67- Svago

«Abbiamo sprecato il nostro tempo venendo qui» sbottò Robert seduto sui gradini della baracca mentre fumava un po' di trinciato dopo cena.

Jonathan camminava avanti e indietro, nervoso. Non avevano scambiato nemmeno una parola in seguito all'incontro con il padre, ognuno immerso nei suoi spiacevoli pensieri, e non avevano praticamente toccato cibo.

«Già.»

«Non sappiamo che fine ha fatto Sabrina e non ci siamo riconciliati con nostro padre... un buco nell'acqua pieno.» La rabbia sorda che lo divorava dall'incontro del pomeriggio stava finalmente fluendo.

Jonathan continuava a camminare stringendo i pugni a intermittenza, mentre scuoteva la testa piena di pensieri che non riusciva a formulare.

«Avrei fatto meglio a usare questa licenza per andare a Washington, peggio di così là non poteva andare» sibilò.

Il fratello sembrò svegliarsi a quelle parole e smise di camminare, guardandolo stupito.

«Il capitano non ti avrebbe concesso una licenza per Washington, lo sai bene. E comunque sia andata, dovevamo venire qui a provarci» rispose con una durezza che da tempo non gli sentiva nella voce.

«Al capitano potevo sempre raccontare una balla... Adesso che facciamo a Leavenworth per i prossimi quattro giorni?»

Jonathan gli si parò davanti minaccioso.

«Prima lo lasciamo sbollire un attimo: si è finalmente tolto la soddisfazione di dirci quello che pensava di noi, ma credo che tra un paio di giorni sarà disposto a rivederci. Magari non vorrà parlare di Sabrina, ma potremmo comunque riallacciare un rapporto. È un bastardo, però io ho bisogno di sapere che posso ancora contare su di lui...»

Robert deglutì a fatica. In quel momento odiava suo padre e vedere che il fratello nonostante tutto ancora voleva avere a che fare con lui lo colpiva come un pugno.

«E poi, siamo in licenza: non dobbiamo per forza stare in questo forte a struggerci e ascoltare pettegolezzi sussurrati... io andrei in città.»

«A fare cosa? A rivedere Lizzie e le sue amiche al saloon?»

«Perché no, è un'idea.»

Robert si alzò di scatto.

«Io me ne vado. Al diavolo Leavenworth e nostro padre.»

Jonathan lo afferrò per un braccio prima che potesse allontanarsi.

«Non essere sciocco...» gli sussurrò con decisione.

Il fratello si liberò con uno strattone.

«Se quello è un padre io non ho bisogno di lui, tu fa' come credi.»

«Robert!» lo chiamò con fare talmente risoluto che il giovane si bloccò e si voltò a guardarlo. «Non parlare così! Sapevamo benissimo che non ci avrebbe accolto a braccia aperte e che non sarebbe stato gentile con Sabrina. Non puoi biasimarlo per aver fatto esattamente quello che ci aspettavamo da lui.»

Robert distolse lo sguardo pieno di livore.

«Se davvero vogliamo che si riconcili con Sabrina, prima di tutto deve perdonare noi che l'abbiamo tradito. Andiamocene e la famiglia sarà definitivamente distrutta, e Sabrina non avrà mai più una casa in cui tornare.»

«E perché dovrebbe voler tornare qui, dopo tutto questo?»

«Non lo so, ma la conosci meglio di me: non pensi che lei lo vorrebbe? Tutto questo casino è iniziato quando nostro padre voleva spedirla a Pittsburgh...»

Robert rimase in silenzio.

Non credeva davvero che sua sorella volesse tornare al forte, ma doveva ammettere che aveva dimostrato un attaccamento morboso a suo padre e i suoi fratelli nonostante gli scontri continui.

«Dai retta a me... diamogli tempo e cerchiamo di riappacificarci con lui: lo dobbiamo a Sabrina. E per adesso andiamo a berci su a Leavenworth...»

