73- Notizie dal fronte
«Jonathan! Guarda qua!» gridò il fratello sventolando un giornale nella sua direzione.
Era il 25 settembre 1862, ormai. Dopo Helena avevano proseguito per altre mete in Arkansas e nel Tennessee, inoltrandosi sempre più profondamente nel Sud, ma era giunta voce di una grossa battaglia che si era combattuta la settimana precedente e tutti erano avidi di dettagli.
Jonathan si fece largo tra i vari soldati stravaccati al bivacco e raggiunse il fratello con foga.
Il giornale che Robert era riuscito a procurarsi era una copia sgualcita del New York Times del 18 settembre.
Titolava "La grande battaglia" e sotto, sempre a grossi caratteri, frasi sparse come "Terribili combattimenti per due giorni", "Probabilmente la battaglia decisiva", "Furia inaspettata" e "Chiamata urgente per medici volontari".
Si scambiarono un'occhiata muta e trovarono un luogo tranquillo dove poter leggere con calma l'articolo.
Avevano combattuto nel Maryland, a Sharpsburg, un nome che non aveva significato, presso il fiume Antietam. Tutte informazioni che erano giunte sparse e che non sapevano bene come collocare, se non il dettaglio importante che la battaglia era avvenuta nel Maryland... Quindi Lee aveva portato le sue truppe fuori dalla Virginia verso il Nord? Cosa intendeva fare? Tentare di invadere gli Stati dell'Unione?
L'assenza di notizie precise aveva messo tutti in subbuglio e ora quel giornale poteva finalmente chiarire la situazione.
Con occhi avidi iniziarono a scorrere l'articolo. Diceva che la battaglia era iniziata il 16 pomeriggio ed era proseguita fino a notte. L'armata nordista era rimasta sul posto in attesa di riprendere a combattere alle prime luci dell'alba, ma il giornale specificava anche che i fatti descritti non provenivano da fonti ufficiali.
Jonathan sbuffò e Robert continuò a leggere: anche se erano racconti da fonti non ufficiali almeno erano notizie.
«Ma chi ha vinto?» chiese impaziente Jonathan cercando di strappare il giornale di mano al fratello.
«Non si capisce... Vuoi smetterla e lasciarmi continuare?» rispose infastidito Robert mentre cercava di decifrare il significato delle parole che leggeva. «Ehi, guarda qui! Dice che il generale Longstreet è stato ucciso e i Confederati si sono arresi!» esclamò d'un tratto.
Jonathan lanciò un'occhiata alle parole stampate e d'istinto esultò abbracciando il fratello.
Longstreet era un pezzo grosso! Un brutto colpo per la Confederazione. Continuarono a scorrere le righe pieni di entusiasmo.
L'articolo era un susseguirsi di dispacci di guerra e testimonianze riportate dai giornalisti, un po' confuse, ma il succo era sempre lo stesso: i Sudisti si erano ritirati! Quindi dovevano aver vinto per forza... magari non una vittoria netta, ma li avevano respinti in Virginia!
Poi, in mezzo alla pagina, un altro titolo in grassetto recitava: "Una gloriosa vittoria".
«Allora abbiamo vinto!» esclamò Robert.
«Non capisco perché non lo dicano e basta... perché continuano a riportare i dispacci di guerra e non fanno un riassunto, chiaro e semplice?» si lamentò il maggiore che stava impazzendo a leggere quegli stralci confusi di notizia.
«E questo?» Robert indicò un altro titoletto più sotto. «Una terribile carneficina su entrambi i fronti» pronunciò perplesso.
Jonathan si avvicinò e lesse la frase a sua volta. Se almeno avessero scritto il numero dei caduti invece che terrorizzare gli animi con quei titoli sensazionalistici... e subito sotto trovò le parole "Il generale ribelle Longstreet ferito e prigioniero".
«Ma non era morto?» chiese perplesso.
«Giornalisti cani...» sibilò Robert tra i denti riprendendo la lettura e cercando un filo tra quelle notizie contrastanti*.
