75- Arrivi inaspettati

25 giugno 1864 - City Point, Virginia

«Capitano Becker.»

Jonathan si interruppe per guardare il maggiore appena arrivato alla tenda cambusa, dove stava valutando le provviste per la sua compagnia e, dopo aver eseguito il saluto militare, liquidò il suo sergente.

«Maggiore Fry, buongiorno» si rivolse a lui con rispetto.

«Abbiamo uno strano problema, capitano. Servirebbe anche la presenza del tenente Becker.»

Jonathan lo guardò stupito, poi si riscosse.

«Certo, maggiore. Lo mando a chiamare subito... Sergente, torni qui un attimo. Ho bisogno del tenente Becker, può andare a cercarlo per me?»

Il sottoposto eseguì il saluto prima di mettersi all'opera.

«Be', di che si tratta? Mentre aspettiamo mio fratello, può anticiparmi qualcosa?»

«Stamane è arrivata al nostro quartier generale una giovane donna» prese a dire il maggiore e Jonathan avvertì una specie di scarica dietro alla nuca.

«Una donna?» chiese guardingo.

«Dice di essere vostra sorella, ma potrebbe essere una spia... Il generale Grant l'ha incontrata e mi ha chiesto di mandarvi a chiamare.»

Jonathan deglutì a fatica, cercando di mantenere un'espressione impassibile. Grant aveva parlato con sua sorella? Sabrina era a City Point? Che diamine ci faceva in Virginia? Mille domande affollarono la sua mente e soprattutto mille emozioni contrastanti. Ma rimase immobile e serio e rispose solo:

«Capisco.»

Se la riposta parve enigmatica al maggiore, questo non lo dette a vedere, anche se la faccenda era piuttosto singolare e forse si sarebbe aspettato un po' più di coinvolgimento.

Ma Jonathan non voleva dare indizi della tempesta che lo stava travolgendo. Se davvero Sabrina era lì, questo significava solo una cosa: guai. E lui aveva già abbastanza rogne da gestire.

Nell'ultimo anno avevano ripreso l'avanzata in Virginia e da quando il grande Ulysses Grant era diventato il comandante generale dell'intero esercito degli Stati Uniti aveva impresso un nuovo passo agli eventi. Quell'uomo era un genio, o un folle sanguinario – in base al punto di vista di chi commentava le sue azioni – e stava conducendo la guerra in modo nuovo, audace e dinamico come aveva fatto nei territori del Tennessee dove si era distinto.

La sua strategia era di condurre un'unica grande offensiva contro tutto il Sud, non più campagne singole, ma un'azione coordinata che vedeva l'Armata del Potomac impegnata da nord, la flotta atlantica sulle coste e Sherman che dalla Georgia doveva ricongiungersi a loro, tutti coinvolti in una immensa manovra per circondare e schiacciare definitivamente le armate di Lee.

Con questo intento erano penetrati in Virginia, avevano marciato verso Richmond, la capitale confederata, e aggirato le forze di Lee, che avevano tentato di fermarli ingaggiando battaglia nelle foreste di Wilderness e a Spotsylvania, in giorni di furiosi combattimenti senza riposo. Fino a che erano riusciti a raggiungere il fiume James e l'avevano attraversato, dopo la battaglia di Cold Harbour a inizio giugno, e City Point era diventato il nuovo quartier generale dell'Armata del Potomac.

Dopo il passaggio del James, Lee si era trovato costretto a difendere le sue truppe nelle linee tra Richmond e Petersburg, una formidabile fortezza, ma di fatto erano imbottigliati là dentro. Il problema era che potevano conservare quelle posizioni per sempre, o almeno finché fossero riusciti a mantenere in vita le ferrovie che li rifornivano senza sosta di viveri, medicinali e proiettili.

La guerra a quel punto aveva preso una nuova piega e l'assedio di Petersburg, necessario per tagliare definitivamente la linea di rifornimenti a Richmond, si stava rivelando una faccenda lunga e logorante. Stavano combattendo ininterrottamente dal 5 maggio ed era stanco e nervoso.