Robert si era fatto trascinare contro voglia in città. Ancora cupo e silenzioso, aveva accettato di infilarsi al Planters Hotel e sedersi a un tavolo in disparte mentre il fratello si procurava una bottiglia di whisky. Aveva notato che Jonathan aveva preferito evitare il solito saloon, di certo l'aveva fatto per non incontrare Lizzie. Comunque anche quel locale non era male, anzi era pure più raffinato dell'altro. La carta da parati verde a disegni dorati impreziosiva le pareti e i mobili erano di buona fattura, nessun tavolo era segnato da scritte o tacche fatte con coltelli, le sedie erano imbottite di velluto rosso e ci si sprofondava comodi. C'era un piano e la musica non era sgangherata; magari un po' seria, ma ben eseguita. Il bancone era lucido e i bicchieri brillavano alla luce delle candele infilate in lampadari di cristallo. C'erano varie donne che gironzolavano pigramente tra i tavoli, pronte a offrire compagnia senza essere troppo sfacciate. Decisamente un posto più chic rispetto al locale dove lavorava Lizzie.

Jonathan si presentò con una bottiglia e due bicchieri.

«Non oso chiederti quanto ti è costata quella bottiglia» rise Robert.

«Più di quanto mi aspettassi, ma il posto vale la spesa.»

«A me andava bene anche il vecchio saloon» buttò lì malizioso.

Jonathan gli lanciò un'occhiata torva.

«Niente complicazioni sentimentali per stasera, voglio solo prendermi una bella sbronza e magari finire la serata con una di quelle» pronunciò indicando con il mento una giovane bruna.

«Non pensavo volessi andare a donne... con certe donne... proprio tu. Anche se sono tutte tirate a lucido, è il bordello che gliele manda.»

«Al diavolo nostro padre e i suoi consigli, stasera faccio quello che mi pare e ho voglia di provare uno dei letti di questo hotel. Se tanto mi dà tanto, ci saranno lenzuola candide e un bel cuscino imbottito di piume... Poi domani, con calma, torneremo al forte dopo aver smaltito la sbronza e cercheremo di essere i figli irreprensibili che lui si aspetta. Ma non stasera...»

Robert rise, afferrò un bicchiere colmo e lo alzò in direzione del fratello, poi buttò giù il contenuto in un colpo solo. Il liquore gli bruciò la gola e scaldò lo stomaco, sciogliendo in parte il senso di angoscia che lo pervadeva. Jonathan glielo riempì di nuovo.

«La prossima bottiglia la offri tu» l'avvertì.

«Quanto hai intenzione di bere?»

«Quanto riesco a contenerne e un po' di più» disse con un sorriso, poi si voltò verso la giovane donna che aveva adocchiato prima e le fece un cenno.

«Non è un po' grande per te?» chiese Robert osservandola. Era una bellezza, ma di certo era più matura di loro due.

«Meglio: stasera voglio una compagnia esperta» sussurrò mentre la donna rispondeva al suo sorriso e sbattendo le ciglia cominciava ad avvicinarsi.

«E anche una buona dose di sifilide...»

«Guarda che quelle che vengono a lavorare qui sono controllate, me l'ha detto uno al forte.»

«Se lo dici tu...» rispose incerto, poi si interruppe non appena la donna li raggiunse.

«Buonasera, signori» esclamò con voce argentina facendo ondeggiare i boccoli trattenuti da un fermaglio. «Posso accomodarmi?»

Jonathan prese una sedia da un tavolo vicino, mentre Robert faceva cenno all'uomo dietro al bancone perché portasse altri bicchieri.

Una biondina dall'aria innocente aveva cominciato a fissarlo. Forse avrebbe dovuto invitare anche lui qualcuno per non trovarsi a reggere il moccolo, ma fu distratto dalla vista del décolleté prosperoso della donna appena arrivata e non rispose al richiamo. Suo fratello aveva buon gusto, niente da ridire.