C'era anche disegnata una piantina del campo di battaglia che mostrava i movimenti delle truppe coinvolte e i due ci si dedicarono con ardore, tentando di interpretarla al meglio. Pareva che Lee avesse diviso il suo esercito in tre e forse questo aveva contribuito alla sua disfatta.
«Signori» li interruppe il capitano.
I due si alzarono da terra in un lampo e si misero sull'attenti. Il superiore lanciò uno sguardo al giornale rimasto a terra e sogghignò.
«Stavate leggendo il racconto delle gloriose gesta del nostro esercito ad Antietam?»
«Stavamo cercando di capire com'era andata la battaglia, signore» rispose Robert.
«Abbiamo vinto!»
«L'abbiamo letto, signore» sorrise Robert.
«Ma a che prezzo?» l'interruppe il capitano.
I due rimasero in silenzio, le parole "Una terribile carneficina su entrambi i fronti" improvvisamente davanti ai loro occhi.
«Cosa sa a riguardo, signore? Il giornale è piuttosto vago... e datato» chiese Jonathan, cauto. Non era sicuro di voler sentire la risposta.
«Ho parlato prima con lo Stato Maggiore di Clayton, la vittoria è confermata: i Confederati si sono ritirati in Virginia. Ma non avevo mai sentito nulla del genere... dove andremo a finire?»
I due lo fissarono, come a volerlo spingere a continuare con lo sguardo.
«Duemila morti e almeno diecimila feriti» pronunciò serio.
Le pupille dei due giovani si dilatarono appena. Quell'uomo li stava prendendo in giro.
«Ma signore, com'è possibile...»
«Se metti in campo circa novantamila uomini, ne puoi mettere fuori gioco dodicimila. Te ne rimangono ancora... quanti? – e intanto pareva impegnato a fare i conti – Settantottomila» pronunciò con una nota di sarcasmo che fece gelare il sangue ai due.
«Ma...»
«Nessun ma. Alla seconda battaglia di Bull Run, il mese scorso, ne abbiamo persi quattordicimila, poco meno di duemila morti e gli altri feriti o prigionieri... Almeno stavolta la vittoria è nostra, stando a quello che ci raccontano.»
I due sembravano pietrificati, avevano notizie sparse, ma nessuna idea della quantità di vittime. Erano numeri enormi, non riuscivano neppure a immaginarli.
«Ragazzi miei, state attenti e pregate. Se questa guerra non finisce in fretta, mi chiedo se rimarranno abbastanza soldati per combatterla. Qui non abbiamo idea di cosa sta accadendo in Virginia, ma se speravamo che là fossero più fortunati a poter combattere grandi battaglie con tattiche collaudate e altro, be', ci sbagliavamo. Con i nuovi fucili a canna rigata non è più come ci hanno insegnato a scuola: qui gli uomini cadono come mosche. L'avete visto con l'equipaggio della Mound City – che Dio li abbia in gloria. Averli tutti vicini, spalla contro spalla in ranghi serrati, li rende bersagli perfetti. Forse dobbiamo ritenerci fortunati a combattere questa logorante guerriglia tra i boschi piuttosto che trovarci con l'Armata del Potomac e vedere lo spettacolo di migliaia di corpi lasciati a marcire sotto il sole.»
I due non trovarono niente da ribattere.
«Adesso finitela con le letture appassionanti e seguitemi» ordinò dando loro le spalle.
Non avevano più affrontato l'argomento per il resto della giornata. Si erano scambiati solo le parole strettamente necessarie ai loro compiti, come se bisognasse razionarle in attesa di rifornimenti. Ognuno perso nei suoi foschi pensieri a riflettere su Antietam, Quantrill, la guerra, le imboscate dei Sudisti. Robert pensava pure a Emily, anche se non l'avrebbe mai ammesso, e Jonathan si torceva le mani scandagliando tutte le possibili domande che avrebbe voluto fare a suo padre.
Dopo cena, però, si trovarono faccia a faccia davanti al fuoco e il silenzio era talmente denso da pesare come un macigno.
«Hai del tabacco?» chiese Jonathan, più per rompere quel muro assordante che per reale desiderio.
Robert lo fissò per un lungo istante, poi, con un sospiro, si frugò nella tasca e ne estrasse un piccolo pezzo. Lo spezzò a metà e lo porse al fratello, mettendosi in bocca la sua parte e prendendo a masticarla.