Se davvero sua sorella era arrivata fino a lì, non aveva tempo né energie per badare a quella testa calda.

«Maggiore, capitano,» intervenne Robert eseguendo il saluto a entrambi «avete richiesto la mia presenza?»

L'ufficiale annuì e, dopo aver pronunciato un semplice "seguitemi", si avviò tra le tende allineate in direzione della zona centrale del campo dove erano alcuni edifici in pietra requisiti ai civili e baracche tirate su in fretta. Robert lanciò uno sguardo interrogativo al fratello, gli era parso un po' pallido. Che stava succedendo?

«Sabrina» sussurrò Jonathan e poi prese a seguire il superiore.

Robert rimase immobile qualche istante prima di affrettarsi a raggiungere il fratello.

«Che intendi con "Sabrina"?» lo incalzò.

«Pare sia qui» rispose secco senza dilungarsi, voleva vederlo con i suoi occhi prima di commentare.

«Come qui? Impossibile! Sabrina è a Boston...» rispose Robert non tanto sicuro di quanto stava affermando.

Eppure, la signorina che scattò in piedi nervosa non appena la porta della stanza spoglia in cui la stavano trattenendo si aprì era proprio la sorella. Non era più una ragazzina, ma una donna, una bella donna vestita con eleganza e un piglio fiero. I capelli erano ricresciuti e se ne stavano raccolti in una crocchia morbida, il viso si era fatto più affilato ma non era eccessivamente magro come lo ricordavano quando quegli occhi grandi e neri sembravano riempire tutto lo spazio. Il vestito poi... forse l'avevano vista così elegante solo alle feste da ballo, ma non erano tanto la crinolina, il corsetto e l'abito di buona fattura a fare la differenza, era come se avesse imparato a indossarli con naturalezza.

Robert corse ad abbracciarla con impeto e Grant gli scoccò un'occhiata sarcastica. Jonathan si sentì sprofondare. Non aveva mai visto così da vicino il grande generale e ora era costretto a incontrarlo per un affare così imbarazzante.

La sorella gli corse incontro con entusiasmo chiamandolo per nome, mentre il generale lo fissava con interesse.

«Che diavolo ci fai qui?!» disse d'istinto.

«Anche tu mi sei mancato molto» rispose stizzita la sorella.

«Che cosa significa? Sei impazzita, forse?» Jonathan si sentiva morire, gli occhi curiosi del generale, che osservava la scena con un paio di ufficiali, puntati su di lui.

«Be', capitano Becker, quindi la ragazza ha detto la verità... è davvero vostra sorella.»

Jonathan spostò l'attenzione sul superiore, cercando di interpretare la sua espressione beffarda: era divertito dalla situazione inconsueta o infastidito? Si massaggiò le palpebre per un attimo prima di rispondere:

«Sì, generale Grant. Deve perdonarla, è sempre stata una testa calda, ma non credevo che sarebbe arrivata a tanto.»

Da lì in poi gli eventi erano precipitati. Sabrina era stata percorsa da un'espressione di vivo stupore prima di prendere a comportarsi in modo strano. Si era avvicinata al generale piena di moine, facendo ondeggiare i cerchi della sua gonna con studiata abilità mentre si dedicava a uno sproloquio senza fine sulle doti dell'uomo, sul quanto era dispiaciuta di non essersi subito resa conto di aver avuto l'onore di parlare proprio con lui, sulle sue abilità di stratega e così via. Robert sembrava divertito dalla scena, ma Jonathan no. Era impietrito: dove aveva imparato sua sorella a lusingare in tal modo un uomo? Di certo ci stava riuscendo dato che l'espressione del generale si era alquanto addolcita, ma lo stesso stava civettando con il grande, unico Ulysses Grant e lui sarebbe morto di lì a poco se non avesse messo fine a quella farsa.

«Perdoni mia sorella, generale» disse Jonathan afferrando la ragazza per le spalle e facendola retrocedere, «è cresciuta in un forte e a volte dimentica le buone maniere. La prego di volerla sollevare da ogni sospetto di spionaggio, ci occuperemo di trovarle una sistemazione in modo che non rechi disturbo.»