«Io sono Elena. E voi? Come vi chiamate, giovani ufficiali?» pronunciò con voce carezzevole che fece rizzare di piacere i peli sulla nuca del più grande.

«Jonathan Becker. E questo è mio fratello Robert.»

La donna sgranò appena gli occhi, poi sorrise recuperando la sua espressione civettuola.

«Forse dovremmo coinvolgere una mia amica...» insinuò fissando il più giovane e, senza aspettare risposta, si girò a guardare la biondina e le fece un cenno con la testa. La ragazza zampettò verso il tavolo incerta e Robert provò una certa pena per lei: era nuova del mestiere, lo si capiva subito. Galante, si ripromise di non sfiorarla con un dito e si affrettò a procurare un'altra sedia.

«Lei è Hanna. Non parla molto bene la nostra lingua perché è arrivata pochi mesi fa dalla Germania, ma è molto carina.»

Robert le rivolse un'occhiata imbarazzata e si affrettò a versarle da bere: almeno non avrebbero dovuto parlare per forza.

Un brindisi e i bicchieri si alzarono. Elena vuotò abilmente il suo con un gesto deciso, tipico di chi è abituato a bere. Hanna invece lo sorseggiava come se non le piacesse affatto. Jonathan stava già riempendo i bicchieri vuoti come per accelerare i tempi. Robert pensò che aveva visto in lui una tale urgenza di ubriacarsi solo a Osceola e una morsa gli serrò lo stomaco, inducendolo a tracannare in fretta un altro whisky e mettere a tacere i ricordi.

«Be', cosa fate da queste parti? Siete di stanza a Fort Leavenworth?» chiese Elena.

«No, siamo nel Quinto Cavalleria del Kansas e siamo tornati per una licenza. Nostro padre è maggiore qui.»

Elena immagazzinò l'informazione e scrutò il giovane per un attimo prima di riprendere a cianciare allegramente.

«Se non ti piace, possiamo vedere se c'è qualcos'altro da bere» sussurrò Robert alla ragazza che lo fissò senza rispondere, con un bel sorriso stampato in faccia. Il giovane sospirò. Non aveva capito una parola, era chiaro. E la lasciò continuare a sorseggiare il suo whisky come fosse una medicina cattiva. Osservò il fratello, che nel frattempo si era rilassato: aveva allungato le gambe sotto il tavolo, stravaccato sulla sedia, e rideva con la bruna.

L'atmosfera era piacevole e l'alcol faceva la sua parte. Dopo aver ordinato un'altra bottiglia anche Robert si era sciolto un po'. Non gli importava più che la biondina non spiccicasse parola, si accontentava di farsi carezzare la mano e poi il viso da lei, mentre buttava giù l'ennesimo bicchiere e ascoltava i discorsi degli altri due. La mente improvvisamente annebbiata, si lasciava coccolare dalla ragazza che si era pian piano avvicinata e l'aveva invitato a posare la testa sulla sua spalla.

Jonathan e Elena invece non smettevano di chiacchierare e sghignazzare euforici, l'alcol rendeva ogni battuta esilarante e quando lui si sbrodolò addosso un intero bicchiere i due presero a ridere senza più controllo. Jonathan affondò il volto nel décolleté invitante della donna e lei lo lasciò fare prima di spostarlo di peso e riempirgli il bicchiere di nuovo.

Non era da loro divertirsi a quel modo, né dare spettacolo con due prostitute, ma quella sera niente li avrebbe trattenuti.

«Lenzuola candide!» esclamò Jonathan a un certo punto e Robert rispose al brindisi gridando: «E cuscini di piume!»

Poi biascicarono qualcosa in merito alla compagnia femminile che avrebbero gradito e Elena li rassicurò: «Fate i bravi, poi vi accompagniamo di sopra», e con un cenno mandò Hanna a informare il proprietario che avevano bisogno di due camere. La giovane si sfilò dalla presa di Robert che la teneva con un braccio mentre era mezzo riverso sul tavolo.

