrina aveva già preparato un altro proiettile e gliel'aveva scagliato contro, correndo via a nascondersi dietro al fratello e ridendo a crepapelle.

«Ehi, io non c'entro!» protestò Robert ridendo a sua volta.

«Ormai siamo in guerra!» esclamò la ragazza mentre Robert si beccava una palla di neve al posto suo.

Nel giro di poco lo spiazzo si era trasformato in un campo di battaglia, tra risate e grida. Tutti bombardavano tutti, in un gioco infantile che dava un tocco di normalità a quella giornata grigia. I vivandieri si riparavano dietro al loro banchetto cercando di proteggere la merce dai colpi, mentre soldati di vari reggimenti correvano avanti indietro ridendo.

«Che sta succedendo qui?» chiese Jonathan arrivando d'un tratto dietro al fratello che stava preparando una palla.

«Siamo in battaglia» gridò eccitato il giovane.

«Robert, sei un tenente... non mi pare dignitoso», ma venne interrotto nella sua reprimenda da una palla di neve sulla schiena. Si voltò di scatto in cerca del colpevole, però c'era una tale confusione di soldati che correvano, gridavano felici e lanciavano proiettili che non si poteva distinguere nessuno in particolare. Poi un'altra palla lo colpì al petto e vide la sorella che sghignazzava come una pazza, con la gonna fradicia e i capelli scompigliati. Non poté fare a meno di ridere a sua volta.

«Non ci sono graduati, qui» gridò la ragazza. «Gettati nella mischia!»

Jonathan cercò di sottrarsi, divertito. Era ancora indeciso se fosse una saggia decisione o meno lasciarsi coinvolgere, ma vide un capitano di un altro reggimento bombardato dai suoi e sciolse le sue riserve. Un po' di divertimento non aveva ucciso ancora nessuno... La guerra, quella vera, fiaccava gli animi. Forse non era così sbagliato concedere un po' di svago a quegli uomini stanchi e lontani da casa per l'ennesimo Natale. E ridendo raccolse da terra un po' di neve per restituire il favore alla sorella.

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