«Oh, sì! Potrei occuparmi dei feriti... Vedrà che non dovrà pentirsi di avermi accolta!» saltò su lei con entusiasmo. Jonathan la fulminò con lo sguardo e si parò davanti a lei scusandosi nuovamente con il generale per l'impertinenza, mentre Robert l'afferrava con delicatezza per un braccio e la convinceva a farsi da parte.

Jonathan era chiuso in un silenzio rancoroso. Ci avrebbe messo del tempo a digerire la figuraccia che sua sorella gli aveva fatto fare davanti a nientepopodimeno che il grande Grant.

Camminava rabbioso verso la sua tenda mentre i due chiacchieravano fitto fitto.

Vedrai che gli passerà. Sai com'è fatto. Aveva sentito pronunciare suo fratello ed era esploso. Com'era fatto lui? Ma si rendevano conto quei due imbecilli della imbarazzante scenetta recitata davanti al generale? Della figura che gli avevano fatto fare? E Sabrina aveva anche osato dirgli che magari era un bene per la sua carriera... che Grant così si sarebbe ricordato di lui... Che impertinente! Doveva ringraziare il cielo che il generale aveva già troppe gatte da pelare per prendersi il disturbo di scrivere al maggiore Becker. A John sarebbe venuto un infarto se avesse saputo di quella nuova bravata. E Marie?

«Tua madre lo sa?» si fermò di scatto rivolgendole la domanda a bruciapelo.

«A parte che è anche tua madre... comunque... certo che no! Cosa credi? Che mi abbia comprato lei il biglietto del treno?»

Jonathan sollevò le mani come a scacciare quelle parole fastidiose e riprese a camminare. Sua sorella era davvero pazza. Poteva mettersi un bel vestito e pettinarsi con gusto, ma rimaneva una svitata. E come sempre sarebbe toccato a lui e a Robert sistemare la faccenda.

«Come mai sei venuta?» le chiese Robert con gentilezza, cercando di smorzare i toni.

«Be'... sono successe delle cose...»

«A Boston? Che genere di cose? Non avrai litigato anche con nostra madre...»

«No! Cioè, non proprio... È che lei mi ha trovato un pretendente e...»

«Un pretendente?»

«Sì, Robert, ho quasi diciannove anni e per i canoni di nostra madre sono praticamente destinata a morire zitella. Un pretendente: voleva che mi sposassi.»

«Non oso immaginare il seguito...»

«Infatti non ci riusciresti...» disse, poi si morse le labbra. Non avrebbe raccontato a suo fratello la pietosa scenata che l'aveva vista protagonista, non era necessario. Improvvisò, cercando di fare attenzione a omettere tutti i dettagli poco lusinghieri. «L'ha invitato a cena e boh, non so cosa mi sia scattato, ma ho capito che era ora di farla finita con quella farsa. Sono scappata nella notte. Volevo prendere un treno, ma non c'erano convogli in partenza a quell'ora della sera e allora mi sono infilata in un treno merci dell'esercito sperando andasse a Sud. Avevo comprato un cavallo a Washington – un vero ronzino – ma ho incontrato nei boschi dei disertori dell'esercito confederato e me l'hanno portato via.»

L'espressione di orrore che si dipinse sul volto del fratello la convinse ad asciugare ulteriormente il racconto: meno sapevano meglio era.

«Sono arrivata in qualche modo a Cold Harbour, ma l'esercito se ne era già andato e io ero sfinita... sono inciampata e ho sbattuto la testa. Quando ho ripreso conoscenza ero a Richmond, nella casa di una famiglia gentile, ma in trappola. Ho inventato una storia su dei fratelli, soldati confederati, che stavo cercando e mi hanno creduto, anzi mi hanno anche dato una mano ad andare a Petersburg per trovarli e così sono riuscita ad arrivare fino a qui.»