Jonathan intuì che voleva dirgli qualcosa, ma si stava trattenendo. Il suo sguardo celava una velata accusa. Be', non aveva nessuna voglia di facilitargli il compito e si infilò il tabacco in bocca con aria di sfida.
Rimasero così per un po', l'astio era palpabile e masticare quella roba non stava avendo l'effetto calmante sperato.
Jonathan si ricordò che il padre aveva esecrato quell'abitudine definendola orrenda e il pensiero lo fece sorridere tra sé.
«Perché ridi, adesso?» lo accusò il fratello.
Jonathan portò lo sguardo sui suoi occhi ardenti, smarrito per un istante come un bambino sorpreso a compiere una marachella.
«Non sto ridendo...»
«A me sembrava di sì» chiosò secco.
«Si può sapere che ti prende, stasera?» si difese Jonathan: se aveva qualche problema, tanto valeva che glielo dicesse in modo chiaro.
«Mi piacerebbe che tu l'ammettessi» rispose con una punta di livore.
«Ammettessi cosa?» rispose mettendosi a sedere più dritto per meglio affrontarlo.
«Che ti sbagliavi sulla guerra, su tutto.»
Jonathan intuì subito quello che covava nell'animo del fratello ed espirò forte per non rispondere d'impulso, ma le mani avevano cominciato a prudergli.
«Cosa vuoi da me? Vuoi che ti dica che la guerra fa schifo? Mi sembrava che ne avessimo già parlato...»
«Io te l'ho detto... non tu. Tu ancora sognavi grandi battaglie campali in cui ricoprirti di gloria. Guarda cosa è successo ad Antietam» lo accusò, gli occhi ardevano di collera.
Jonathan sputò al suolo il succo di tabacco, con rabbia.
«Mi sembri una vecchia suocera... È logico che esserci dentro non è come quando ascoltavamo i racconti di nostro nonno o leggevamo le lettere che ci spediva nostro padre dal Messico.»
«Ma tu, inseguendo quell'idea, mi hai fatto lasciare la casa in cui vivevamo per andare con nostro padre e mi hai trascinato fino a qui» ribatté tra i denti.
L'aveva detto. Quasi si pentì di aver pronunciato quelle parole, ma ormai era tardi. Le pupille di Jonathan si dilatarono per la sorpresa: quindi era lì che il fratello voleva andare a parare... dopo tutti quegli anni!
«Sì, è vero» ammise dopo qualche minuto passato a rimestare bile in silenzio.
«Sono io che ho voluto lasciare la scuola militare perché stava per scoppiare un conflitto... sono io che sono corso ad arruolarmi... e, se vogliamo andare indietro nel tempo, sono sempre io che ho insistito per seguire nostro padre al forte e condurre questo tipo di vita. E ti ho trascinato con me, perché senza di te non sarei andato nessuna parte. Lo ammetto» prese a dire a fatica, non con pentimento, ma come se stesse facendo un resoconto oggettivo del passato che però lo metteva davanti alla sua più profonda paura: perdere l'appoggio del fratello.
Robert sembrò addolcirsi a sentirglielo dire.
«Avrei dovuto chiedere il tuo parere invece che dare per scontato che i miei desideri coincidessero con i tuoi, ora me ne rendo conto... per questo ti porgo le mie scuse» la voce gli tremò lievemente nel pronunciare tali parole.
Il fratello rimase zitto a masticare il suo tabacco.
«Robert, ti prego... non rinfacciarmi questo» pronunciò mesto. La sua solita espressione strafottente mutata in una di doloroso rammarico. Suo fratello non poteva lasciarlo proprio adesso, non dopo tutto quello che avevano passato insieme, Sabrina compresa.
Forse Robert glielo lesse negli occhi, o forse la sua rabbia era evaporata con le scuse che gli aveva porto in modo così sincero.
«Smettila di guardarmi con quegli occhioni da cucciolo... sembri tua sorella» rispose con stizza, non del tutto deciso a cedere le armi.
Jonathan lo guardò stupito.
«Che c'entra Sabrina?»