Un'ora dopo erano nelle loro camere, completamente ubriachi. Hanna ed Elena li aiutarono a togliersi le giubbe e gli stivali e infilarsi sotto le coperte. Robert biascicava parole d'amore per una certa Emily, prima di alzarsi di scatto e correre a vomitare pietosamente dentro al vaso da notte con la ragazza che cercava di sorreggergli la fronte, e l'altro non faceva che ripetere "ce la faccio, fammi solo provare". Ma Elena non aveva nessuna intenzione di permettergli di toccarla, né lasciare a Robert campo libero con la sua compagna: erano i fratelli di Sabrina e non se la sentiva. Farli bere fino a renderli incoscienti era stata la sua tattica.

La mattina seguente Robert si trascinò a fatica dal fratello; era ridotto uno straccio, con la testa che minacciava di scoppiare e lo stomaco a pezzi. Trovò Jonathan che russava abbracciato a un cuscino tutto sbavato. La vista del giovane, annodato nelle coperte e con la bocca aperta, gli strappò un sorriso, subito offuscato da una fitta alle tempie.

Reggendosi la testa andò a sedersi sul letto del fratello e poi lo scrollò con foga.

«Eh dai, ti ho detto che ce la faccio... togliti quella roba di dosso...» biascicò muovendo una mano nel vuoto.

Robert scoppiò a ridere.

«Ehi, ruba cuori, quelle ci hanno lasciato a secco e con un bel conto da pagare, temo! Svegliati!»

Jonathan aprì un occhio a fatica e subito lo richiuse accecato dalla luce che filtrava dalla finestra coperta da un pesante tendaggio.

«Che diavolo...» disse tra sé mentre si metteva a sedere con un certo sforzo di coordinazione, le gambe sembravano non rispondere.

«Che cosa ci hanno dato da bere ieri? Petrolio?» chiese Robert. Jonathan si stropicciò la faccia senza rispondere, poi fu colto da un conato di vomito e sporgendosi dal letto si liberò sul pavimento.

Silenzio. La scena era già sufficientemente pietosa senza aggiungere parole. Jonathan si passò il dorso della mano sulle labbra per ripulirle e poi spostò lo sguardo annebbiato sul fratello, come se stentasse a riconoscerlo.

«Dove siamo? No, aspetta... ricordo della musica... del whisky e delle donne... dove sono le donne? Che abbiamo combinato? Cristo santo, non dirmi che siamo andati con due prostitute...» chiese angosciato.

«Se è questo che temi, sta' tranquillo... eravamo troppo ubriachi» rispose sicuro Robert. Di una cosa era certo ed era che si era svegliato con i pantaloni ancora addosso.

Jonathan spostò la mano sulla fronte poi si afferrò i capelli come se volesse strapparseli dalla testa per farne uscire delle idee chiare.

«Non mi ricordo niente...» sussurrò.

«Siamo in due, ma se avessimo concluso non ci saremmo preoccupati di rimetterci le braghe, no? Abbiamo semplicemente bevuto troppo» lo rassicurò, pensando che era davvero stupido doversi mettere a consolare suo fratello dopo una notte di bagordi in cui lui stesso lo aveva trascinato.

Jonathan sbuffò, poi si gettò riverso sul materasso.

«Non ti alzi?» chiese stupito Robert.

«No, non mi sono goduto questo materasso perché sono praticamente morto ieri sera. Fammi stare ancora un po' qui a riprendermi. Non so te, ma ho la testa che mi scoppia...»

«E la nausea?»

«Anche...» sospirò. «Ti prego di non dire niente, è stata un'idea stupida, ma ieri non mi sembrava tanto male.»

«Ieri era perfetta» lo rassicurò e battendogli una mano sulla coscia si rannicchiò a sua volta sul materasso a sonnecchiare ancora un po'.

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