Robert si fermò e la fissò ammirato, poi l'abbracciò con slancio, sussurrando lodi sul suo coraggio. Aggrappata a quel corpo saldo che non si accordava al ricordo che aveva del fratello, un ragazzo smilzo nonostante i muscoli, Sabrina si sentì in colpa... quante ne aveva passate per diventare l'uomo che era? L'avrebbe abbracciata lo stesso se avesse conosciuto nel dettaglio tutta la storia? Compreso il cadavere che aveva sulla coscienza? Ricacciò giù il groppo d'angoscia che le aveva serrato la gola all'improvviso e si sforzò di sorridere mentre si scioglieva da quell'abbraccio affettuoso. Notò che Jonathan la stava fissando, ma senza dire nulla, e si chiese se lui intuisse quanto edulcorata fosse stata la versione che aveva propinato loro o se, come il fratello, in qualche modo ammirasse il suo coraggio e determinazione.

Poco dopo arrivarono alla tenda, una grande tenda come quella che aveva posseduto il capitano Garret, con tanto di tappeti stesi al suolo per frenare l'umidità notturna, una stufa, un tavolino con due sedie, un paio di bauli e un piccolo lavabo recuperato chissà dove. C'erano due brande, segno che entrambi i fratelli dormivano lì, insieme. Logico, pensò Sabrina con un sorriso: chi poteva dividere quei due?

«Eccoci qua, questo è il settore del Sedicesimo Cavalleria della Pennsylvania e noi dormiamo qui. Vedrò di procurarmi un'altra branda così potrai stare con noi» disse Jonathan con tono pratico. Si è già arreso all'idea, pensò la ragazza con una punta di soddisfazione, e sorrise.

«Carina! Un bel passo avanti rispetto a quella minuscola tenda che dividevate prima...»

«Già... Spero che ti adatterai visto che sarai stata abituata a ben altri lussi a Boston» ribatté con una punta di sarcasmo.

«Oh, be'... non avrete i divani di velluto della mamma, ma vi assicuro che preferisco cento volte trovarmi qui che in uno di quei salotti eleganti.»

«A guardarti non si direbbe...» pronunciò con una punta di fastidio. Sabrina si sentì mortificata: poteva anche avere addosso un vestito costoso, ma questo non bastava a cambiarla.

«Se ti infastidiscono i miei cerchi, posso anche infilarmi un paio di pantaloni. Ne sarei ben felice...» ribatté con piglio combattivo.

«Non è questione di vestito. Prima, con Grant... come hai potuto civettare con lui in quel modo? Ondeggiando le tue gonnelle e con gli occhioni lucidi di ammirazione mentre pronunciavi parole false?»

Sabrina si sentì punta sul vivo.

«Non mi sembra che a lui abbia dato fastidio, anzi...»

«E queste tue nuove arti? Come si accordano con questo posto?»

«Ma sentilo! Quindi adesso rimpiangi la vecchia Sabrina, impertinente e maschiaccio? Dobbiamo proprio segnare questa data sul calendario...» sputò fuori incrociando le braccia.

«Ehi, adesso basta. Non c'è bisogno di litigare» intervenne Robert.

«È lui che vuole litigare! Io non ho fatto niente!» gridò Sabrina indicando il fratello maggiore.

«Sì, ho voglia di litigare, va bene? Sono un po' nervoso, vista la situazione. E mi chiedo che bisogno ci fosse che tu venissi qui a starci tra i piedi con una guerra in corso!» sibilò tra i denti. Non voleva alzare la voce con un intero reggimento pronto a origliare: di pettegolezzi ne avevano subiti già abbastanza in passato.

Sabrina fece per ribattere, poi si morse le labbra con gli occhi che le si inumidivano.

«E non metterti a piangere: non ti si addice» la minacciò Jonathan.

«Sono venuta qui perché stare da mia madre non aveva più senso» disse con voce tremante.

«Invece venire qui ne aveva? Volevi vedere un assedio dal vivo?» la incalzò avvicinandosi quel tanto che bastava a metterla in soggezione. Era sempre stato così alto suo fratello? Di certo era più piazzato: a ventitré anni era un uomo ormai, i suoi lineamenti avevano perso tutta la dolcezza della giovane età e i suoi occhi erano duri. Quanto erano cambiati i suoi fratelli? La guerra ne aveva mutato l'indole oltre che il fisico?