«Hai la stessa espressione ruffiana di quando mi domandava di portarla in città o altro.»
«Ma io non sto sbattendo le ciglia!» protestò indignato.
«Poco ci manca... comunque la colpa è anche mia» lo interruppe. Jonathan trattenne il respiro.
«Sì, tu mi hai trascinato con te, ma io non mi sono mai opposto» sospirò. «Forse speravo che scegliessi il meglio per entrambi, che intuissi cosa provavo, perché io non ne ero in grado. A posteriori è facile per me dire che sono stato spesso infelice, ma all'epoca contavo su di te e non sapevo dare un nome a quel disagio costante. Adesso mi rendo conto che tu non potevi capirlo. Eravamo entrambi troppo giovani.»
«Non pensavo che dopo tutti questi anni avremmo parlato di questo...» lo interruppe Jonathan, improvvisamente più vecchio. La consapevolezza di aver fatto del male al suo migliore amico gli stringeva lo stomaco. «Pensavo che, dopo i primi giorni di scoramento al forte, poi fossi stato contento di avermi seguito...» cercò di giustificarsi, ma senza convinzione. Lo sguardo vuoto.
«Ero un ragazzino; tutto quello che facevi tu per me era giusto, anche se non mi rendeva felice» rispose con un'alzata di spalle.
Jonathan rimase in silenzio, mesto. Un peso sul cuore pari a quando aveva desiderato il male per la sorella e poi aveva scoperto che era stata presa prigioniera dalla banda di Quantrill. Non poteva accettare di essere così meschino ed egoista... poi ebbe un'illuminazione.
«Va bene, allora ascolta un attimo qui» disse avvicinandosi un po' al fratello. «Pensa se fossimo rimasti a casa con nostra madre e Sabrina... forse saremmo finiti tutti a Boston, lei ci avrebbe riportato a casa: non vedeva l'ora di farlo. E poi? Forse tu saresti andato all'università, magari saresti diventato un avvocato o che ne so. Io probabilmente non avrei combinato niente... Nostra sorella invece sarebbe diventata una signora, una di quelle donnine compunte e silenziose e forse avremmo continuato a ignorarla.»
«O magari ci saremmo trovati a selezionare i suoi pretendenti e prendere le sue difese...»
«E forse avrebbe avuto qualche amica graziosa da presentarci, qualche brava signorina come lei che veniva in visita a casa e che ci saremmo divertiti a corteggiare un po'... Ma non è questo il punto...» Jonathan fece una pausa per guardare il fratello dritto negli occhi. «Il punto è che i Confederati avrebbero lo stesso attaccato Fort Sumter e sarebbe scoppiata la guerra. E allora noi avremmo lasciato le nostre fidanzate, occupazioni o altro e saremmo corsi ad arruolarci! Non saremmo rimasti a casa... questo me lo concedi, vero? Nonostante il tuo ribrezzo per la guerra, non avresti accettato di startene a casa; non sapendo di essere giovane e forte e che l'Unione reclutava tutti i soldati possibili.»
Robert non rispose, poi capitolò con un sospiro.
«Te lo concedo... ci saremmo arruolati comunque.»
«Esatto! E a quel punto che fine avremmo fatto? Pensaci... niente scuola militare, nessuna abilità a cavallo o competenza... Saremmo finiti in fanteria come soldati semplici, a marciare per ore con un fucile in spalla. E magari saremmo tra i caduti di Antietam» concluse.
«Quindi alla fine non mi avresti rovinato la vita, ma addirittura salvato?» scoppiò a ridere Robert.
«In un certo senso...»
«Tu sei davvero tutto matto.»
«Be', se dovevamo comunque finire in guerra, meglio da ufficiali di cavalleria che come carne da cannone nelle linee di fanteria... non trovi?»
«Va bene... hai vinto» rispose Robert alzando le mani. «È impossibile discutere con te!»
E scoppiarono a ridere insieme.
*Le notizie qui presenti sono presentate come sono riportate nella prima pagina del New York Times del 18 settembre 1862, confuse e contraddittorie non formano un articolo coerente, ma solo un'accozzaglia di dispacci da cui trarre le proprie conclusioni.
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