«Penso che sarebbe sensato cercare di rispedirti al Nord» pronunciò serio.

Lei si morse di più le labbra e scosse la testa con foga, lasciandosi sfuggire un "no" disperato. Non aveva compiuto quel viaggio terribile per tornare da dove era venuta.

«E allora, convincimi che tenerti qui ha un senso» la sfidò con aria dura.

Sabrina deglutì il groppo di lacrime che stava cercando di frenare con tutte le sue forze, poi chiuse gli occhi e cominciò a raccontare:

«Ho passato gli ultimi due anni a tentare di diventare la signora che mio padre desiderava. Sono stata educata, paziente, zitta... soprattutto zitta. Anche perché di cosa potevo parlare con mia madre che non voleva ascoltare nessun racconto?» Cercò gli occhi di suo fratello, ma lui era rimasto impassibile, per nulla toccato dalle sue parole. «Lei mi ha esibito alle sue amiche, trascinato a salotti e comitati e ospedali... e poi scriveva lunghe lettere a nostro padre raccontando di quanto fossi amabile e carina e rispettosa. E sai quante risposte ha ricevuto?» Suo fratello continuava a fissarla in silenzio. «Nessuna... Quei due si scrivono regolarmente, ma nostro padre ha finto per tutto questo tempo che io fossi morta. E allora? A che è servito obbedire e piegarmi a qualunque dettame di buon comportamento se lui non è disposto a perdonarmi comunque?»

Un sospiro, forse Jonathan iniziava a comprendere. Si avvicinò di un passo e gli toccò una manica della giubba prima di continuare. «Il maldestro tentativo di mia madre di trovarmi un marito è stata solo la goccia che ha fatto traboccare il vaso. Io non potevo più stare a Boston... Non posso nemmeno tornare da nostro padre e quindi sono venuta qui. Sarà anche stata un'idea stupida, ma non me ne sono venute di migliori...» concluse alzando lo sguardo sul fratello. Il suo volto era una maschera impassibile: da quando era diventato così abile a nascondere le sue emozioni?

«Jonathan,» Robert lo chiamò con gentilezza «Sabrina ha ragione. Non è stata un'idea brillante, ma ormai è qui. Dove potrebbe andare?»

Il giovane non rispose, si girò sui tacchi e uscì dalla tenda allontanandosi a grandi falcate. Robert lo osservò andar via, scuotendo la testa con disappunto.

«È un sì?» chiese timidamente Sabrina.

«Così pare» rispose Robert con una scrollata di spalle.

Sabrina si lasciò cadere seduta su una branda, stropicciandosi la faccia e asciugando qualche lacrima furtiva.

«Perché mi odia così tanto? Pensavo che, dopo tutto quello che abbiamo vissuto insieme, gli fosse passata!» pronunciò sconsolata.

Robert la raggiunse e si accomodò accanto a lei sulla branda.

«Non ti odia, te l'assicuro. È che gli hai scombinato i piani e a lui piace avere la situazione sotto controllo» la rassicurò circondandole le spalle con un braccio.

«E allora perché non ha detto niente? Perché se ne è andato così?» incalzò mesta.

«Temo che sia arrabbiato per quanto gli hai raccontato su nostro padre. Quella parte mi ha fatto venire la pelle d'oca e credo anche a lui. Sta facendo di tutto per farti tornare nelle sue grazie...»

Sabrina si sciolse dall'abbraccio e lo fissò incredula. Jonathan intercedeva per lei? Jonathan, che venerava il padre e desiderava solo essere il figlio preferito, si prendeva quel rischio? Ma se l'aveva guardata come un insetto orrendo per tutto il tempo!

«Non... non è possibile!» esclamò.

«E invece sì!» le sorrise Robert. «Sai che non gli piace la parte del buono, e probabilmente si strapperebbe la lingua piuttosto di ammettere quanto tenga a te, ma è così.»

Sabrina aprì la bocca per ribattere, poi la richiuse senza trovare nulla da dire.

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